Il PNRR e il progetto di vita delle persone con disabilità

di avv. Cristina Arata

Il progetto di vita è anzitutto un pensare in prospettiva futura, o meglio un pensare doppio, nel senso dell’immaginare, fantasticare, desiderare, aspirare, volere e contemporaneamente del preparare le azioni necessarie, prevedere le varie fasi, gestire i tempi, valutare i pro e i contro, comprendere la fattibilità. (Dario Ianes 2009)

Dopo la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite per le persone con Disabilità non è più sufficiente per le amministrazioni pubbliche, e per il privato sociale che presti Servizi di cura e di supporto alle persone fragili, limitarsi a rispondere ai bisogni della persona: un approccio rispettoso della dignità deve integrare anche la parte emozionale, dinamica e creativa della vita individuale.

Il nuovo paradigma normativo vuole garantire autonomia, libertà ed uguaglianza: di qui il dovere di assumere una concezione di identità aperta della persona fragile, di valorizzarne la gratificazione personale, il protagonismo nella propria vita, la conoscenza progressiva di sé, integrando le potenzialità di accrescimento di competenze, di interessi e passioni.

Come già evidenziato, stiamo attraversando una fase “costituente” di riforma complessiva del settore della disabilità: il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) alla Missione 5, Componente 2 (“Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore”) prevedeva l’approvazione di una “Legge Quadro sulla disabilità” volta a promuovere percorsi di supporto per l’autonomia delle persone fragili, la deistituzionalizzazione, secondo i principi della Convenzione ONU e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,  nonché della “Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030”, presentata a marzo 2021 dalla Commissione Europea.

I punti salienti della riforma (cfr. legge delega n. 227/2021) saranno:

- il riconoscimento della condizione di disabilità come interazione negativa della persona con i contesti in cui vive o vuole vivere, nella misura in cui questi presentino barriere ed ostacoli alla loro piena fruizione su base di uguaglianza con gli altri cittadini;

- la previsione di una valutazione multidimensionale che individui gli assi di lavoro, anche in base ai desideri, aspettative e preferenze delle persone con disabilità;

- una progettazione definita ed efficace di Progetti Individuali e personalizzati ex art. 14 l.n. 328/00, anche prevedendo l’uso degli strumenti giuridici e delle misure di cui alla l. n. 112/2016.

Il fulcro della nuova normativa dovrà essere, quindi e in ogni caso, il Progetto Individuale e personalizzato, mezzo indispensabile per garantire l’attivazione di sostegni e supporti adeguati agli obiettivi di autonomia in una visione integrata e complessiva.

Il progetto di vita dovrebbe, infatti, rappresentare il percorso di realizzazione ed espressione della persona, di piena partecipazione alla comunità cui appartiene, attingendo a tutti i sostegni di cui ha bisogno per compiere il percorso verso una effettiva qualità esistenziale.

I sostegni sono costituiti non solo da risorse ma anche da strategie, che mirino a promuovere lo sviluppo, l’educazione, gli interessi e il benessere della persona fragile, oltre a migliorarne il funzionamento.

Il Progetto di Vita (PdV) è, quindi, lo strumento privilegiato per ottenere la personalizzazione dell’intervento complessivo di protezione ed inclusione, che sarà realizzato per ogni singola persona con disabilità.

In tal senso dovrà essere superato l’attuale sistema frammentato, che oggi garantisce di accedere a singoli servizi standard (non individualizzati), che richiedono altrettante singole istanze degli interessati, senza un reale coordinamento, né uno sviluppo unitario del percorso di crescita e di vita delle persone con disabilità.

L’inadeguatezza dei Servizi rispetto agli obiettivi imposti dalla Convenzione è conseguenza del metodo di approccio, che parte oggi dalle risorse e non dal Progetto di vita.  Gli interventi risultano così condizionati dalla possibilità di erogare questo o quel servizio, prestabilito nell’entità e misura.

Per questo nella Missione 6 (Salute), il PNRR prevede un intervento infrastrutturale di riforma dei servizi sanitari e socio-sanitari di prossimità:  entro il 2026 dovrebbero sorgere di 1.288 Case della Comunità, strutture in cui opereranno team multidisciplinari di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute ed anche assistenti sociali (che dovrebbero garantire una maggiore integrazione con la componente sanitaria assistenziale e, quindi, un approccio unitario e comunque integrato tra il Sociale e il Sanitario). Nella regione Veneto è prevista la realizzazione di 105 Case di Comunità.

Il PNRR investe risorse anche sul miglioramento della capacità e dell’efficacia ed efficienza dei servizi di assistenza domiciliare per le persone con disabilità e le loro famiglie. Questi Servizi dovranno assicurare una continuità assistenziale, coordinando la presa in carico socio-sanitaria con progetto di rafforzamento dell’assistenza sanitaria e della rete sanitaria territoriale (come previsto nella Componente 6 Salute del PNRR).

