Obbligo vaccinale Covid-19: complessità delle questioni etiche sociali e giuridiche

Da varie settimane i mezzi di comunicazione di massa restituiscono la possibile introduzione normativa dell’obbligo vaccinale anti Covid-19. Tuttavia la sintesi e la semplificazione, a volte davvero eccessiva, che accompagna queste comunicazioni genera adesioni oppure allarmi e angosce che paiono spesso (e in entrambi i casi) più istintive che ancorate ad una percezione consapevole della complessità delle tematiche coinvolte.

Abbiamo, quindi, sentito l’esigenza di dare un nostro contributo alla riflessione, con l’obiettivo di far emergere la dimensione valoriale, sociale e relazionale nonché gli aspetti giuridici sottesi ad una eventuale decisione di introduzione o non introduzione dell’obbligo vaccinale anti Covid-19.

Un primo aspetto (anche per importanza) è senza dubbio culturale.

Il focus è la disponibilità delle persone ad operare oggi un bilanciamento tra la propria tutela individuale e la dimensione sociale/relazionale in cui si svolge la loro vita.

Senza dubbio la nefasta esperienza storica dei sistemi statali autoritari e totalitari del secolo scorso ha portato al rifiuto del principio della prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato (anche la nostra Carta Costituzionale ha un’impostazione personologica). Ne è seguita nella seconda metà del Novecento l’emersione della tutela della persona e dell’inviolabilità dei suoi diritti fondamentali, e la sottoscrizione di numerose Convenzioni internazionali affermative di tali diritti e di protezione delle fragilità (dai minori alle donne alle persone con disabilità). E per noi cittadini europei l’inviolabilità della dignità umana sancita nella Costituzione dell’Unione (art 1 comma 1 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea c.d. Carta di Nizza).

Vi è da chiedersi se questo percorso culturale e normativo possa oggi trovare una conferma anche nella ricerca di equilibrio tra la giusta rivendicazione del rispetto individuale e la consapevolezza di vivere in una dimensione relazionale (che va dalla famiglia alla comunità, all’intera umanità) e se questo vivere comune possa comportare rinunce e sacrifici alle libertà costituzionali. E quale sia il punto di bilanciamento tra queste e la responsabilità collettiva per la realizzazione del bene comune e la difesa dei più deboli.

Sotto questo profilo non aiuta una comunicazione mediatica che spesso parla di obbligo vaccinale senza operare alcun distinguo, sul presupposto che un qualsiasi dubbio sulla sicurezza o sull’efficacia del vaccino o sull’introduzione dell’obbligo vaccinale corrisponda ad un’acritica posizione no-vax di tipo ideologico e anti scientifico.

Questo aspetto rileva non poco, perché capire la matrice del dubbio potrebbe portare a soluzioni diverse dall’obbligo vaccinale, che recuperino i mezzi di persuasione e il rispetto della reciproca dignità nel dialogo medico-paziente: l’articolo 1 co. 8 l.n. 219/2017 afferma che “il tempo della comunicazione è tempo di cura”.

Né si hanno notizie se sia stata o meno svolta in tutte le Regioni un’attività sistematica di informazione e persuasione mirata, attraverso medici di base e pediatri per convincere i semplici indecisi (spesso per assenza di comunicazione adeguata), bisognosi di indicazioni precise che vadano aldilà dell’indicazione generica che i benefici sono superiori ai rischi.

La Regione Veneto, ad esempio ha scelto di indirizzare agli over 60 un invito scritto all’adesione alla campagna vaccinale, spiegando lo sviluppo dei vaccini anti Covid e indicando i vantaggi sia individuali che sociali della vaccinazione, consentendo l’accesso ai Centri vaccinali senza prenotazione, consigliando anche un eventuale colloquio col medico di base (All. 1). Nel contempo i medici di base sono stati sollecitati a contattare gli over 60 non ancora vaccinati per verificarne le motivazioni (paura, fragilità per presenza di pluripatologie, depressione o altri stati di alterazione psicologica ecc.). Questa attività capillare sta dando i suoi frutti con una ricaduta evidente sui numeri dei vaccinati in Regione: la provincia di Venezia ha già raggiunto la soglia della c.d. immunità di gregge.

