L’amministrazione di sostegno va disposta solo in favore di chi si trovi nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi

di Avv. Valentina Alberioli

IL CASO. Il Giudice Tutelare del Tribunale di Taranto, adito dai Servizi Sociali del Comune di Massafra, nominava il dott. Tizio amministratore di sostegno a tempo indeterminato di Caio e gli attribuiva i poteri, le facoltà e i doveri analiticamente indicati nel decreto.

Avverso tale provvedimento Caio proponeva reclamo alla Corte d’Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto, la quale confermava la nomina dell’amministratore di sostegno a tempo indeterminato, stabilendo che il dott. Tizio avrebbe dovuto “assistere il beneficiario nella realizzazione delle condizioni necessarie a rendere abitabile la propria casa, nonché nella cura della propria persona e del proprio stato di salute”. Stabiliva altresì che “sia l'amministratore che l'amministrato non potranno compiere gli atti di cui agli arti. 374 e 375 c.c., senza l'autorizzazione del Giudice Tutelare, mentre l'amministrato conserva la piena capacità di compiere gli atti di ordinaria amministrazione dei propri beni e di riscuotere la propria pensione, da destinarsi alla sua cura e mantenimento”.

Caio proponeva, quindi, ricorso per cassazione, in base a tre motivi.

Con il primo motivo denunciava violazione degli art. 132 e 134 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all'art. 360 n.4 c.p.c., per difetto di motivazione e per motivazione apparente in ordine all’accertamento delle condizioni psico-fisiche richieste per l’applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Con il secondo motivo Caio deduceva, invece, la nullità della decisione per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (che individuava nei fatti desumibili dal certificato del proprio medico curante, dall’attestazione rilasciata dal di lui avvocato di fiducia, dalla relazione rivolta dal dott. Tizio al giudice tutelare e dallo scritto proveniente dalla coordinatrice della struttura comunale che lo ospitava), dai quali, se analizzati, avrebbe potuto desumersi ch’egli avesse cura della sua salute e dei suoi interessi.

Infine, con il terzo motivo il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione degli atti. 2 e 3 Cost., dell'art. 1 della legge n. 6 del 2004 e degli artt. 404 e ss. c.c., nonché il cattivo governo delle norme predette, erroneamente intese per la gestione del patrimonio anziché per la cura della persona.

 

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1782 del 2024, esaminati congiuntamente i suddetti motivi, li ha ritenuti meritevoli di accoglimento.

Il Giudice di legittimità ha, infatti, richiamato i “principi consolidati” in tema di amministrazione di sostegno, in base ai quali, anzitutto, “nel caso in cui l'interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell'amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall'interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio una adeguata tutela dei suoi interessi, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione e la dignità personale dell'interessato” (cfr., ex plurimis, Cass. n. 22602/2017), in quanto

"l'amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi mentre è escluso il ricorso all'istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all'attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido” (cfr., ex plurimis, Cass. 29981/2020).

In particolare, l’opposizione da parte del beneficiario deve essere “opportunamente considerata, a meno che non sia provocata da una grave patologia psichica tale da rendere l'interessato inconsapevole del bisogno di assistenza (cfr., ex plurimis, Cass. n. 325421/2022).

Inoltre, l’amministrazione di sostegno, ove ricorrano i presupposti per la sua applicazione, “va graduata e proporzionata in ragione delle esigenze di tutela della persona, trattandosi di uno strumento di assistenza che ha lo scopo di sacrificare nella minor misura possibile la capacità di agire dell'amministrato (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19866/2018). 

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Lecce aveva confermato la nomina dell’amministratore di sostegno per tutelare Caio “dallo stato di scompenso psicologico in cui versa[va], stato che comporterebbe la parziale inettitudine alla cura dei suoi interessi e un temporaneo isolamento relazionale” (egli era, infatti, sprovvisto di rete familiare ed in elevato conflitto con la ex moglie e la unica figlia).

Secondo la Corte di Cassazione si trattava, tuttavia, di una misura disposta solo apparentemente in conformità con la ratio e la finalità dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.

Infatti, a fronte delle deduzioni prospettate con il gravame, la Corte d’Appello di Lecce non aveva esaminato i fatti dedotti e documentati da Caio a riprova della fondatezza della sua opposizione e ciò, “stante la centralità del tema”, aveva fatto sì che la motivazione fosse risultata “sostanzialmente tautologica”.

Sotto altro profilo, la Corte di Cassazione ha, poi, richiamato l’art. 411 c.c., che prevede che il giudice tutelare possa disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’inabilitato o l’interdetto si estendano anche al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo e a quello tutelato dalle predette disposizioni; al quarto comma, tale norma precisa, poi, che il provvedimento sia assunto con decreto motivato, “dal che si desume che è richiesta una specifica motivazione ove le misure predisposte attengano a limitazioni della capacità di agire relativa all'esercizio di diritti a contenuto economico o all'esercizio di diritti in sede giudiziaria ex artt. 374 e 375 cod. civ.”.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Lecce, se da un lato aveva sostenuto di aver modificato e ristretto i poteri riconosciuti all’amministratore di sostegno in quanto lo stato di scompenso psicologico di Caio “giustifica[va] la misura dell’amministrazione di sostegno, in termini tuttavia di mera assistenza, ma non giustifica[va] l’estensione dei poteri dati con il decreto impugnato, sia dal punto di vista personale e della salute, sia da quello patrimoniale", dall’altro lato, contraddittoriamente ed immotivatamente, aveva poi, in concreto, previsto invece la diretta ed integrale applicazione a Caio delle limitazioni ad agire previste dagli artt. 374 e 375 c.c. in materia di interdizione senza una specifica motivazione.

In altri termini, il Giudice del secondo grado non aveva illustrato le concrete ragioni per le quali aveva ritenuto necessario disporre tout court una regolamentazione così invasiva e pervasiva, né ne aveva chiarito la idoneità in termini di proporzionalità rispetto alle condizioni psico-fisiche accertate di Caio.

Per tali motivi la Corte di legittimità, in accoglimento del ricorso, ha cassato il decreto impugnato e rinviato la causa alla Corte d’Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto affinché questa, in diversa composizione, esamini nuovamente il caso.

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