La nuova legge quadro sulla disabilità dovrebbe a sua volta attingere (non alle risorse provenienti dall’Europa) ma al c.d. “Fondo Disabilità e non autosufficienza”, istituito con la l.n. 160/2019 (art.1 co. 330) proprio per l’attuazione degli interventi a favore della disabilità.

Questi interventi dovranno essere finalizzati al riordino e alla sistematizzazione delle politiche di sostegno delle persone fragili (200 milioni di euro per il 2021, 300 milioni di euro per il 2022, con un complessivo budget per il triennio 2021-2023 di 800 milioni di euro): molte risorse, il cui impiego è specificamente destinato alle persone con disabilità senza concorrere con altre esigenze di spesa.

Per i percorsi di autonomia è previsto un investimento di 500 milioni di euro, cui dovranno aggiungersi altre risorse a sostegno dei supporti socio-sanitari (della Missione 6), che possono interagire nei percorsi di vita autonoma.

All’interno della Case della Comunità sarà possibile l’inserimento dei cc.dd. “Punti Unici di Accesso per la disabilità”: per tali Case (nel numero ipotizzato di 1.288) l’investimento complessivo è di 2 miliardi di euro, e quindi di oltre 1,5 milioni di euro per ciascuna struttura.

Infine, nella Componente 2 della Missione 5 del PNRR si prevedono altre risorse per interventi di rafforzamento dei servizi sociali, attraverso l’introduzione di meccanismi di condivisione e supervisione.

Ne deriva la necessità di rendere consapevole la cittadinanza sulle tematiche della disabilità, affinché sia vigile il monitoraggio su dove e come queste importanti risorse verranno impiegate.

E quindi di conoscere l’attuale assetto normativo sul Progetto di vita e gli arresti recenti della giurisprudenza civile ed amministrativa.

 

Il Progetto di vita

All’inizio del 2000 il legislatore italiano si era già allineato al nuovo concetto di “salute” suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avendo adottato un modello integrato tra prestazioni sociali e sanitarie, disciplinato dall’art. 14 della l.n. 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali): la norma prevede che il raccordo degli interventi sanitari, socio sanitari e sociali avvenga all’interno di un progetto unitario ed individuale.

L’art. 2 del DPCM 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie) ha poi specificato che il progetto personalizzato (in caso di bisogno socio sanitario) deve essere redatto sulla scorta di valutazioni multidimensionali, intercettando i bisogni di salute (e quindi di prestazioni sanitarie) con le varie forme di protezione sociale. Ai fini della determinazione della natura del bisogno deve tener conto degli aspetti inerenti a:

a) funzioni psicofisiche;

b) natura delle attività del soggetto e relative limitazioni;

c) modalità di partecipazione alla vita sociale;

d) fattori di contesto ambientale e familiare che incidono nella risposta al bisogno e nel suo superamento.

Va sottolineato che l’art. 14 della l. n. 328/00 ha un ambito di applicazione più vasto di quello previsto dal decreto appena citato (che regola il solo bisogno sanitario e socio sanitario), e include anche i vari contesti di vita (e quindi l’inclusione sociale).

La disposizione prevede che “per realizzare la piena integrazione delle persone disabili ... nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un Progetto Individuale”.

Questo Progetto Individuale deve contenere molti elementi:

- la ricognizione dei desideri, aspettative necessità della persona con disabilità con la partecipazione attiva sua e dei familiari;

-  la ricognizione dei sostegni e delle misure in atto;

-  la predeterminazione degli obiettivi;

- la valutazione delle risorse attuali e da acquisire;

- l’individuazione dei supporti e dei sostegni da attivare;

- la predeterminazione degli indicatori di valutazione con cui misurare il progressivo raggiungimento degli obiettivi;

- il budget di progetto;

- la nomina del case manager;

- l’individuazione delle misure previste dalla l.n. 112/2016 (sul Dopo di noi): in assenza di un Progetto Individuale non è, infatti, possibile accedere al Fondo Nazionale sul “Durante noi, dopo di noi”.

L’art. 2 del D.M. 26.11.2016 (attuativo della l.n. 112/2016) specifica che “agli interventi di cui al presente decreto, nei limiti delle risorse del Fondo, le persone con disabilità grave prive del sostegno familiare accedono previa valutazione multidimensionale, effettuata da equipe multi professionali in cui siano presenti almeno le componenti clinica e sociale, secondo i principi della valutazione bio-psico-sociale e in coerenza con il sistema di classificazione ICF (Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute). Le équipe multi professionali sono regolamentate dalle regioni senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Per elaborare un buon progetto è, quindi, necessario passare attraverso varie fasi.

