Animali di affezione: dalla tutela generale al regime di affidamento nella crisi di coppia

01 GIUGNO 2023 | Varie

di avv. Rebecca Gelli e avv. Maida Milàn

  1. Gli animali di affezione

In senso etimologico, la parola animale deriva dal latino “animalis”, quale derivato di “anima”, e nella sua accezione più ampia indica ogni organismo vivente dotato di sensi e capace di movimenti, uomo compreso; in senso comune, gli animali sono le “bestie”, cioè gli esseri viventi, diversi dalle piante, per definizione etimologica non dotati di coscienza e ragione.

Da un punto di vista del diritto civile, l’animale rientra, invece, nella categoria dei beni mobili, in quanto tali possibili oggetto di diritti reali e obbligatori.

L’art. 923 c.c. prevede, in particolare, che gli “animali che formano oggetto di caccia e pesca” possano essere acquistati a titolo originario, al pari delle cose abbandonate, per effetto di occupazione.

L’art. 925 c.c. dispone, inoltre, che gli “animali mansuefatti” possono essere inseguiti dal proprietario nel fondo altrui, salvo il diritto del vicino a un’indennità per il danno. Essi appartengono a chi se ne è impossessato, se non sono reclamati entro venti giorni da quando il proprietario ha avuto conoscenza del luogo dove si trovano.

Il codice civile del 1942, frutto di un’Italia tradizionale a vocazione prettamente rurale, parla, dunque, degli animali soltanto come oggetto di allevamento o prelievo venatorio.

Solo con la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 13 novembre 1987, il diritto ha riconosciuto l’importanza degli animali da compagnia, come valore per le persone e la società, proprio per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita umana. Si è introdotto così il concetto di “animale di affezione” riferito ad: “ogni animale tenuto o destinato ad essere tenuto dall’uomo, specialmente presso l’alloggio, per compagnia o diletto, senza fini produttivi o alimentari” (art. 1 Convenzione).

Detta Convenzione è stata ratificata in Italia solo con la l.n. 201/2010. Nel frattempo, con l.n. 281/1991 (“Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”), lo Stato italiano ha adottato specifiche disposizioni, tra cui l'istituzione dell'anagrafe canina presso i comuni o le unità sanitarie locali, nonché le modalità per la relativa iscrizione e per il rilascio al proprietario o al detentore della sigla di riconoscimento del cane, da imprimersi mediante tatuaggio indolore; ha, altresì, sanzionato penalmente gli atti di crudeltà, i maltrattamenti e l’abbandono degli animali di affezione, al fine di favorirne la corretta convivenza con l’uomo e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente (oggi principi di rilievo costituzionale, in esito alle modifiche degli artt. 9 e 41 Cost., ad opera della l. cost. n. 1/2022).

Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28.2.2003 (“Recepimento dell’accordo tra Ministero della Salute, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e pet‐therapy”) si è specificato, inoltre, che, per “animale da compagnia” si intende: “ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall'uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all'uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet‐therapy, da riabilitazione e impiegati nella pubblicità. Gli animali selvatici non sono considerati animali da compagnia”.

In assenza di una specifica elencazione, in presenza di un rapporto affettivo, tutti gli animali possono essere considerati da compagnia ad esclusione di quelli che vengono definiti selvatici, ossia animali che non possono, per la loro natura, adattarsi alla cattività. Un’elencazione degli animali da compagnia si rinviene, tuttavia, nel Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sui movimenti a carattere non commerciale di Animali da Compagnia n. 576‐577/13.

  1. La tutela generale

Questo mutamento della normativa ha, quindi, portato all’affermazione giuridica di un dovere morale degli esseri umani di rispettare gli animali, compresi quelli randagi, perché sono tutti esseri senzienti, capaci di provare sofferenza e dolore.

Il loro benessere non è, quindi, rimesso alla sola coscienza del singolo detentore: chiunque deve evitare di causare inutili dolori, sofferenze o afflizioni ad un animale da compagnia; per i proprietari tale dovere si declina nella necessità di occuparsi di loro in modo responsabile, procurando una sistemazione adeguata, assicurando movimento, cure ed attenzioni che tengano conto dei relativi bisogni etologici.  

