Ai parenti entro il quarto grado è consentita l’adozione c.d. mite del minore in caso di impossibilità di affidamento preadottivo

di avv. Chiara Curculescu

IL CASO. I nonni cui era affidata la nipote minore (affidamento disposto inizialmente in via provvisoria e urgente poi confermato dal Tribunale per i Minorenni di Roma) proponevano ricorso ai sensi dell’art. 44 lett. d) L.184/1983, chiedendone l’adozione per constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Avverso il rigetto della domanda disposto con sentenza n. 285/2021, i nonni proponevano appello avanti la Corte d’Appello di Roma che, tuttavia, giungeva al rigetto del gravame sul presupposto che non fosse necessario formalizzare ulteriormente il rapporto intercorrente tra minore e nonni (essendo già presenti più tipologie di legami tra gli stessi, quali quello parentale, quello successorio e svolgendo il nonno il ruolo di tutore), e che la domanda fosse contraria alla previsione in base alla quale il minore può essere adottato da parenti fino al sesto grado, purché sia orfano di padre e di madre (art. 44 lett.a). Nel caso specifico, invece, i genitori erano presenti, seppure dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale.

Avverso la pronuncia di appello, i nonni proponevano ricorso per Cassazione sulla base di cinque motivi, tra loro connessi ed esaminati congiuntamente.

LA DECISIONE. Con sentenza n. 23173 del 31.7.2023 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dai nonni, cassando la pronuncia della Corte d’Appello di Roma e rinviando la causa a quest’ultima per il riesame della controversia sulla base dei principi enunciati.

Rilevata in via pregiudiziale l’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata dal giudice del gravame in materia di adozione speciale ex art. 44 L.184/1983, la Suprema Corte ha anzitutto enunciato il seguente principio di diritto: “in materia di adozione in casi speciali, ai sensi dell'art. 44 l.n. 184/1983, il termine, previsto a pena di decadenza, per la proposizione del ricorso per cassazione è quello ordinario, non potendo trovare applicazione il regime limitativo del diritto di impugnazione in sede di legittimità dettato dall'art. 17 della stessa legge, che ne prevede uno dimezzato rispetto a quello ordinario "breve", decorrente dalla notifica della sentenza nel testo integrale a cura della cancelleria, poiché norma di carattere speciale e di stretta interpretazione”.

Quanto alle censure rilevate dai nonni nei confronti della pronuncia di rigetto della domanda di adozione della nipote ai sensi dell’art. 44 lett. d) l. n. 184/1983, la Corte muove da un riepilogo delle principali caratteristiche dell’istituto dell’adozione c.d. mite o aperta, potendo esse trovare applicazione anche al caso dell’adozione speciale.

L’adozione mite non richiede l’accertamento di uno stato di abbandono e, pertanto, risulta necessario il consenso dei genitori, qualora questi siano presenti. Inoltre, diversamente da quanto previsto per l’adozione “piena”, possono permanere i legami e i rapporti dell’adottato con la famiglia d’origine.

Tale forma di adozione, nelle plurime ipotesi in cui può presentarsi, risponde quindi a due fondamentali rationes: “la prima consiste nel valorizzare l'effettività di un rapporto instauratosi con il minore; la seconda, chiaramente espressa nel dato normativo, risiede nella difficoltà o nella impossibilità per taluni minori di accedere all'adozione piena”.

Sulla base di ciò, anche la nozione di impossibilità di cui all’art. 44 lett. d) – che si pone quale norma di chiusura e residuale – ha subito un’applicazione in via estensiva ai casi del c.d. semi-abbandono permanente, ovvero quei casi in cui il minore non è abbandonato, ma i genitori si trovano in una situazione tale da impedirne in modo permanente l’esercizio della responsabilità genitoriale.

Come già affermato dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 383/1999, conformemente al principio ispiratore della disciplina delle adozioni – quello dell’effettiva realizzazione degli interessi del minore – l’ipotesi di cui alla lett. d) dell’art. 44 “non esige che sia concretamente tentato l'affidamento preadottivo e ne sia constatata l'impossibilità quando il minore venga richiesto in adozione da parenti entro il quarto grado idonei a fornirgli l'assistenza materiale e morale di cui ha bisogno”.

La Suprema Corte ha inoltre ribadito che “l'adozione in casi particolari è primariamente diretta a tutelare l'interesse del minore a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate e presuppone un giudizio sul miglior interesse del minore e un accertamento sull'idoneità dell'adottante”. Il giudizio sul migliore interesse del minore, precisa la Cassazione, postula un raffronto con la condizione giuridica del minore adottato, che è equiparata allo status di figlio minorenne e che offre all’adottato una tutela più incisiva rispetto a quella che allo stesso viene assicurata tramite la nomina di un tutore e l’affidamento temporaneo, che nel caso specifico erano per l’appunto già presenti.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è quindi il seguente: "In materia di adozione in casi speciali, ai sensi dell'art. 44 lett. d) l.n. 184/1983, ai parenti entro il quarto grado del minore, i quali prestino a quest'ultimo l'assistenza materiale e morale che i genitori non sono più in grado di offrire e risultino all'uopo idonei, è consentita la possibilità dell'adozione cd. mite, a ciò non ostando la previsione di cui alla lett. a) del medesimo articolo, in conformità al principio ispiratore di tutta la disciplina, finalizzato all'effettiva realizzazione del preminente interesse del minore, da valutarsi, secondo l'evoluzione del diritto vivente, con riguardo all'esigenza di favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e coloro che già si prendono cura di lui e di garantirgli una tutela giuridica più incisiva, corrispondente alla condizione dell'adottato in casi particolari, che è equiparabile allo "status" di figlio minore”.

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