Il presunto tradimento è circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione

La Cassazione con l’ordinanza n. 1136/2020, pronunciata in una procedura di separazione personale dei coniugi, ha ribadito che è sufficiente il sospetto del tradimento per rendere addebitabile la separazione al coniuge che, con tale sua condotta, abbia reso intollerabile la prosecuzione della convivenza.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 5 settembre 2017, aveva rigettato il gravame proposto dal marito avverso la sentenza del Tribunale di Tivoli che aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi con addebito a quest’ultimo, ed aveva aumentato, in parziale accoglimento dell’appello incidentale della moglie, l’assegno di mantenimento in favore della stessa.

Avverso tale pronuncia il marito aveva proposto ricorso per Cassazione denunciando, tra l’altro l’“…omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia quanto alla dichiarazione di addebito. Art. 151 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c….”.

La Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, ribadendo in primis che il sindacato di legittimità sulla motivazione deve essere circoscritto “…alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, co. 6, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132, co 2, n. 4 c.p.c….”, ha quindi affermato che “…il ricorrente non può giammai rimettere in discussione … l’apprezzamento dei fatti operato dai giudici del merito … il che appunto la censura tende a conseguire laddove, nella ricostruzione delle ragioni che hanno comportato l’intollerabilità della convivenza, lamenta la sopravvalutazione di alcuni elementi indiziari…”.

Nello specifico contesto, ha sottolineato che la decisione della Corte d’Appello “…non risulta criticata nei passaggi, conformi alla giurisprudenza di questa Corte, in cui evidenzia che

la relazione con estranei che dia luogo a plausibili sospetti d’infedeltà rende addebitabile la separazione, quando comporti offesa alla dignità ed all’onore del coniuge, anche se non si sostanzi in adulterio…”.

In tal senso è interessante osservare come Cass. Civ. 15557/08, definendo una procedura di separazione giudiziale con pronuncia di addebito, avesse chiarito che “…la nozione di fedeltà coniugale va avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro la fedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più ampia che si traduce nella capacità di sacrificare le proprie scelte personali a quelle imposte dal legame di coppia e dal sodalizio che su di esso si fonda … tuttavia … il giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all'art. 143 cod. civ., dovendo, per converso, verificare l'effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza”.

In definitiva, ciò che rileva ai fini della pronuncia di addebito non è accertare l’effettività della relazione extraconiugale, ma verificare se la condotta del coniuge colpevole abbia arrecato un’offesa alla dignità ed all’onore dell’altro coniuge, violando il dovere di lealtà che dovrebbe permeare i loro rapporti.

Il concetto di infedeltà, sempre che tale comportamento sia stato la causa dell’intollerabilità della convivenza, deve essere, invero, ricompreso nell’ambito del predetto dovere di lealtà.

 

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