-              La prima è una fase di valutazione/analisi: dei vissuti e dell’esistente, ossia di tutti gli ambiti e i contesti in cui la persona con disabilità vive, delle condizioni facilitanti o di barriera in essere; dei profili di funzionamento della persona, delle sue autonomie.

-              La seconda fase individua gli obiettivi e determina i sostegni/supporti da attivare o da rimodulare per ciascun contesto, partendo da quelli già in atto: il fine è migliorare la qualità di vita (benessere fisico, materiale, emozionale, partecipazione, inclusione, sviluppo personale, relazioni interpersonali conoscenza dei propri diritti).

È appunto il rapporto tra obiettivi e risorse esistenti che permette di individuare e calibrare i nuovi supporti da erogare.

-              La terza fase è l’implementazione delle risorse, e attiene al c.d. budget di progetto e all’individuazione di un case manager, che curi l’attuazione del Progetto stesso, monitorandone l’andamento, anche eventualmente richiedendo una nuova valutazione e una ricalibratura degli interventi in essere.

Il “budget di progetto” non può essere la mera risultante di spese da coprire con finanziamenti sporadici, dell’uno o dell’altro servizio, ma un insieme di risorse umane, tecnologiche, professionali ed economiche, necessarie e utili, che le Amministrazioni devono mettere a disposizione per pensare un intervento che tenda alla costruzione di percorsi innovativi e duraturi nel tempo.

In ogni caso il Progetto Individuale deve essere anche la risultante del coordinamento, contenendoli in sé, dei vari piani di sostegno dei vari ambiti: P.E.I. scolastico (Piano Educativo Individualizzato), P.R.I. riabilitativo (Piano di Riabilitazione Individuale), P.A.I. di assistenza (Piano di Assistenza Individuale).

Va detto che la disposizione in commento (art. 14 l.n. 328/00) è rimasta per anni purtroppo sostanzialmente inattuata.

Le ragioni sono molteplici, alcune di matrice giuridica.

Nel novembre del 2001 è entrata in vigore la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, con la ridefinizione delle materie di competenza (inclusa quella sociale) tra Stato e Regioni, sia esclusive che concorrenti. Inoltre l’organizzazione amministrativa, strutturata sulla separazione dei servizi e dei relativi bilanci, ha “resistito” alla necessità di un approccio unitario.

La mancanza di conoscenza della norma da parte delle famiglie e degli interessati ha determinato, inoltre, una scarsa sollecitazione dell’utente: uno dei limiti della disposizione consiste proprio nella previsione che l’attivazione del percorso avviene su richiesta dell’interessato, lasciando su di lui la relativa responsabilità.

In questo lungo periodo è stata la giurisprudenza (mediante l’interpretazione evolutiva dell’articolo 14 comma 2 l.n. 328/00) a definire i diritti delle persone con disabilità e i doveri delle istituzioni.

Il Giudice ha complessivamente elaborato una nuova chiave di lettura dell’originaria norma, riorientandola verso i principi della Convenzione Onu (sopravvenuta e ratificata con l.n. 18/2009), vista la vincolatività e superiorità della Convenzione nella gerarchia delle fonti giuridiche.

L’intervento giudiziario ha consentito l’affermazione del Progetto Individuale come diritto in sé per un percorso di vita unitario, e non una sommatoria di servizi a cui viene indirizzata volta per volta la persona.

Un modello di servizi incentrato su un progetto di “presa in carico globale della persona disabile”, che deve garantire misure di sostegno ulteriori rispetto alla mera erogazione di uno specifico servizio, ossia quel “supplemento di garanzie”, che trascende la modalità di “smistamento” della persona all’interno di una gamma di contenitori, e si propone l’obiettivo ulteriore di promuovere l’autorealizzazione della persona disabile ed il superamento di ogni condizione di esclusione sociale.

La particolarità del Progetto Individuale risiede, per i giudici, nel suo essere coordinamento tra i singoli piani di intervento (sanitario, sociale, riabilitativo, scolastico, ecc.), creando un momento di incontro e di sintesi tra tutti coloro che a vario titolo concorrono (nel presente e nel futuro) ad erogare supporti al percorso di vita della persona, affinché questi non risultino frammentari o, in alcuni casi, addirittura tra loro confliggenti, cercando invece in tale coordinamento di massimizzare e valorizzare reciprocamente i loro effetti.

Questo diritto al progetto individuale non viene meno neanche in caso di circostanze eccezionali, quali la pandemia da Covid-19, né tollera limitazioni fondate su ragioni di natura organizzativa e/o economica (Tar Palermo n. 957/2020).

Non può (Tribunale di Ancona n. 893/2016) essere modificato senza una valida giustificazione che affondi le sue radici nell’interesse della persona con disabilità; e le esigenze di bilancio non possono giustificare la mancata attuazione del progetto e degli interventi in esso previsti, per cui ne deve essere comunque garantita la continuità.