Peraltro questa lenta operazione di persuasione è senz’altro idonea a creare, a livello sociale e socioculturale, antidoti di più ampio respiro anche per l’eventualità che  la situazione pandemica perduri  e si rendano  necessari ulteriori richiami del vaccino effettuato (ad alcune fasce di cittadini più fragili o esposti si sta somministrando la terza dose) o per l’eventualità di una riproposizione  in futuro di situazioni emergenziali: in tutte queste ipotesi appare  essenziale evitare divisioni di “principio” che, nella fatica psicologica diffusa che si accompagna a questa emergenza sanitaria, possono arrivare anche a minare la sicurezza collettiva.

Né peraltro hanno giovato i plurimi interventi mediatici di virologi e immunologi che, soprattutto in un primo momento, si sono spesso contraddetti creando diffidenza e scarsa fiducia.

Il deficit informativo ha operato anche su un diverso piano: la tutela della libertà del singolo ha sicuramente un costo sociale che oggi (per rimanere sul piano sanitario) stanno pagando i malati non Covid e che consegue al massiccio spostamento di risorse per la cura dei malati Covid 19.

È esperienza diffusa (e comunque ora statisticamente rilevata dall’ISS) che sono state ritardate se non sospese per molti mesi le offerte di cura possibili in epoca pre-Covid e questo anche per malattie gravi (oncologiche, cardiovascolari, interventi chirurgici,...).

Va detto, altresì, sempre sul piano culturale, che la legislazione che si è succeduta negli ultimi anni in merito alle vaccinazioni si era in un primo tempo progressivamente distaccata dal modello obbligatorio: le vaccinazioni obbligatorie erano solo quattro, le altre meramente “raccomandate”. E questo non per una graduazione di importanza dei vaccini ma per un mutamento nella strategia di approccio dell’ISS.

Con la diffusione dei primi vaccini, il legislatore negli anni 60’ aveva, infatti, previsto l’obbligatorietà delle vaccinazioni per difterite, tetano e poliomielite. Nel 1991 è stato introdotto l’obbligo della vaccinazione antiepatite B, con specifiche sanzioni penali a carico dei genitori che omettevano di vaccinare i propri figli e con l’obbligo per le scuole di verificare l’avvenuta vaccinazione come presupposto della frequenza scolastica.

Con la legge di depenalizzazione n. 689/81, il reato di omessa vaccinazione è stato trasformato in illecito amministrativo, e l’ultimo obbligo di vaccinazione contro l’epatite B, di cui alla l. n. 165/1991, era stato sanzionato solo in via amministrativa.

Da allora (e fino al 2017) il Ministero della salute e il legislatore, congruentemente alla riforma sanitaria (l.n. 833/1978), avevano puntato sull’informazione e sulla persuasione, piuttosto che sulla obbligatorietà.

I vaccini introdotti successivamente (contro pertosse, meningite, varicella, ecc.) erano solo raccomandati; nel mentre il legislatore aveva soppresso con il DPR n. 355/1999 il divieto di frequenza scolastica per i non vaccinati.

È noto che con il d.l. n. 73/2017, convertito con l. n. 119/2017, è stata invece reintrodotta l’obbligatorietà dei vaccini fino ai 16 anni: oggi 10 in tutto, di cui quattro soggetti a revisione triennale con il Piano Nazionale di prevenzione vaccinale (Pnpv). Il rispetto dell’obbligo vaccinale è requisito per l’ammissione all’asilo nido e alla scuola di infanzia. Dalla scuola elementare in poi bambini e ragazzi possono accedere in ogni caso alla frequentazione, e il mancato assolvimento dell’obbligo comporta l’attivazione di un percorso Asl e/o l’erogazione di sanzione amministrative da 100 a 500 euro. Sono esonerati bambini e i ragazzi già immunizzati dalla malattia e coloro che presentano specifiche condizioni cliniche che rappresentino una controindicazione permanente e/o temporanea alle vaccinazioni. Restano poi ulteriori vaccinazioni “fortemente raccomandate”.

Sempre in questi decenni i Tribunali per i Minorenni non hanno in genere accolto i ricorsi volti a sanzionare il mero rifiuto dei genitori di vaccinare i figli (salvo la compresenza di altri problemi di accudimento e assistenza dei minori) e anche in dottrina sono emersi dubbi sulla coercibilità della vaccinazione.

