Nel divorzio congiunto la revoca del consenso da parte di uno solo dei coniugi è irrilevante ai fini della decisione

Con ordinanza n. 10463/2018, pronunciata nell’ambito di una procedura di divorzio congiunto, la Cassazione compie un excursus sulle peculiarità procedurali di questo istituto, e ribadisce che la rinuncia formulata da parte di uno solo dei coniugi è inammissibile, poiché alla domanda congiunta possono validamente rinunciare solo entrambe le parti congiuntamente
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 5283/16, aveva rigettato l’impugnazione proposta contro la decisione del Tribunale di Viterbo n. 784/2012 che, a seguito di ricorso congiunto, aveva pronunciato il divorzio dei coniugi.
Avverso tale sentenza d’appello era stato proposto ricorso per Cassazione, denunciando la violazione degli artt. 4 della legge 898/1970 e 101 c.p.c. rilevandosi, in particolare, come “la Corte Capitolina non abbia interpretato la normativa richiamata nel senso di favor per la conservazione del matrimonio, a fronte di condotte processuali delle parti significative in tal senso”.
La Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio.
Osserva preliminarmente la Corte che “la norma dell’art. 4, comma 16, legge n. 898 del 1970, prevede esclusivamente che i coniugi debbano essere sentiti,…. Ma non prevede né il tentativo di conciliazione, né l’adozione di provvedimenti provvisori ed urgenti da parte del presidente, se non nella sola ipotesi in cui -il tribunale ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi-, nel qual caso procederà ai sensi del comma 8 dello stesso articolo”; in tale contesto “nessuna violazione del contraddittorio debba ritenersi, pertanto, sussistente, una volta accertato dal giudice di seconde cure che (n.d.r.: il marito) era stato messo in condizioni più volte… di comparire personalmente davanti al Presidente del Tribunale”.
Continua la Cassazione affermando che “il fondamento della domanda congiunta di divorzio…, è da individuarsi nella concorde volontà dei coniugi di dar luogo al divorzio, riconoscendone la sussistenza dei presupposti, e di disciplinare conseguentemente le condizioni…, mediante un accordo, in primo luogo sostanziale, circa la disciplina delle conseguenze dello scioglimento del rapporto matrimoniale, e, per l’effetto, processuale, circa la procedura scelta per la proposizione della domanda di divorzio”; essa deve essere considerata “una iniziativa processuale comune e paritetica che, non corrisponde né alla somma di due distinte domande di divorzio né alla adesione di una parte alla domanda avanzata dall’altra”, pertanto deve

reputarsi inammissibile una rinuncia unilaterale, poiché alla domanda congiunta possono rinunciare congiuntamente soltanto entrambe le parti

(Cass. Civ. 6664/1988, in senso contrario autorevole dottrina sostiene la validità della rinuncia unilaterale: De Filippis e Casaburi, Separazione e Divorzio nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2001, pag.543 e ss.; Finocchiaro, Pretesa irretrattabilità del consenso alla domanda congiunta di divorzio, Giust. civ., 1999, 822”).
Da ultimo, la Cassazione, richiamando i principi generali sulla contumacia  nel processo civile (Cass. Civ. 15777/2006), ha dichiarato che la mancata costituzione dell’altro coniuge nel giudizio di appello non ha significato “un’adesione implicita alla riforma della decisione di prime cure, non equivalendo la contumacia… ad ammissione dei fatti dedotti dall’attore o dall’appellante”.

 

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