Una volta definito il Progetto individuale, il suo contenuto diviene vincolante (Tribunale di Marsala n. 366/2019): gli interventi indicati sono da considerare obbligazioni direttamente derivanti dalla legge e, pertanto, provviste di diretta copertura finanziaria, dovendosi l’amministrazione limitare ad attingere alle diverse risorse per garantirne la piena attuazione.

La mancata o parziale esecuzione del Progetto Individuale costituisce un illecito amministrativo, suscettibile di determinare il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore del beneficiario.

E il rifiuto (Tar Catania n. 559/2019) di compiere un atto del proprio ufficio da parte del funzionario responsabile, derivante anche solo da fatti concludenti, può configurare il reato di “rifiuto di atti d’ufficio”. L’omissione porta alla nomina di un Commissario ad Acta, che interviene per predisporre il Progetto Individuale al posto del funzionario inadempiente, e può determinare una responsabilità per danno erariale a carico di quest’ultimo.

Per il Tar Catanzaro (n. 440/2013) il Progetto Globale di Presa in Carico costituisce il documento generale, cui devono coerentemente uniformarsi i diversi progetti e programmi specifici, che possono essere:

a) il progetto riabilitativo di cui al D.M. 7.05.1998 “Linee-guida per le attività di riabilitazione”;

b) il progetto di integrazione scolastica di cui agli art.12 e 13 della Legge 14.02.1992 n. 104;

c) il progetto di inserimento lavorativo mirato di cui all’art.2 e seguenti della Legge 12.03.1999 n. 68;

d) il progetto di inserimento sociale che può avvalersi, per la sua realizzazione, dei programmi di cui alla Legge 21.05.1998 n. 162, dei centri socio-riabilitativi e della rete dei servizi sociosanitari di cui alla Legge 14.02.1992 n. 104, del sistema integrato previsto dalla Legge 8.11.2000 n. 328, delle disposizioni di cui all’allegato 1 C del DPCM 29.11.2001, nonché degli emolumenti economici di cui all’art 24 Legge 8.11.2000 n. 328.

Il Progetto Globale Individuale deve, altresì, affrontare eventuali problemi relativi alla mobilità e al superamento delle barriere architettoniche e senso-percettive di cui al DPR 503/96.

Un cambio di passo nell’attuazione della legge in commento era già avvenuto con l’entrata in vigore della riforma sull’inclusione scolastica degli alunni con disabilità (Dlgs n. 66/2017 e 96/2019): il P.E.I. scolastico è una componente del Progetto Individuale ex art. 14 l.n. 328/00, ed è quindi parte inscindibile di un progetto di vita più ampio.

In buona sostanza le persone con disabilità, in una visione olistica della persona stessa, hanno diritto ad un loro progetto di vita.

Progetto che deve essere adeguatamente sostenuto sia dal punto di vista economico, che attraverso l’accesso ad una rete integrata di interventi, servizi e prestazioni che, come indicati nel proprio progetto di vita, siano poi resi pienamente e concretamente esigibili.

Questo comporta anche un serio ripensamento dei servizi stessi in modo che gli stessi risultino utili nel supportare e sostenere le persone a cui sono destinati per garantire loro piena inclusione sociale e qualità di vita.

Si tratta di addivenire ad un nuovo sistema nel quale non siano più le persone ad essere adattate a servizi precostituiti e standardizzati, ma devono essere i servizi stessi ad essere adattati alle reali esigenze delle persone”. (Rivista Anffas Onlus sulla disabilità – Anno XXIX n. 1 luglio 2021)

Il Progetto di Vita, basato sulle caratteristiche della persona, della sua patologia, terrà conto dei suoi bisogni, delle sue potenzialità, della vita relazionale con l’esterno, dei suoi interessi e delle sue risorse, nonché delle capacità di supporto presenti nel territorio da parte della famiglia, del contesto sanitario, socio sanitario, sociale e dei servizi di rete. 

Dovrà considerare i desiderata della persona e gli obiettivi personali da raggiungere nell’ambito del percorso. Dovrebbe contenere un Programma di Vita Quotidiana, che descriva le attività da svolgere nelle varie fasi della giornata, i relativi luoghi e tempi; i modi degli interventi di tipo medico, assistenziale, psicologico, psicoterapeutico, educativo, lavorativo e sociale.

Il Progetto dovrà essere, anche, il risultato di un lavoro di osservazione, monitoraggio, verifica di tutto il gruppo di lavoro, della persona stessa, della sua famiglia.  

La legge delega e il PNRR si fondano sulla centralità e valorizzazione di questo strumento, prendendo atto dei ritardi applicativi e delle difficoltà strutturali, e si propongono di investire molte risorse in un cambiamento globale e sistemico.

Nel frattempo, le vite in attesa sono molte, e da tempo non ricevono risposte adeguate alla loro richiesta di dignità personale.

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