La legge n. 119/2017 ha aperto un sentito dibattito pubblico e determinato varie resistenze, sia con riferimento all’obbligo in sé, sia in relazione al suo rapporto con l’obbligo scolastico e con l’esercizio della responsabilità genitoriale.

Va detto che prima di questa legge molte Regioni avevano iniziato un percorso per sperimentare la sospensione degli obblighi vaccinali.

Il Veneto con la legge regionale n. 7/2007 aveva previsto la “sospensione dell’obbligo vaccinale per l’età evolutiva” per tutti i nuovi nati a partire dal primo gennaio 2008 e la creazione di un Comitato tecnico con il compito di valutare gli effetti derivati dall’applicazione della sospensione. In caso di gravi conseguenze sulla salute collettiva, il Presidente della Giunta regionale poteva sospendere il percorso sperimentale. Analogamente aveva fatto il Piemonte già nel 2006.

Come noto la Regione Veneto ha anche impugnato il decreto n. 73/2017 e la legge di conversione n.119/2017 contestando, tra l’altro, l’utilizzo della decretazione d’urgenza e la violazione dei principi costituzionali per assenza di un equilibrato bilanciamento tra tutela della salute individuale e collettiva. Ricorso respinto con la sentenza della Corte cost. 18 gennaio 2018 n.5.

Ovviamente il focus normativo di ogni posizione pro o contro l’obbligo vaccinale è il disposto dell’art. 32 della Cost. (“nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”), e la Convenzione di Oviedo (recepita con l. n.145/2001) che ha stabilito il principio dell’autodeterminazione in materia di salute. Negli ultimi decenni la nostra giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha, altresì, riconosciuto e definito l’ambito di operatività del consenso informato, da ultimo disciplinato dalla legge 219/2017. E la valorizzazione del rifiuto alle cure nel fine vita ha portato all’introduzione giurisprudenziale della possibilità di suicidio assistito. Oggi nelle piazze d’Italia alcuni cittadini stanno raccogliendo le firme per una legge sull’eutanasia, convinti del diritto di ognuno di porre fine alla propria vita se e quando ritenuto opportuno in base alle proprie condizioni di salute a tutela della propria dignità.

Ovviamente una campagna preventiva di vaccinazione è una condizione sostanzialmente diversa anche sul piano giuridico da un’epidemia in atto: in quest’ultimo caso ricorre quello stato di necessità per la salute pubblica che legittima eventuali deroghe normative ai principi correnti (sempre ovviamente nei limiti costituzionali) e, quindi, anche la possibile imposizione di un trattamento sanitario.

Ma la riflessione rileva sul piano culturale: improvvisamente si chiede ai cittadini di prendere atto della prevalente dimensione pubblica del problema e di cooperare sacrificando una parte della propria autodeterminazione, fidandosi di approdi scientifici ancora non validati in via definitiva. Il salto non è scontato.

E non pare che il disagio possa essere semplificato invocando l’acritica diffusa diffidenza verso la scienza e la medicina, riducendo ogni dubbio a una posizione di principio no-vax.

Anzitutto anche molti sanitari (medici infermieri ecc.) non hanno aderito alla campagna vaccinale e oggi reagiscono anche dopo l’introduzione per la categoria dell’obbligo vaccinale anti Covid. Ovviamente si tratta di persone non prive di competenze medico scientifiche.

Inoltre la cronaca degli ultimi decenni ha portato a volte alla luce episodi anche gravi di conflitto di interessi tra compagnie farmaceutiche e soggetti/enti erogatori di servizi di cura. Tanto che il tema del conflitto di interessi trova spazio e disciplina nel codice di deontologia medica (cfr. art 30 CDM: “il medico evita qualsiasi condizione di conflitto di interessi nella quale il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi economici o di altra natura”).

Questo ovviamente vale solo per evidenziare il complesso sostrato culturale in cui ci troviamo, che gioca un ruolo non secondario: il successo di ogni campagna vaccinale si base principalmente sull’adesione spontanea della maggior parte delle persone, risultando comunque difficile controllarne il rispetto su scala nazionale.

Va anche sottolineato che un trattamento sanitario obbligatorio è certamente diverso dal TSO, cioè dal trattamento sanitario coattivo. Ma può implicare sanzioni di vario tipo (penale, amministrative, di esclusione e confinamento) che possono incidere pesantemente nella vita della persona.

