“IMA-GO Condividile con cura”: il manuale per la condivisione consapevole delle immagini dei minori affetti da patologie gravi o inguaribili

12 DICEMBRE 2024 | Riservatezza

di Avv. Barbara Carnio

Lo scorso 22.11.2024, in occasione dell’ultimo Congresso della Società Italiana di Cure Palliative, la Fondazione Maruzza ha presentato la prima guida dedicata alla gestione consapevole dell’immagine dei minori con patologie gravi o inguaribili.

Il documento è stato intitolato “IMA-GO. Condividile con Cura! Manuale per la condivisione consapevole delle immagini dei minori con malattia inguaribile” e “si propone come uno strumento pratico e di riflessione per genitori, caregiver, operatori sanitari ed enti, aiutandoli nella gestione di situazioni delicate in cui la necessità di condividere esperienze si può scontrare con i rischi legati alla protezione dell’identità del bambino”.

Nella prefazione del documento si legge, infatti, che l’utilizzo dell’immagine del bambino ammalato e della sua sofferenza, anche se avviene nell’ambito della promozione di campagne di sensibilizzazione e raccolta fondi, pone “quesiti estremamente specifici in ordine alla lesione della dignità del minore, da una parte, e al perseguimento di obiettivi di normalizzazione sociale della diversità e della disabilità, dall’altro”.

L’obiettivo del manuale è quello di “stimolare, con delicatezza, genitori, operatori sanitari ed enti, ad una riflessione su come (e se), stanno gestendo l’immagine di chi è loro affidato, soprattutto quando questi non può comunicare loro alcuna forma di assenso rispetto alla condivisione della sua immagine sui social network”.

La parte centrale del documento si compone di tre decaloghi (ciascuno con le relative note esplicative): uno per i genitori, uno per gli operatori sanitari e uno per gli enti e le istituzioni.

Ai genitori si chiede, ad esempio, di prestare attenzione alla condivisione sui social di immagini/video del figlio malato, interrogandosi prima sul reale motivo della condivisione e sull’utilità che può avere per coloro che vivono una situazione simile. E di non condividere nulla che non sia rispettoso della dignità del figlio (evitando, quindi, nudità o, comunque, situazioni denigranti, umilianti o discriminanti) proteggendo sempre la sua privacy.

Viene sottolineato che “un contenuto una volta postato sul web è per sempre e può contribuire a formare l’opinione che gli altri hanno di noi”, perché rimuovere il contenuto potrebbe rivelarsi difficile o impossibile.

Anche se spesso i bambini con malattie inguaribili ad alta complessità assistenziale non hanno consapevolezza dei materiali digitali che li riguardano, ciò non significa che la loro identità futura debba essere legata per sempre al loro vissuto della malattia”.

Il documento rammenta che la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo attribuisce loro il diritto

ad un futuro aperto che non sia vincolato e condizionato da ciò che è stato mostrato o detto su di loro, indipendentemente dalla loro aspettativa di vita e dalle loro capacità”.

Importante è anche condividere con l’altro genitore ciò che si intende pubblicare per promuovere “un approccio equo e collaborativo alla genitorialità” e per evitare incomprensioni che potrebbero degenerare in controversie.

Invita inoltre i genitori a chiedersi come potrebbero reagire gli utenti di fronte alla pubblicazione, tenendo in considerazione che ci possono essere anche “individui malevoli” che “possono prendere di mira il bambino o la famiglia, utilizzando commenti offensivi, minacce o altre forme di bullismo on line”.

Va anche considerato che i social non sono la sede opportuna per esprimere valutazioni sul personale sanitario, giudizi che in ogni caso richiedono “una maggiore consapevolezza rispetto a quando scriviamo riguardo a un ristorante o un hotel” rischiando a volte di superare “il confine tra la critica e la diffamazione”.

