Reato di maltrattamenti in famiglia anche se il coniuge non è più convivente

Il Tribunale di Fermo aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 572 c.p. in danno della moglie non più convivente, decisione confermata dalla Corte d’appello di Ancona.
L’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione deducendo, tra l’altro, il difetto di un elemento presupposto del reato di maltrattamenti in famiglia, ovvero la convivenza, in quanto la persona offesa all’epoca dei fatti non era più convivente e tra i coniugi era intervenuta la separazione legale.

La Cassazione penale, con sentenza n. 6506/2019, ha respinto il gravame, ribadendo un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale

è configurabile il delitto di cui all’art. 572 c.p. anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione (Cass. pen. 33882/2014; Cass. pen. 30934/2015; Cass. pen. 39331/2016).

Il reato, pertanto, persiste anche in caso di separazione legale che, pur dispensando i coniugi dagli obblighi di convivenza e fedeltà, lascia integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale, nonché di collaborazione.
Ed, invero, la separazione non esclude la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 572 c.p. quando l’attività persecutoria incida su quei vincoli che, rimasti intatti anche a seguito del procedimento giudiziale, pongono la parte offesa in posizione psicologica subordinata o comunque dipendente.
È proprio l’intimo condizionamento che scaturisce dal vincolo coniugale, solo attenuato in caso di separazione personale, a rendere la persona offesa ancora più vulnerabile, qualora la condotta criminosa trovi il proprio fondamento nel rapporto familiare.

 

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