Oggi la scelta governativa e legislativa pare incentrata sull’estensione dell’uso del Green pass: mezzo di pressione e di “persuasione indiretta” che tuttavia diventando molto pervasivo rende molto evanescente la distinzione giuridica tra onere e obbligo.

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Pare a chi scrive che molte cose non abbiano funzionato in epoca pandemica nel modo e nei contenuti dell’informazione.

Nel contesto normativo suindicato (art. 1 l. n. 219/2017) ogni scelta terapeutica deve avvenire all’interno dell’alleanza medico-paziente (nella quale possono fare ingresso persone fiduciarie del paziente a supporto sia della fase informativa che di quella decisionale), e la validità dell’atto medico è condizionata non solo al consenso dell’interessato ma soprattutto ad una effettiva informazione, esaustiva ed adeguata. Tanto che l’eventuale rifiuto viene accompagnato da supporti psicologici e da forme di persuasione volte a constatarne la piena consapevolezza.

Se dunque l’esercizio della responsabilità verso la propria salute implica un’informazione piena adeguata e uno sforzo dei sanitari dedicato alla persuasione, riesce difficile sostenere che l’esercizio della responsabilità collettiva per una vaccinazione in situazione pandemica possa saltare tutti questi passaggi.

Per questo prima di affrontare il piano giuridico sembra preliminare tentare di individuare (nei limiti che questa sede e la competenza di chi scrive consente sulla base delle informazioni reperibili) i termini del problema sanitario:

  • Qual è l’efficacia del vaccino?

  • Che cos’è e a cosa serve il green pass?

  • Il titolo anticorpale (di chi oggi è già vaccinato o è un guarito Covid) può essere una base per le decisioni vaccinali future?

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1. Efficacia dei Vaccini

Il vaccino come da tempo evidenziato dal Comitato Nazionale per la bioetica (CNB) è un farmaco ad elevato valore sociale che oltre a proteggere la persona vaccinata riduce il rischio di contagio a carico della restante popolazione. Vari studi sono già stati pubblicati sulla sicurezza a breve termine dei vaccini anti Covid-19 e sulla scarsa incidenza delle reazioni negative di breve periodo.

Gli ultimi dati confermano che l’efficacia del vaccino è molto elevata nel ridurre i decessi (96,3%) e le forme severe di malattia che necessitano di ricovero in area medica (93,4%) e in terapia intensiva (95,7%).

Nei soggetti vaccinati con ciclo completo, rispetto ai non vaccinati, si registra infatti un netto calo dell’incidenza di diagnosi e soprattutto di malattia severa che porta ad ospedalizzazione, ricovero in terapia intensiva o decesso: nelle varie fasce di età, le diagnosi di SARS-CoV-2 si riducono del 77,8-80,7%, i ricoveri ordinari dell’88,8-95,6%, quelli in terapia intensiva del 92,5-97,4% e i decessi del 93,4-100% (fonte: Fondazione GIMBE).

Se la Comunità Scientifica è concorde nell’affermare questa alta protezione individuale con prevenzione di sviluppo dei sintomi, sicuramente più gravi, sono ancora in corso gli studi per determinare se i vaccini, oltre a prevenire la malattia grave Covid -19, siano in grado di impedire alle persone di infettarsi e di trasmettere il virus SARS - CoV -2.

In uno studio pubblicato su Nature Medicine e realizzato in Israele, gli scienziati dell’Israel Institute of Technology di Haifa dimostrerebbero che in caso di infezione di un individuo vaccinato con Pfizer-BioNTech la carica virale rilevata è bassa, e quindi la persona contagiata avrebbe una scarsa capacità di infettare qualcun altro.

Sulla capacità di un individuo positivo ma asintomatico, perché vaccinato, di diffondere il virus si è espresso anche uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine secondo il quale il vaccino Pfizer-BioNTech si sarebbe dimostrato efficacie nell’evitare l’infezione nel 92% dei casi (fonte: Fondazione Veronesi). Non vi sarebbero, invece, studi relativamente agli altri vaccini.

È noto, peraltro, che stiamo ora combattendo un virus diverso (la variante delta ha ormai sostituito la variante alfa in quasi tutti i Paesi). Secondo la dott.ssa Capua in un’intervista al Corriere della Sera “questo virus armato fino ai denti può far ammalare anche persone vaccinate” ed è tutto nella norma perché i virus si evolvono”. E questo dovrebbe far riflettere sull’opportunità della vaccinazione come protezione individuale e di mantenere in ogni caso le note cautele comportamentali.

