La rinuncia al mantenimento del figlio maggiorenne fa venir meno il diritto del genitore convivente al contributo?

Con l’ordinanza n.32529/2018 la Cassazione civile ribadisce un consolidato orientamento per cui nel giudizio di revisione del contributo al mantenimento dei figli, minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, proposto ex art. 9 della l.n.898 del 1970, il giudice non può procedere ad una nuova valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, in base ad una diversa valutazione delle condizioni economiche delle parti considerate al momento della pronuncia di divorzio, ma deve limitarsi, nel rispetto di dette valutazioni, a verificare se le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio raggiunto ed adeguare l’obbligo della contribuzione o la sua entità alla nuova situazione patrimoniale.

Ciò in quanto “i giustificati motivi, la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di divorzio dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo.”

La Corte d’Appello di Potenza aveva, invero, confermato la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda di un padre diretta ad ottenere la revoca dell’assegno di mantenimento riconosciuto alla figlia maggiorenne, ma non ancora autosufficiente in ragione di alcune esperienze lavorative svolte dalla figlia nel periodo di tempo precedente l’emissione della sentenza di divorzio.

La Corte di Cassazione osserva che correttamente la Corte di appello non aveva ritenuto tali circostanze “fatti sopravvenuti”, tali da giustificare la revisione dell’assegno di mantenimento, ma “fatti anteriori alla sentenza di divorzio astrattamente già valutabili e/o valutati in quella sede”.

L’ordinanza n.32529/2018 si pronuncia, inoltre, in merito alla rilevanza della “rinuncia” all’assegno di mantenimento presentata dalla figlia nel giudizio di primo grado ed alla “legittimazione concorrente” della madre di fronte alla diversa volontà della figlia.

La figlia aveva, invero, presentato al Tribunale di Lagonegro una dichiarazione di rinuncia al mantenimento ritenuta ininfluente da quest’ultimo perché afferente a diritti indisponibili, valutazione poi confermata dalla Corte d’appello che a tale dichiarazione non aveva attribuito valore di rinuncia.

La Corte di Cassazione osserva che “il coniuge separato o divorziato, già affidatario è legittimato, “iure proprio” (ed in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio, che trova nella titolarità, in capo a quest’ultimo, del diritto al mantenimento) ad ottenere dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne. Pertanto, non potendosi ravvisare nel caso in esame una ipotesi di solidarietà attiva (che, a differenza di quella passiva, non si presume), in assenza di un titolo, come di una disposizione normativa che lo consentano, la eventuale rinuncia del figlio al mantenimento, anche a prescindere dalla sua invalidità, dovuta alla indisponibilità del relativo diritto, che può essere disconosciuto solo in sede di procedura ex art.710 c.p.c., non potrebbe in nessun caso spiegare effetto sulla posizione giuridico-soggettiva del genitore affidatario quale autonomo destinatario dell’assegno”.

La Corte di Cassazione riafferma l’orientamento già espresso (Cass. 18.02.1999 n.1353) per cui vi è legittimazione concorrente tra il figlio maggiorenne ed il genitore convivente:

il coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, è legittimato iure proprio, anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ove sia con lui convivente e non economicamente autosufficiente, ad ottenere dall’altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio; ne discende che ciascuna legittimazione è concorrente con l’altra, senza tuttavia che si possa ravvisare un’ipotesi di solidarietà attiva, trattandosi di diritti autonomi e non del medesimo diritto attribuito a più persone” (Cass.12.10.2007).

Da ciò la mancanza di effetto della rinuncia del figlio ai fini della diversa posizione giuridica del genitore.

 

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