Devono essere, pertanto, garantiti modalità di addestramento “gentile”; non possono essere somministrate sostanze volte ad aumentare o diminuire il livello naturale delle prestazioni; gli animali da compagnia non possono essere utilizzati o sfruttati per manifestazioni pubbliche e/o private, salvo che vengano garantite condizioni tali da garantirne il benessere.

Con Decreto del Ministro della Salute n. 10 del 13.01.2007, sono state altresì previste regole per la tutela dell’incolumità pubblica: partendo dall’assunto che non esistono razze di cani ontologicamente pericolose, è stato previsto il divieto di tecniche di addestramento, nonché qualsiasi operazione di selezione o incrocio tra razze intese ad esaltare l’aggressività dei cani.

È stata vietata anche la sottoposizione di cani a doping (come definito dalla l.n. 376/2000); sono stati vietati gli interventi chirurgici volti a modificare l’aspetto di un animale o finalizzati a scopi non terapeutici (taglio di orecchie, coda, corde vocali; esportazione unghie e denti); l’animale da compagnia può essere soppresso solo se gravemente malato e con metodi eutanasici.   

È stato, infine, previsto l’obbligo per i proprietari e detentori di cani di applicare la museruola o il guinzaglio, quando li conducono nelle vie o in altro luogo aperto al pubblico, e di applicare entrambi quando li conducono in un locale pubblico o su un pubblico mezzo di trasporto, ovvero se si tratti di esemplari di una razza “a rischio di aggressività” , i possessori devono anche stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile contro eventuali danni a terzi.

In base all’art. 727 c.p. “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito attitudini alla cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”. L’abbandono (rottura, interruzione del rapporto di affezione e del dovere di custodia e cura da parte del soggetto detentore) è sanzionato a prescindere dalla prova che vi sia sofferenza per l’animale.

  1. Il regime di affidamento nella crisi di coppia

Questa nuova sensibilità sociale sul benessere degli animali da affezione, che ha coinvolto in primis il diritto penale e le regole di comportamento verso di loro, ha esplicato i suoi riflessi anche nell’ambito del diritto di famiglia. 

A tal proposito, giace in Parlamento un disegno di legge n. 960/2013, volto all’introduzione di un art. 455-ter c.c., recante specifiche disposizioni atte a regolamentare l’affido degli animali presenti in famiglia, in caso di separazione tra i coniugi.

A quanto consta, si tratta tuttavia solo di una proposta de jure condendo: sicché, allo stato, manca un preciso quadro normativo di riferimento.

Nel silenzio della legge, la questione relativa al regime di affidamento degli animali domestici dopo la crisi di coppia è, dunque, demandata alla giurisprudenza, la quale, di norma, risolve le controversie facendo applicazione analogica delle disposizioni previste a tutela dei minori.

Nei casi finora sottoposti al vaglio giudiziale, i Tribunali di merito hanno, pertanto, deciso, orientandosi sulla base dell’interesse al benessere materiale e spirituale dell’animale conteso, propendendo, di volta in volta, per un regime di affidamento alternato (Trib. Sciacca, 19 febbraio 2019) o condiviso (Trib. Roma, 15 marzo 2016; Trib. Cremona, 11 giugno 2008).

Nella fattispecie, la Cassazione non si discosta dai principi espressi dai precedenti in questione, che vengono confermati in via di obiter dictum, ma approda ad una soluzione di segno contrario, in ragione delle peculiarità della fattispecie sub iudice.

La pronuncia in commento (Cass. 24 marzo 2023 n. 8459), confermando in ciò la sentenza di appello (App. Venezia, 16 febbraio 2022), ha, dunque, negato il diritto di visita della ricorrente, per mancanza di prova circa l’instaurazione di un rapporto affettivo significativo con il cane.

L’assenza di tale legame è stata desunta anche in considerazione dell’instabilità della relazione sentimentale tra le parti, caratterizzata da una frequentazione di appena quattro mesi, nemmeno sfociata in una convivenza more uxorio.

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