La moglie non deve restituire i denari prelevati dal conto corrente cointestato col marito e destinati ai bisogni della famiglia

11 GENNAIO 2024 | Matrimonio

di Avv. Valentina Alberioli

IL CASO. La Corte d’Appello di Milano rigettava l’appello proposto da Tizio avverso la sentenza con cui il Tribunale meneghino aveva respinto la sua domanda di condanna di Caia, moglie dalla quale si era separato, al pagamento della somma di euro 250.000,00, che assumeva dovuta a titolo di restituzione e/o risarcimento di danni patrimoniali, consistiti nell’indebito prelievo e utilizzo da parte della stessa di euro 121.060,50 depositati sul conto corrente cointestato alle parti, nonché nell’indebita disposizione di euro 55.000,00 mediante assegno circolare emesso in proprio favore.

La Corte d’Appello motivava la propria decisione osservando che: a) correttamente il Tribunale aveva ritenuto che l’attore non avesse assolto all’onere della prova necessario a superare la presunzione legale ex art. 1298 c.c., essendo stato, al contrario, dimostrato che il conto corrente fosse stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri della famiglia e che alla formazione della provvista non avesse contribuito in via esclusiva Tizio; b) risultava dimostrata l’esistenza di accordi di indirizzo familiare intervenuti tra i coniugi, in base ai quali la moglie aveva interrotto la collaborazione presso uno studio legale per prestare la propria attività professionale esclusivamente in favore del marito verso il quale emetteva regolare fattura. Alle fatture non seguiva, tuttavia, alcun pagamento diretto da parte di Tizio sull’intesa che il cospicuo lavoro professionale di Caia potesse essere compensato con l’utilizzo del denaro sul conto corrente; c) in ogni caso, non era stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia; d) sussistevano tra i coniugi, ex  artt. 143 e 316-bis c.c., precisi doveri di reciproca assistenza materiale e di contribuzione, ciascuno in proporzione alle rispettive sostanze e capacità, sicché la cointestazione del conto corrente costituiva specifica esecuzione degli obblighi di assistenza materiale di cui all’art. 143 c.c.; e) Caia aveva fornito elementi dai quali si evidenziava che molti dei prelievi, che secondo la prospettazione di Tizio servivano per spese voluttuarie, in realtà erano stati utilizzati per far fronte alle necessità familiari o mediche.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano Tizio proponeva ricorso per cassazione, in base a tre motivi.

In particolare, con il primo motivo il ricorrente lamentava che il giudice di secondo grado si fosse limitato ad evidenziare, da un lato, che Caia avesse dimostrato di aver effettuato dei versamenti nel conto corrente cointestato e, dall’altro e di conseguenza, che il conto corrente non fosse stato contratto nell’esclusivo interesse del marito. La Corte d’Appello avrebbe, tuttavia, altresì dovuto accertare “la rilevante sperequazione delle quote riferibili a ciascun coniuge desumibile dalla enorme difformità degli apporti, documentata dagli estratti conto, e la smisurata differenza tra prelievi effettuati dalla moglie e le rimesse da lei operate, che consentiva di ritenere superata la presunzione di comproprietà in parti uguali di cui all’art. 1298 c.c.”.

Con il terzo motivo, poi, Tizio censurava la decisione della Corte d’Appello laddove aveva preteso di ricondurre gli “smisurati ed i continui consistenti prelievi, compresa l’ingente somma di Euro 55.000,00, per un totale di Euro 180.000,00, effettuati in poco più di un anno e mezzo dopo l’inizio della relazione extraconiugale e poco prima di chiedere la separazione coniugale all’interno dei reciproci obblighi di solidarietà familiare ed assistenza tra coniugi di cui all’art. 143 c.c., in pratica solo perché avvenuti in costanza di matrimonio”. Inoltre, a detta del ricorrente, il fatto ch’egli avesse smesso di contribuire ai bisogni della famiglia non poteva essere ritenuto elemento sufficiente per affermare che l’importo di euro 55.000,00 prelevato da Caia fosse stato integralmente destinato dalla stessa al mantenimento delle figlie e della casa coniugale per gli anni successivi.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 28772 del 2023, ha ritenuto inammissibile il primo motivo.

Il Giudice di legittimità ha, tuttavia, colto l’occasione per ripercorrere i principi che regolano la cointestazione di un conto corrente tra coniugi.

