Il Tribunale di Treviso applica il nuovo orientamento delle Sezioni Unite in tema di assegno divorzile

Con sentenza emessa l’8 gennaio 2019 il Tribunale di Treviso ha rigettato la domanda avanzata dalla resistente di ricevere dal marito un assegno divorzile, pur essendo costei priva di redditi propri, e pur sussistendo un significativo divario reddituale e patrimoniale tra i coniugi.
La pronunzia è assurta agli onori delle cronache con titoli “ad effetto”, che parlano di diniego di assegno divorzile alla moglie scansafatiche, da parte di un Giudice donna. L’acceso dibattito, che ne è seguito impone di individuare gli esatti termini della vicenda processuale.

IL CASO. Tizio, esponendo di aver contratto matrimonio in Venezuela con Caia nel 2007, che dall’unione non erano nati figli, che la procedura di separazione (non ancora conclusa) risaliva al 2015 con riconoscimento di un assegno di separazione alla moglie, chiedeva dichiararsi lo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3, n. 2, lett. b), L. n. 898/1970, con esclusione dell’obbligo di somministrazione di qualsivoglia assegno divorzile.
Deduceva di essere dipendente di una ditta italiana in Sud America, di non avere spese di alloggio, e di esser proprietario di un immobile in Italia, acquistato prima del matrimonio e gravato di mutuo ipotecario. Riferiva altresì che la moglie viveva in Italia dal 2014, era laureata in commercio estero, si era dimessa volontariamente dall’azienda presso la quale lavorava ante matrimonio, e pure da un’altra attività lavorativa procuratale dal marito presso la stessa azienda sua datrice di lavoro.
Caia si costituiva aderendo alla domanda di scioglimento del vincolo, ma chiedeva la corresponsione di congruo assegno di mantenimento, asserendo di aver lasciato il lavoro per seguire il marito, con decisione condivisa da entrambi. Dalla separazione non era, poi, più riuscita a reperire alcuna attività lavorativa, pur avendo inviato il proprio curriculum a numerose aziende.

LA SENTENZA. Il Tribunale di Treviso ha premesso la necessità di uniformare la decisione del caso alle indicazioni nomofilattiche contenute nella sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite della Suprema Corte in merito all’istituto dell’assegno divorzile.
Peraltro, ha dato atto dell’esistenza di alcune censure - soprattutto dottrinarie - alla pronuncia, la quale presenterebbe discrepanze tra la parte motiva ed il principio di diritto contenuto nel dispositivo. Ciò ingenererebbe confusione tra le diverse funzioni dell’assegno (assistenziale, compensativa e perequativa); ad aggravare il compito del  Giudice di merito nel risolvere i casi concreti, vi sarebbe la mancata indicazione di “strumenti certi, in particolare in relazione all’iter da seguire”.
La sentenza riportata appare, dunque, particolarmente significativa dell’orientamento del Tribunale di Treviso sull’istituto in oggetto.
Essa premette che “la funzione assistenziale dell’assegno divorzile, basata sull’aspetto solidaristico letto alla luce dell’art. 2 Cost., non può e non deve essere considerata come equiparata agli altri aspetti perequativo-compensativi”; ed, inoltre, che l’art. 5, 6° comma, legge div. è norma autosufficiente, nel senso che fornisce all’interprete tutti i parametri necessari alla sua applicazione concreta, così rendendo errata qualsiasi operazione ermeneutica fondata su criteri esterni alla norma stessa (cfr: tenore di vita matrimoniale, autosufficienza economica).  
L’estensore espone, quindi, il percorso logico-giuridico indicato nell’applicazione della norma alle varie fattispecie per attribuire o meno, ed in che termini, l’assegno divorzile:

a) Il Giudice dovrà innanzitutto accertare se sussista un rilevante divario nella situazione economica delle parti.
b) In ipotesi negativa, non potrà esservi diritto all’assegno divorzile. Solo in caso positivo, si dovrà comprendere – ed accertare – quale sia la causa di detto divario.
c) Se lo squilibrio sussiste (e non può essere colmato per ragioni oggettive) e deriva dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali del richiedente, conseguente all’assunzione concordata di ruoli svolti esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia, i quali abbiano costituito un contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune ed a quello dell’altro coniuge, allora la domanda di assegno andrà accolta.
d) Sotto il profilo del quantum, l’assegno andrà parametrato alla rilevanza dei sacrifici della parte debole in favore della famiglia, quali abbiano avuto efficacia causale nella formazione della situazione economica esistente al momento del divorzio. Con il limite massimo della somma necessaria e sufficiente per colmare lo squilibrio fra le posizioni economiche delle parti.
e) Qualora non vi siano state rinunzie e sacrifici da parte del richiedente, e l’eventuale divario economico abbia altre causali, se il coniuge debole non ha mezzi adeguati per vivere e non è in grado di procurarseli (per età, salute, situazioni personali o sociali), la funzione anche assistenziale dell’istituto porterà al riconoscimento di un assegno divorzile limitato - sotto il profilo del quantum - al tantundem che consenta un’esistenza dignitosa, e comunque per il tempo necessario a reinserirsi (se possibile), nel mondo del lavoro.

Gli altri parametri di cui all’art. 5, comma VI, l. div., secondo il Tribunale trevigiano, debbono  trovare applicazione nell’ambito della funzione compensativo-perequativa dell’assegno.

L’osservanza dei principi enunciati nel caso concreto ha portato all’esclusione del diritto all’assegno divorzile per la richiedente Caia.
Pacifico nella fattispecie il rilevante divario nella situazione economica delle parti, il Giudice Trevigiano non ha ritenuto provati:
- la condivisione tra coniugi della decisione che la moglie non lavorasse;
- la sussistenza di “sacrifici” professionali che abbiano avuto efficacia causale nella miglior posizione economica del marito Tizio;
- l’impossibilità per Caia di procurarsi i mezzi adeguati per vivere (essendo mancata una seria ricerca di lavoro da parte sua).
Per contro, dati oggettivi quali la giovane età (35 anni), il titolo di studio (laurea in commercio estero), la padronanza di una lingua straniera (spagnolo) hanno fondato il convincimento del Giudice che la richiedente abbia manifestato una colpevole inerzia nel reperire un’occupazione, tanto più “considerato anche l’assunzione volontaria del rischio da parte sua di trasferirsi in Italia, nonostante l’asserita assenza di legami”.
Ne è derivato il rigetto della domanda della resistente, con conseguente sua soccombenza.
Francamente eccessiva pare però la condanna alle spese di lite, considerati i grandi mutamenti nell’interpretazione ed applicazione dell’istituto dell’assegno divorzile intervenuti dal 2017 ad oggi.
Per onor di cronaca, la sentenza è stata emessa dal Tribunale di Treviso, I sezione, presieduta dalla dr.ssa Daniela Ronzani, essendo Giudice relatore ed estensore il dr. Alberto Barbazza.

 

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