Così come viene sottolineato il rischio di affidarsi a diagnosi o suggerimenti terapeutici presenti nei social che andrebbero, invece, ottenuti esclusivamente dal proprio medico anche perché nelle ricerche sul web

interviene un processo mentale denominato bias di conferma, ovvero la tendenza cognitiva a cercare, interpretare e ricordare le informazioni in modo che confermino le nostre convinzioni preesistenti

Infine, riconosce che i social sono un ottimo strumento per le raccolte fondi: è, però, in tal caso fondamentale la trasparenza verso i donatori. Va fin da subito specificato l’obiettivo economico e lo scopo; non vanno accettate donazioni ulteriori dopo che lo scopo è stato raggiunto e vanno dimostrate le spese sostenute.

Anche agli operatori sanitari viene chiesto di prestare attenzione alla condivisione sui social, rispettando sempre la dignità e la riservatezza del malato e chiedendo, in ogni caso, il consenso al minore e/o alla famiglia adeguandosi alle loro decisioni su cosa, come e quando esibire.

Il manuale precisa che

il consenso allo scatto di una fotografia o alla realizzazione di un filmato non autorizza la loro pubblicazione e condivisione” per le quali “è necessario ottenere un consenso specifico da parte dei genitori o dei tutori del minore ritratto, senza il quale si configura una violazione della privacy dei diretti interessati”.

Il consenso è necessario anche quando le storie di minori malati sono destinate ad essere utilizzate per scopi formativi: in tal caso va spiegato alle famiglie in modo chiaro “l’uso previsto, i potenziali rischi e benefici”.

Agli operatori sanitari si chiede, inoltre, di verificare se la struttura presso cui operano ha adottato un Regolamento o un Codice di condotta, di tenere presente che le piattaforme social non solo la sede per fare diagnosi, e vengono invitati a “non strumentalizzare la carica emotiva di immagini o video particolarmente toccanti di minori malati” e di evitare di “trasformarle in un mezzo di mera autopromozione”.

Un medico, peraltro, dovrebbe accettare di rispondere all’invio di foto e video da parte dei genitori di un minore malato “solo in determinate circostanze e con estrema cautela” (ad esempio se il minore è già un suo paziente e se la visione dell’immagine è fondamentale per comprendere la gravità e l’urgenza della situazione).

Infine gli operatori sanitari dovrebbero essere a conoscenza dei rischi e delle opportunità che i social offrono nella condivisione del vissuto della malattia e dovrebbero dare ai pazienti e alle famiglie “le indicazioni su come utilizzarli per connettersi con la comunità, trovare sostegno e condividere esperienze in modo positivo e costruttivo, evitando comportamenti che possano compromettere la sicurezza e la privacy”.

Agli Enti e Istituzioni viene, tra l’altro, attribuito il compito di monitorare le condivisioni sui social e di migliorare e aggiornare costantemente i servizi offerti on line attraverso il proprio sito web e i profili social media che spesso sono “il primo punto di contatto con il pubblico e offrono riferimenti scientificamente validi e risposte a molti dubbi di natura medica”.

Viene, inoltre, sottolineata l’importanza di regolare l’uso dei social media da parte dei dipendenti e formare questi ultimi su come utilizzarli in modo sicuro ed efficace.

E’ importante che non vengano diffuse opportunità di cure non realistiche o non supportate da dati scientifici, anche se ciò può offrire una maggiore visibilità sui media, perché creerebbe un danno alla salute pubblica e individuale.

Le ultime due parti del documento sono dedicate ai profili di tutela giuridica della condivisione del minore sul web ed all’analisi della rappresentazione mediatica dei minori vulnerabili.

Ampio spazio viene dedicato al fenomeno dello Shareting (la pratica dei genitori di condividere informazioni dettagliate, foto e video dei propri figli sui social media) e sull’importanza di tutelare i diritti della personalità del minore e la sua immagine, che diventa ancora più delicato quando riguarda un minore affetto da una malattia inguaribile poiché, oltre al rischio di violare la dignità del minore, va considerato anche l’eventuale conflitto con gli obiettivi sociali della sensibilizzazione e dell’inclusione sociale.

Il tutto tenendo comunque conto che “i social potrebbero aver un ruolo importante nella diffusione di una cultura delle cure palliative pediatriche che incontra ancora oggi molte resistenze”.

Genitorialità, professionalità e cittadinanza attiva non possono quindi prescindere da conoscenza, consapevolezza e responsabilità.

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