Il testamento non è un atto recettizio

29 APRILE 2023 | Successioni e donazioni

di avv. Fulvia Cattarinussi

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1873 del 3 febbraio 2023, in occasione di una domanda proposta dall’erede di accertamento negativo di un credito dichiarato dal de cuius nel testamento, esamina la natura giuridica del testamento ribadendo che, richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il testamento non è un atto recettizio bensì un atto unilaterale le cui dichiarazioni non sono idonee di per sé a produrre effetti immediati nella sfera dei destinatari.

IL CASO. In data 15.5.2016, decedeva la sig.ra Tizia, madre di tre figli: Caia, Mevio e la premorta Sempronia che lasciava a sé superstiti due figli maggiorenni e due figli minorenni, questi ultimi sottoposti alla responsabilità genitoriale di Mevio e della nuova moglie Filana.

Tizia, prima di morire, aveva disposto delle sue sostanze con testamento olografo pubblicato il 30.5.2016, nel quale la stessa dichiarava di avere prestato alla figlia Caia ed al marito Caio la somma di Euro 258.000,00 nell’anno 2003, per l’acquisto di un Bar, e la somma di Euro 178.000,00, nell’anno 2008, per l’acquisto delle mura della stessa attività, con la promessa di restituzione; dichiarava, inoltre, che nell’anno 2016 l’attrice le aveva sottratto dalla cassaforte la somma di Euro 70.000,00, oltre a diversi gioielli in essa custoditi.

Con atto di citazione Caia e Caio convenivano in giudizio i coeredi e l’esecutore testamentario dinanzi al Tribunale di Roma, al fine di sentire accertare e dichiarare, in via principale, l’inesistenza, ovvero, in via subordinata, la prescrizione delle pretese creditorie riportate nella scheda testamentaria redatta in data 25.2.2016 dalla de cuius Tizia e resa pubblica il 30.5.2016, e precisamente del credito di Euro 436.000,00 asseritamente vantato dalla testatrice nei confronti di entrambi gli attori, nonché, nei confronti della sola Caia del credito di Euro 70.000,00, oltre che dell’obbligo di restituzione di alcuni gioielli.

Si costituivano in giudizio Mevio e l’esecutore testamentario chiedendo, in via preliminare, di accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva dell’esecutore testamentario e la carenza di legittimazione attiva di Caio, di dichiarare improcedibile l’azione per mancato esperimento della mediazione obbligatoria in materia successoria e, nel merito, di accertare e dichiarare la nullità dell’azione ex adverso proposta per la violazione dell’art. 606 c.c., poiché esperita nei confronti di soggetti estranei alle dichiarazioni di credito, formulata in maniera indeterminata, chiedendo il rigetto della domanda.

Mevio chiedeva altresì, in via riconvenzionale, che accertata l’indebita appropriazione da parte di Caia della somma di Euro 130.000,00, venisse pronunciata la condanna della predetta alla restituzione, con interessi ex art. 1284 c.c. e/o legali, oltre al risarcimento dei danni derivati dalla mancata restituzione delle somme e per lite temeraria.

Gli altri convenuti non si costituivano in giudizio e ne veniva dichiarata la contumacia.

Venivano concessi i termini ex art. 183, VI comma, c.p.c., rigettate le istanze istruttorie, precisate le conclusioni all’udienza del 20.10.2022, il Giudice tratteneva la causa in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.

LA SENTENZA. Secondo il Tribunale di Roma sussiste la legittimazione attiva di entrambi gli attori, destinatari delle dichiarazioni rese nella scheda testamentaria, poiché il giudizio non verte sulla validità o sull’autenticità del testamento, ma sull’accertamento dell’insussistenza del credito vantato dalla defunta.

Con riguardo alla portata delle dichiarazioni, il Tribunale di Roma rileva che

il testamento non è un atto recettizio ai sensi dell’art. 1334 c.c., bensì un atto unilaterale, le cui dichiarazioni sono inidonee a produrre effetti immediati nella sfera dei destinatari e sul piano probatorio equivalgono ad una dichiarazione resa da un terzo”.

Rileva invece il difetto di legittimazione passiva dell’esecutore testamentario in quanto estraneo ai rapporti dedotti.

Secondo il Tribunale di Roma, la domanda non è invece supportata dall’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c. non essendo concreta ed attuale la paventata lesione.

Richiamando le pronunce della Cassazione, ricorda che

anche chi agisca per un accertamento negativo del diritto altrui dev’essere titolare di un interesse attuale e concreto che il giudice deve accertare anche d’ufficio…un tale interesse sussiste, infatti, soltanto quando l’azione di accertamento miri a far conseguire un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice, mediante la rimozione di uno stato di incertezza”.

Nel caso in esame, non essendo le dichiarazioni della testatrice di per sé capaci di attribuire a Caia e Caio la qualità di debitori dell’eredità, né risultava che gli eredi abbiano mai preteso le somme richiamate dalla madre nel testamento, né che abbiano introdotto il giudizio di divisione in seno al quale ricostruire il patrimonio ereditario, compresi i crediti,

si ritiene non sussistere l’interesse ad agire”, mancando di quei requisiti di attualità e concretezza. “L’azione di accertamento negativo comunque deve mirare a far conseguire un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa”.

Se il testamento non è un atto recettizio e le dichiarazioni ivi contenute non conferiscono certezza al credito, l’interesse all’accertamento negativo potrebbe sorgere solamente dal momento di una specifica e concreta richiesta stragiudiziale o per effetto di atti di esercizio del diritto; in assenza non sussistono le condizioni di attualità e concretezza dell’interesse ad accertare l’inesistenza di un credito mai effettivamente preteso.

In particolare, evidenzia il giudice di prime cure, i convenuti non hanno mai richiesto agli attori le somme che la defunta aveva scritto di avere prestato senza che fossero state restituite; risulta infatti che gli eredi siano stati parti di quattro tentativi di mediazione negli anni 2017 e 2018 e che nessuna di queste procedure aveva avuto ad oggetto la restituzione degli importi indicati in scheda testamentaria.

Inoltre, specifica il Tribunale, nemmeno la lettera del 15.6.2016 ricevuta da parte di un coerede poteva considerarsi formale diffida di restituzione della somma di Euro 70.000,00 e dei gioielli, in quanto in realtà semplicemente ricordava a Caia che la somma di denaro e i gioielli costituivano beni da far confluire nella massa ereditaria.

Inoltre, i convenuti nemmeno nel corso del procedimento in questione hanno esperito domanda riconvenzionale di restituzione delle somme e dei gioielli.

Il Tribunale di Roma quindi dichiara la carenza di interesse ad agire degli attori e inammissibile la domanda principale; respinge anche la domanda riconvenzionale, non avendo l’attore onerato offerto la prova del fatto costitutivo del diritto, avendo omesso di fornire elementi conoscitivi atti a provare le circostanze dedotte in giudizio.

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