La mancata somministrazione degli alimenti non è sufficiente di per sé a configurare l’ingiuria grave ai fini della revoca della donazione

07 GIUGNO 2024 | Successioni e donazioni

di Avv. Fulvia Cattarinussi

La Corte di Cassazione, sez. II civile, con sentenza n. 3811 del 12 febbraio 2024, ha chiarito che l’ingiuria grave, richiesta dall’art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità della donazione per ingratitudine, si caratterizza per la manifestazione esteriore del comportamento del donatario, che deve dimostrare un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante e mancare di rispetto alla dignità del donante medesimo. Pertanto, il mero inadempimento del donatario all’obbligo di somministrazione degli alimenti al donante non esprime di per sé profonda e radicata avversione verso lo stesso, né un sentimento di disistima delle sue qualità morali.

IL CASO.

IL TRIBUNALE.  Con contratto risalente all’ottobre 2002, Tizio aveva trasferito un immobile di sua proprietà alla sorella Caia, la quale si era obbligata ad assisterlo senza alcun corrispettivo. Successivamente Caia, però, non aveva concesso alloggio, né somministrato gli alimenti in favore del fratello ed aveva altresì fatto accendere allo stesso un finanziamento presso Banco Posta dell’importo di Euro 20.000,00, che aveva poi utilizzato per far fronte alle proprie necessità.

Tizio adiva il Tribunale di Treviso chiedendo, in via principale, la dichiarazione della risoluzione per inadempimento delle obbligazioni contenute nel contratto e, in via subordinata, per il caso in cui l’atto fosse stato qualificato come donazione modale, la revoca della donazione per ingratitudine.

Il Tribunale di Treviso rigettava le domande.

LA CORTE D’APPELLO. Sull’appello di Tizio si pronunciava la Corte d’appello di Venezia, accogliendo parzialmente il gravame. In particolare la Corte riteneva che Caia non solo non avesse adempiuto agli oneri previsti nell’atto di donazione ma, facendo accendere un finanziamento per soddisfare un proprio interesse personale, aveva anche esposto il fratello al rischio di ritrovarsi in una situazione debitoria. Per la Corte distrettuale tale comportamento era sufficiente ad integrare un atteggiamento irrispettoso della dignità del donante.

LA CORTE DI CASSAZIONE. Caia proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Col primo motivo, Caia deduceva la violazione dell’art. 801 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistenti i requisiti necessari per la revoca della donazione per ingratitudine sulla scorta di una mera valutazione oggettiva dei comportamenti tenuti da Caia, ovvero per il mancato adempimento degli oneri previsti dall’atto di donazione e per aver fatto accendere al fratello un finanziamento, laddove l’ingiuria grave verso il donante consisterebbe nel comportamento del donatario con il quale si rechi pregiudizio all’onore ed al decoro del donante.

Secondo la ricorrente, il comportamento da lei tenuto non sarebbe stato lesivo della dignità del donante tanto più che il suo inadempimento agli obblighi previsti dall’atto di donazione sarebbe stato dovuto dall’inasprimento dei rapporti familiari, che le avrebbero impedito di prestare assistenza morale e materiale al fratello. Relativamente all’accensione del mutuo, sottolineava che non aveva arrecato alcun pregiudizio al donante poiché aveva adempiuto al pagamento delle rate.

Col secondo motivo, Caia deduceva l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio con riferimento alle circostanze familiari che non avrebbero consentito alla ricorrente di prendersi cura del fratello.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il primo motivo e assorbito il secondo.

Precisamente, la Corte ricorda che

l’ingiuria grave richiesta dall’art. 801 c.c. quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore e al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriore del comportamento del donatario, che deve dimostrare un durevole sentimento di disistima delle qualità morali del donante e mancare di rispetto alla dignità del donante. L’ingiuria deve pertanto essere espressione di radicata e profonda avversione o di perversa animosità verso il donante”.

In particolare, secondo gli Ermellini, il comportamento del donante andrebbe valutato non solo sotto il profilo oggettivo, ma anche nella sua potenzialità offensiva del patrimonio morale del donante, in quanto rivolta a ledere la sua sfera morale, “tale da essere contraria a quel senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbe improntare l’atteggiamento del donatario”. 

Secondo la Suprema Corte, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere integrati i requisiti della revoca per ingratitudine dal mero inadempimento della donataria all’obbligo di somministrazione degli alimenti al donante e dall’accensione del suddetto mutuo, in quanto detti comportamenti di per sé non esprimono profonda e radicata avversione nei confronti del donante, né un sentimento di disistima delle sue qualità morali.

La Corte d’appello avrebbe dovuto, per ritenere integrati i requisiti di cui all’art. 801 c.c., non fermarsi alla valutazione degli atti in sé e per sé compiuti dal donatario, ma avrebbe semmai dovuto indagare e valutare se detti comportamenti fossero asseritamente ingiuriosi alla luce dell’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità.

La Corte di cassazione ha quindi accolto il ricorso, cassata l’impugnata sentenza e rinviato alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

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