Condizione testamentaria e mancato avveramento per volontà dello stesso testatore

11 NOVEMBRE 2024 | Successioni e donazioni

di Avv. Alessandra Buzzavo

Con l’ordinanza 19.9.2024 n. 25116 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del mancato avveramento della condizione sospensiva prevista dal testatore nel testamento e non avveratasi per volontà dello stesso testatore.

IL CASO.

Tizio nel proprio testamento aveva espresso la volontà di lasciare tutto il suo patrimonio ai nipoti, precisando quanto segue: ‘chiedo loro che si impegnano ad accudirmi in mia vita natural durante in mio Comune … frazione…. di …..’.

Nel giudizio di primo grado il Tribunale, per quanto riguarda l’impegno dell’accudimento, aveva statuito che si trattava di un mero desiderio, privo di efficacia condizionante, precisando altresì che la conclusione non sarebbe mutata laddove lo si fosse qualificato come onere, trattandosi di un adempimento originariamente possibile e poi divenuto impossibile per decisione del testatore, il quale aveva categoricamente rifiutato di trasferirsi nel paese natio ed essere accudito dai nipoti.

In seguito la Corte d’appello di Trieste rigettava l’appello, con modifica ed integrazione della motivazione della sentenza di primo grado nei seguenti termini:

- doveva escludersi trattarsi di onere per la ragione decisiva che tale istituto presuppone l’avvenuta delazione, mentre nel caso si trattava di prestare assistenza al testatore in vita;

- dal complessivo vaglio probatorio doveva escludersi che il testatore vollesse esprimere un mero desiderio privo di rilevanza giuridica.

Per i giudici di secondo grado la previsione del testatore integrava una condizione sospensiva, divenuta impossibile per successivo fermo volere del disponente, ma non originariamente tale (da qui la non applicabilità per la Corte di Trieste del disposto di cui all’art. 634, II co., c.c.). Piuttosto doveva trovare applicazione l’art. 1359 c.c., riferibile anche ai comportamenti di chi abbia dimostrato, con una condotta successiva, di non avere più interesse al verificarsi della condizione, con la conseguenza che la condizione deve ritenersi adempiuta.

CORTE DI CASSAZIONE. In sede di ricorso per Cassazione, i ricorrenti hanno fatto valere la circostanza per cui la Corte di Trieste avrebbe dovuto applicare l’art. 1362 c.c. secondo la consolidata giurisprudenza: nell’interpretazione del testamento, bisogna guardare al dato letterale e solo nel caso dubbio, è possibile risalire al comportamento del testatore.

Non era quindi sufficiente per i ricorrenti la mera assunzione dell’obbligo di accudimento, ma il suo effettivo svolgimento che non era avvenuto.

Per gli Ermellini tali censure non erano degne di accoglimento. Per l’effetto è stato rigettato il ricorso, ma con motivazione diversa rispetto a quella adottata dalla Corte di Trieste.

 

La Cassazione, infatti, non ha ritenuto corretto il richiamo all’art. 1359 c.c. in quanto tale norma regola i rapporti tra le parti di un contratto, così da evitare che la parte che sarebbe favorita dal non avveramento della condizione si adoperi in tale direzione, in danno dell’altra parte. La natura unilaterale del testamento esclude invece l’applicabilità di tale norma tanto che l’art. 634 c.c. pone una disciplina del tutto diversa rispetto a quella dei contratti, in continuità con la c.d. regola sabiniana volta a salvaguardare la volontà del testatore.

Ora l’art. 634 c.c., a tutela della volontà del testatore, considera come non apposte le condizioni impossibili e quelle contrarie a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

Secondo la Suprema Corte la condizione apposta da Tizio al proprio lascito testamentario non rientrava in alcuna di dette categorie; inoltre il mancato avveramento è dipeso dalla volontà dello stesso Tizio, che non ha voluto essere assistito in vita dai nipoti. Trattasi pertanto di una condizione revocata per volontà dello stesso testatore.

Ed, infatti, è stato proprio Tizio ad impedire l’avveramento della condizione e, nonostante ciò, a tener ferma la designazione ad eredi dei nipoti. Pertanto, ferma la non applicabilità dell’art. 1359 c.c., i principi di salvaguardia della volontà del testatore impongono la salvezza della istituzione testamentaria non revocata, nonostante la revoca della condizione sospensiva apposta per condotta incompatibile del disponente.

In conclusione la Corte di Cassazione ha pronunciato il seguente principio di diritto:

ove il testatore, dopo avere apposta una condizione sospensiva, dipendente anche dalla sua volontà, alla disposizione testamentaria, ne impedisca l’avveramento, la disposizione testamentaria, ove non revocata, resta pienamente efficace”, con rigetto del ricorso e condanna dei ricorrenti alle spese di giudizio.

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