Anzitutto, la cointestazione attribuisce ai coniugi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto salva la prova contraria a carico della parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa che può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici - purché gravi, precise e concordanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 19309/2006, 28839/2008, 18777/2015 e 4838/2021).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto mancasse la prova della titolarità esclusiva del denaro in capo a Tizio, in quanto: a) il conto corrente era stato aperto dai coniugi congiuntamente e per i bisogni presenti e futuri della famiglia; b) Caia aveva contribuito ad alimentare il conto corrente in misura rilevante con apporti derivanti dalla sua attività professionale e con i pagamenti di terzi in favore di Tizio, riconducibili però all’attività svolta dalla convenuta su incarico del marito; c) i coniugi avevano sottoscritto, congiuntamente e per quote paritarie, contratti di deposito titoli e di investimento, come documentalmente dimostrato dalla controricorrente.

La Corte meneghina è, quindi, pervenuta alla conclusione, “attraverso un iter logico ineccepibile”, che il conto corrente cointestato era stato alimentato non solo da denaro del marito ma anche dalla provvista fatta affluire dalla moglie e ciò ha fatto, ad avviso del Giudice di legittimità, applicando correttamente i suesposti principi giurisprudenziali.

Con riferimento, poi, al terzo motivo di impugnazione, la Corte di Cassazione l’ha reputato inammissibile, al pari del primo.

Il Giudice di legittimità ha, comunque, ravvisato l’opportunità di riportare per esteso i “brani della sentenza” di secondo grado concernenti la terza doglianza maggiormente esplicativi: “Poiché non è stato dimostrato che il conto corrente fosse destinato al soddisfacimento dei soli bisogni primari fondamentali della famiglia, allo stesso ben poteva attingere la moglie per esigenze, anche non di strettissima necessità, sia delle due figlie, sia proprie, non potendosi per contro rimettere in discussione ogni voce di spesa di cui ciascun coniuge si sia fatto carico nel corso della convivenza matrimoniale. Non si tratta quindi di ammettere che ‘sarebbe sufficiente a uno dei cointestatari di qualunque conto corrente bancario cointestato versare un Euro nel conto per appropriarsi di tutta la giacenza residua’ quanto piuttosto di riconoscere la sussistenza di specifici doveri di solidarietà familiare e di assistenza tra coniugi, alla cui logica, anche in considerazione della scelta di indirizzo familiare compiuta tra [Tizio] e [Caia] sembrano pienamente riconducibili le spese in contestazione. Oltretutto, come già ritenuto dal Tribunale, e come in extenso dimostrato dalla convenuta anche nel presente grado di giudizio, molte delle spese che l’attore vorrebbe qualificare come voluttuarie sono risultate in realtà attenere alla ordinaria gestione della vita familiare (per dirne solo alcuni: acquisto di medicinali o abbigliamento, pagamento di bollette, collaboratori domestici, spese scolastiche) o ad esigenze di salute delle figlie o della [Caia] (ad esempio, i pagamenti contestati per ‘interventi di mastoplastica o di chirurgia plastica ed estetica’ si sono rivelati essere destinati a operazioni necessarie per la salute della convenuta, appositamente prescritte dal medico e ben note all’appellante). Le considerazioni sopra svolte, all’evidenza, debbono trovare applicazione anche con riferimento all'assegno circolare di Euro 55.000,00 del (Omissis), atteso peraltro che dalla documentazione allegata dalla convenuta risulta come nel (Omissis) l’attore avesse cessato di contribuire ai bisogni della famiglia e che tale somma sia stata integralmente destinata dalla [Caia] al mantenimento delle figlie e della casa coniugale negli anni successivi”.

Il Giudice di legittimità ha, quindi, ritenuto che, così esprimendosi, la Corte d’Appello di Milano si sia correttamente uniformata al costante indirizzo giurisprudenziale secondo il quale

le spese effettuate per i bisogni della famiglia e riconducibili alla logica della solidarietà coniugale, in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. - che nella fattispecie traggono provvista in un conto cointestato -, non determinano alcun diritto al rimborso (cfr., ex plurimis, Cass. 18749/2004 10942/2015 e 10927/2018).

La Corte di Cassazione ha, pertanto, rigettato il ricorso di Tizio e condannato quest’ultimo al pagamento delle spese legali.

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