In presenza della variante delta, quindi, il vaccino continua a limitare la gravità ma sembrerebbe non evitare la possibilità di contagio né per il soggetto vaccinato né di trasmissione ad altra persona.

In tale contesto gli Stati stanno discutendo sulla necessità di superare i brevetti sui vaccini: risulta essenziale incidere significativamente sulla diffusione del vaccino e questo anche nei paesi più poveri, evitando in tal modo la formazione e diffusione di varianti che rendano poco efficaci o inutili i vaccini attuali. Ovviamente molte istituzioni lavorano per realizzare questo sforzo di diffusione del vaccino nel mondo ritenendolo semplicemente moralmente doveroso, anche laddove non influisse direttamente sulla politica sanitaria italiana ed europea.

Se il vaccino ha l’effetto di ridurre i rischi di morte e ospedalizzazione senza incidere sulla possibilità di contagio (che riduce ma non elimina), si è aperta la riflessione sulla legittimità giuridica e opportunità dell’eventuale introduzione di un obbligo vaccinale esteso a tutta la popolazione, posto che fra l’altro trattasi di farmaci con autorizzazione condizionata.

Solo nel mese di agosto 2021, infatti, la Food and Drug Administration (FDA: agenzia governativa statunitense che si occupa della sicurezza e dell’approvazione dei farmaci) ha approvato in via definitiva la somministrazione del vaccino contro il coronavirus di Pfizer-BioNTech a tutte le persone che hanno più di 16 anni, superando la precedente autorizzazione per il solo utilizzo di emergenza.

Sappiamo che l’EMA (Agenzia europea per i medicinali) a partire dal 21.12.2020 ha rilasciato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata (CMA) di quattro vaccini. Queste autorizzazioni sono state poi recepite dalle autorità di controllo sui farmaci dei singoli stati membri (nel caso dell’Italia dall’AIFA).

Un’autorizzazione di emergenza e una CMA portano nei fatti ad un analogo risultato: la possibilità di utilizzare da subito i vaccini anche in assenza di un’approvazione definitiva come “farmaco ordinario”. L’Ema ha dichiarato che l’autorizzazione condizionata potrebbe diventare autorizzazione standard solo nel 2023.

Pur essendo certa l’alta efficacia del vaccino nella protezione individuale e in parte nella trasmissione del virus, oggi non è possibile conoscere gli eventuali effetti di medio e lungo periodo, così come altri aspetti. Ad es. non c’è certezza sulla durata della protezione dei vaccinati (si ipotizza 9 o 12 mesi) né se e in che modo i vaccinati possono infettare a loro volta le altre persone (in modo asintomatico ecc.).

Di regola la fase clinica di sperimentazione sull’uomo inizia dopo 2/5 anni dalle prime ricerche sulla risposta immunitaria e dura ulteriori 2 anni. Tre sono le fasi: la somministrazione su un numero limitato di persone per valutare la tollerabilità e la sicurezza del prodotto; la somministrazione su un numero più ampio per valutare la risposta immunitaria la tollerabilità, la sicurezza, definire le dosi e i protocolli di somministrazione; la somministrazione su un campione elevato per valutare la reale funzione preventiva del vaccino. Se tutte queste fasi si concludono positivamente il vaccino viene registrato e si procede alla sua produzione e distribuzione.

Il Comitato Nazionale di bioetica (Parere del 27.11.2020 “I vaccini e Covid-19: aspetti per la ricerca, il costo e la distribuzione”) aveva messo in guardia il Governo, ribadendo che l’emergenza sanitaria non poteva costituire una sfida al rispetto dei consolidati requisiti scientifici etici e giuridici della sperimentazione biomedica ai fini terapeutici, condivisi dalla comunità internazionale. L’emergenza pandemica poteva spingere eventualmente verso una accelerazione della sperimentazione con finalità terapeutiche, ma avrebbero dovuto essere rispettati in ogni caso gli standard scientifici di qualità e validità.

In altre parole il contesto della pandemia non giustifica sperimentazioni non scientificamente supportate.

