L’"affaire De Giorgi c. Italie": la CEDU condanna ancora una volta l’Italia per un caso di violenza domestica.

di avv. Valentina Alberioli

I FATTI. La ricorrente, Silvia De Giorgi, madre di tre figli minori, adiva la CEDU, riferendo che suo marito L.B., successivamente alla separazione del 2013, l’aveva resa vittima di numerose condotte minacciose e moleste, in relazione alle quali, tra novembre 2015 e dicembre 2019, aveva presentato sette denunce.

L.B., tra l’altro, aveva minacciato di ucciderla, l’aveva colpita (in particolare con un casco da motocicilista), aveva posizionato registratori in casa sua, l’aveva seguita e monitorata nei movimenti, l’aveva molestata di fronte a casa, aveva rubato la sua posta, non pagava il mantenimento e maltrattava lei e i figli.

La maggior parte di queste denunce non avevano avuto credito alcuno, perché i pubblici ministeri le avevano ritenute non sufficientemente dettagliate o attendibili.

L’unico processo che aveva visto coinvolto L.B. (in una prima udienza tenutasi nell’aprile 2021) era quello concernente i fatti occorsi la notte del 20 novembre 2015: in quell’occasione, egli aveva colpito la Sig.ra De Giorgi alla testa con un casco da motociclista, causandole lividi e una distorsione.

I procedimenti per inadempimento degli obblighi di mantenimento erano pendenti dal 2016.

Inoltre, la ricorrente evidenziava che nel procedimento di separazione giudiziale del 2018, i Servizi Sociali avevano depositato una relazione nella quale avevano denunciato la situazione di difficoltà in cui versavano i figli minori in conseguenza dei maltrattamenti subiti e assistiti per mano del padre.

Tale relazione era stata inserita nel filone d’indagine per i reati di furto, diffamazione e mancato rispetto di un ordine del tribunale relativamente al mancato pagamento del mantenimento; tuttavia, nessuna indagine era stata condotta in merito ai maltrattamenti commessi da L.B. ai danni dei minori.

Le indagini relative alle altre denunce giacevano in sospeso dal 2016.

Basandosi in particolare sull’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divieto di trattamenti inumani e degradanti), la Sig.ra De Giorgi lamentava, pertanto, che le Autorità italiane, nonostante fossero state ripetutamente informate delle condotte violente di L.B., non avessero adottato misure adeguate ed appropriate per proteggere lei ed i figli dal pericolo, reale e concreto, rappresentato dal marito, né erano riuscite a prevenire ulteriori episodi di violenza domestica.

LA DECISIONE. La Corte EDU, con il provvedimento del 16.06.2022, ha constatato che le violenze subite dalla Sig.ra De Giorgi erano state documentate dai carabinieri e dall’ospedale.

Le condotte minacciose del marito le avevano effettivamente cagionato un duraturo timore di ripetute violenze, come risultava dalle numerose denunce e richieste di protezione che la ricorrente aveva rivolto in plurime occasioni alle Autorità statali.

In diverse circostanze la Sig.ra De Giorgi aveva lamentato le condotte controllanti e coercitive del marito, quale il monitoraggio dei suoi spostamenti, molestie davanti a casa e minacce di morte alla presenza dei bambini.

Anche i Servizi Sociali, nella loro relazione, avevano segnalato i maltrattamenti ai danni di questi ultimi e della madre.

Secondo la Corte, l’atteggiamento delle Autorità, che avevano inquadrato la situazione nell’alveo della conflittualità tipica delle separazioni senza offrire alla ricorrente alcuna protezione, ha aggravato l’ansia ed il sentimento d’impotenza provati dalla Sig.ra De Giorgi a causa del comportamento minaccioso del marito.

Tale trattamento ha, quindi, superato la soglia di gravità previsto dall’art. 3 della Convenzione.

Ad avviso dei Giudici Europei, il legislatore italiano ha provveduto a predisporre un sistema giuridico a tutela delle vittime vulnerabili adeguato rispetto ai dettami e agli standard sovranazionali: detto corredo sarebbe stato astrattamente idoneo a fronteggiare i rischi di vittimizzazione secondaria presentati dal caso di specie.

Il deficit si è, tuttavia, ravvisato sotto il profilo applicativo.

Infatti, nonostante i Carabinieri, nel ricevere le denunce della ricorrente, avessero ravvisato un rischio di reiterazione del reato, suggerendo, conseguentemente, all’Autorità giudiziaria di esercitare i propri poteri di iniziativa cautelare, i pubblici ministeri che si sono avvicendati non hanno profuso la dovuta diligenza, né hanno posto in essere quella pronta risposta richiesta nei casi di tal fatta dall’art. 3 della Convenzione.

Ed invero, oltre a misconoscere i rischi di reiterazione del reato, l’Autorità giudiziaria non ha posto in essere alcuna azione adeguata a fronte degli ingravescenti rischi di maltrattamento cui la Sig.ra De Giorgi e i suoi tre figli erano esposti.

L’inerzia delle Autorità nazionali, per la Corte, ha di fatto creato una “situazione di impunità”, tale per cui ad oggi non si è ancora pervenuti ad una sentenza definitiva relativamente ai fatti occorsi il 20 novembre 2015 (concretamente a rischio di prescrizione); lo stesso dicasi per quel che attiene a tutti gli altri fatti oggetto delle residue denunce, per i quali, ad oggi, non è stata nemmeno esercitata l’azione penale.

Alcune notizie di reato erano state addirittura archiviate derubricando le violenze ivi riportate a mere ipotesi di conflittualità intrafamiliare, senza prima procedere ai necessari approfondimenti investigativi.

L’Autorità nazionale, a causa della sopra descritta inerzia, secondo la Corte, è pertanto venuta meno all’obbligo, promanante dall’art. 3 della Convenzione, di reagire prontamente a fronte di una denuncia di violenza domestica.

Nel caso di specie, la norma in commento impone, infatti, di attivarsi tempestivamente, di condurre indagini complete ed effettive, finalizzate a ricostruire il fatto e ad identificarne e punirne l’autore, valutando, al contempo, la necessità di applicare misure cautelari ove sussista un rischio di vittimizzazione ripetuta.

Il modus procedendi dell’Autorità nazionale non è, pertanto, risultato conforme agli obblighi, sostanziali e procedurali, di protezione discendenti dall’art. 3.

Da qui l’ulteriore condanna all’Italia.

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