Il tribunale di Vicenza pronuncia il divorzio diretto di una cittadina italiana dal marito poligamo

di Maria Letizia Frigo, avvocato in Padova

Il caso deciso dalla sentenza in commento costituisce applicazione dell’art. dall’art. 3, n. 2, lett. e), della legge 1° dicembre 1970 n. 898 che prevede la possibilità di addivenire direttamente al divorzio, senza previa separazione quindi, nel caso in cui uno dei coniugi riesca ad ottenere nuovo matrimonio all’estero in un Paese che ammette la poligamia.

La sentenza è interessante anche per come risolve le questioni preliminari, di carattere internazionalprivatistico, di giurisdizione e legge applicabile.

Nella fattispecie una donna italiana aveva sposato un uomo libanese e dal matrimonio erano nati due figli.

Per alcuni anni la coppia ha vissuto tra l’Italia e il Libano, poi è subentrata una crisi coniugale a seguito della quale la moglie è tornata a vivere in Italia, mentre il marito è rimasto in Libano dove si è anche risposato, approfittando del fatto che nel Paese mediorientale la poligamia è ammissibile.

A seguito del nuovo matrimonio del marito, la moglie si è rivolta al giudice italiano chiedendo di pronunciare il divorzio ai sensi del citato art. 3, n. 2, lett. e), della legge 1° dicembre 1970 n. 898 sul divorzio.

La sentenza in commento ha preliminarmente accertato la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano a pronunciare il divorzio.

Nella legge italiana di diritto internazionale privato (d.i.p.), l. n. 218/1995, esiste una noma sulla giurisdizione in tema di divorzio contenuta nell’art. 32 , che però ha assunto carattere residuale a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento CE n. 2201/2003 del 27-XI-2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (c.d. Reg. Bruxelles II bis), sostitutivo del precedente Regolamento 1347/2000 (c.d. Reg. Bruxelles II).

Il Reg. Bruxelles II bis è di applicazione anche quando, come nel caso deciso dal Tribunale di Vicenza, il convenuto non è cittadino di uno Stato dell’Unione europea né vi ha la residenza (arg. ex art. 7.2), mentre la normativa sulla giurisdizione interna viene in considerazione solo “qualora nessun giudice di uno Stato membro sia competente ai sensi degli artt. 3, 4 e 5”.

Nella fattispecie, però, la giurisdizione del giudice italiano derivava direttamente dal Reg. Bruxelles II bis.

Più precisamente, la competenza giurisdizionale per lo scioglimento del matrimonio richiesto dalla moglie italiana era fondata sull’art. 3.1, lett. a), ultimo trattino, del Regolamento Bruxelles II bis, ai sensi del quale sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio “le autorità giurisdizionali dello Stato membro” nel cui territorio si trova “la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso”.

Facendo applicazione di tali principi al caso concreto, il Tribunale di Vicenza giustamente si è ritenuto competente in quanto la ricorrente era cittadina italiana e, dopo essersi trasferita in Libano nel 2010, era tornata a risiedere in Italia dal 2016.

La competenza interna per territorio apparteneva al Tribunale di Vicenza, nella cui circoscrizione la ricorrente risiedeva ex art. 4, co. 1, seconda frase, della citata legge n. 898/1970, ai sensi del quale, “[q]ualora il coniuge convenuto sia residente all’estero (…) la domanda si propone al tribunale del luogo di residenza o di domicilio del ricorrente”.

Anche in materia di legge applicabile al divorzio, la norma di conflitto interna dell’art. 31 l. 218/1995 è divenuta solo residuale a seguito dell’entrata in vigore della disciplina di conflitto contenuta nel Regolamento UE n. 1259/2010 del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (c.d. Reg. Roma III), e che ai sensi dell’art. 4, è erga omnes, in quanto vuole essere applicato anche quando, come nel nostro caso, gli elementi di estraneità del rapporto sono localizzati in uno Stato che non partecipa al Regolamento.

Ebbene, lo scioglimento del matrimonio è disciplinato dalla legge italiana in forza dell’art. 8, lett. d), del Reg. Roma III, ai sensi del quale, in mancanza di una scelta di legge ai sensi dell’art. 5 del medesimo Regolamento, il divorzio, ove non si perfezionino - come nel caso oggetto della sentenza in commento non si perfezionavano - i criteri di collegamento contemplati dalle lettere a), b) e c) della stessa disposizione, “è disciplinato dalla legge dello Stato (…) in cui è adita l’autorità giurisdizionale”, cioè la legge italiana.

La disposizione della legge italiana che veniva in considerazione nel caso di specie è, come anticipato, l’art. 3, n. 2, lett. e), della legge 1° dicembre 1970 n. 898, ai sensi del quale lo scioglimento del matrimonio “può essere domandato da uno dei coniugi” nel caso in cui “l’altro coniuge, cittadino straniero, … ha contratto all’estero nuovo matrimonio”.

Il nuovo matrimonio contratto dal marito in Libano integrava perfettamente tale disposizione.

Per completezza si può aggiungere che, a prescindere dalla designazione della legge italiana contenuta nella disciplina di conflitto del Reg. Roma III, l’applicazione della disposizione in parola si giustificava anche se nella fattispecie si fosse dovuta applicare la legge libanese in ragione del fatto che essa ha carattere di norma di applicazione necessaria.

Come è noto, l’art. 17 della legge 218/1995 qualifica così quelle norme interne che, in ragione del loro oggetto o del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo della legge straniera. Tale va considerato anche l’art. l’art. 3, n. 2, lett. e), della legge 1° dicembre 1970 n. 898, in quanto rispecchia un principio di ordine pubblico, quello che, in nome degli articoli 3 e 29 della Costituzione, vieta la poligamia. Nello specifico, la reazione dell’ordinamento italiano alla poligamia si traduce nella previsione di una causa di scioglimento del matrimonio senza previa separazione, in dipendenza del nuovo matrimonio, inteso a questi fini come semplice fatto.

Ed in effetti, sembra che la sentenza in commento abbia applicato direttamente la legge italiana, senza nemmeno passare per la disciplina di conflitto del Regolamento Roma III, ritenendola, evidentemente, norma di applicazione necessaria.

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