Va detto che l’autorizzazione condizionata dell’EMA garantisce la sicurezza del vaccino, perché soddisfa gli standard europei su sicurezza efficacia e qualità: è uno strumento a cui si ricorre quando il beneficio della disponibilità immediata di un farmaco supera chiaramente il rischio legato al fatto che non tutti i dati sono ancora disponibili. L’ISS ha chiarito che il processo di sviluppo del vaccino ha subìto un’accelerazione senza precedenti a livello globale, ma nessuna tappa del processo è stata saltata.

E tuttavia non si tratta di un farmaco definitivo: per questa autorizzazione conclusiva l’EMA ipotizza la necessità di almeno un paio d’anni.

Detto questo, è noto che nessuna vaccinazione è esente da rischi. Circostanza riconosciuta dal legislatore con la l. n. 210/1992, che prevede un indennizzo per danni da vaccini e da trasfusioni. E con l’esimente penale introdotta dall’art. 3 del d.l. n. 44/2021 a favore dei sanitari per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose conseguenti a reazioni fatali.

Se la pandemia ha portato ad utilizzare il vaccino in assenza di autorizzazione definitiva, è anche vero che una eventuale obbligatorietà del trattamento terapeutico estesa a tutta la popolazione deve indurre ad adottare quante più cautele possibili. Infatti sul piano bioetico, ove possibile, risulta preferibile evitare il “paternalismo sanitario”. Il paternalismo medico ha privato per molto tempo il paziente di autodeterminazione, e oggi è culturalmente e normativamente stato superato sul piano della tutela della salute individuale (cfr. l. n. 219/2017).

Attualmente nell’Unione Europea solo Italia e Francia hanno scelto di introdurre l’obbligo vaccinale per il personale sanitario.

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2. Il green pass

La certificazione verde covid 19 è stata introdotta nell’ambito dell’ordinamento interno italiano con il Decreto legge n. 52/2021 ed è un documento attestante una delle seguenti condizioni: lo stato di avvenuta vaccinazione contro il Sars-CoV-2, l’esito negativo di un tampone antigenico o molecolare effettuato nelle ultime (rispettivamente) 48 o 72 ore, la guarigione dall’infezione da non oltre sei mesi.

Con l’entrata in vigore del Decreto legge n. 127/2021 è stato ridotto il periodo di tempo necessario per la generazione della certificazione a seguito alla vaccinazione. Dal 22 settembre, la certificazione ha validità a partire dal momento della somministrazione della prima dose della vaccinazione, e non più trascorsi quindici giorni dalla stessa. Il Green pass così ottenuto è utilizzabile entro i 12 mesi successivi.

Per quanto riguarda i casi di guarigione dal virus, il certificato deve essere trasmesso a livello centrale e solo dopo tale inserimento il Ministero della Salute potrà automaticamente generare la Certificazione verde, che avrà una validità di 180 giorni (6 mesi) dal primo tampone molecolare positivo. Se si procederà con la vaccinazione entro i 12 mesi dalla guarigione, si riceverà, sempre in via automatica, anche una Certificazione attestante il completamento del ciclo vaccinale, che sarà valida per i successivi 12 mesi.

Nei casi di tampone antigenico o molecolare negativo la certificazione sarà generata in poche ore e avrà validità per 48 / 72 ore dall’ora del prelievo.

Sono tuttavia state previste anche delle esenzioni dall’obbligo della Certificazione verde per: i bambini sotto i 12 anni (esclusi dalla campagna vaccinale per motivi di età); soggetti esenti, per motivi di salute, in possesso di idonea certificazione medica; i cittadini che hanno ricevuto il vaccino ReiThera nell’ambito della sperimentazione Covitar e per i quali la certificazione avrà validità fino al 30 novembre 2021; infine, le persone in possesso di un certificato di vaccinazione anti SARS-Cov-2 rilasciato dalle competenti autorità sanitarie della Repubblica di San Marino.

Molte attività sono oggi subordinate all’esibizione del green pass (visita a pazienti ricoverati nelle RSA e in strutture sanitarie; accesso alle sale d’attesa dei dipartimenti di emergenza e urgenza, reparti di pronto soccorso e ospedalieri, centri di diagnostica e poliambulatori specialistici, spostarsi in entrata e in uscita da territori classificati come “zona rossa” o “arancione”, accesso ai servizi di ristorazione spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi; musei, altri istituti e luoghi della cultura piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche se ubicati all’interno di strutture ricettive e, in ogni caso, limitatamente alle attività al chiuso; sagre, fiere, convegni e congressi; centri termali, parchi tematici e di divertimento; centri culturali e centri sociali e ricreativi,  feste conseguenti alle cerimonie civili, feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose, secondo una modifica, inserita in sede referente, concorsi pubblici ecc). Dal 1° settembre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione in presenza del servizio essenziale di istruzione, tutto il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario, nonché gli studenti universitari, devono possedere e sono tenuti a esibire la certificazione verde Covid-19. Da ultimo l’uso del green pass è richiesto a qualsiasi lavoratore pubblico e privato per accedere ai luoghi in cui l’attività è svolta, a partire dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre 2021 (data di cessazione dello stato di emergenza).

L’estensione del possesso del Green pass per l’esecuzione di molte attività e libertà fondamentali di rilevanza costituzionale è stata motivata dalla necessità di consentirne l’esercizio in sicurezza pur in epoca pandemica. Pare peraltro abbastanza evidente anche l’obiettivo indiretto di incentivare la vaccinazione spontanea per arrivare alla c.d. immunità di gregge. Tra la raccomandazione (semplice invito a vaccinarsi) e l’obbligo imposto per legge (in generale o per categorie di persone) si collocherebbe la figura giuridica dell’onere, una sorta di “spinta gentile” a sottoporsi alla vaccinazione.

Questo uso pervasivo della certificazione non è andato esente da critiche. Il Comitato Nazionale di Bioetica (parere del 30.04.2021 “Passaporto, patentino, green pass nell’ambito della pandemia Covid-19: aspetti bioetici”) aveva consigliato al governo molta prudenza nell’introduzione dello strumento: “l’eventuale provvedimento dovrà dunque indicare con precisione l’ambito delle attività, lo svolgimento delle quali sarà concesso ai possessori del Pass, limitandole a quelle che presentino più seri rischi di contagio, secondo il criterio di proporzionalità. Il Pass Covid-19 dovrà essere mantenuto in vigore per il tempo strettamente necessario, in modo proporzionato e temporaneo, introducendo le garanzie necessarie per impedirne abusi e non deve costituire la premessa per misure automatiche più ampie e definitive come il passaporto biologico, o per altre forme di tracciamento, profilazione o sorveglianza. Ogni misura di restrizione e di condizionamento delle libertà individuali basata sulle condizioni di salute che si estendesse oltre i termini indicati deve essere considerata eticamente e giuridicamente inaccettabile”.

Nel merito le perplessità si basano sul fatto che neppure il vaccino blocca la trasmissione del virus e che anche i vaccinati possono contagiarsi e contagiare; mancano, poi, valutazioni sufficienti sui possibili rischi a medio e lungo termine e manca un’autorizzazione definitiva. Quindi, questa induzione indiretta alla vaccinazione accompagnata dalla compressione di diritti costituzionali come quello al lavoro (art. 4 Cost.), per alcuni avrebbe richiesto maggiore prudenza, deficitando di ragionevolezza e proporzionalità. Ad oggi l’Italia è l’unico Stato Europeo ad aver adottato questa politica sanitaria.

In un regime democratico liberale i diritti fondamentali dovrebbero essere il radicamento più sacro e intangibile: ecco perché le limitazioni dovrebbero essere soggette ad una profonda riflessione quanto alla portata, all’ampiezza, alla temporaneità.

In ogni caso deve essere evitato il rischio (paventato dal Comitato Nazionale per la Bioetica) che misure temporanee di sorveglianza (accettate inizialmente in periodi di estrema emergenza) si trasformino progressivamente in prassi e consuetudini, incidendo nei rapporti interpersonali e nel rapporto biopolitico dei cittadini con lo Stato. Ad es. la Cina ha reso ordinario il sistema di tracciamento previsto in epoca pandemica, anche cessata l’emergenza, con un controllo sociale e giuridico globale della popolazione cinese incompatibile con lo Stato di diritto democratico. (cfr. cfr. Aldo Rocco Vitale “Obbligo vaccinale, passaporto e patente immuno-sanitari e tutela del diritto alla salute nell’emergenza covid-19 come problemi biogiuridici”).

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Digital Green Certificate (attivo dal 1 luglio 2021)

È il certificato, digitale o cartaceo, di avvenuta vaccinazione contro il Covid-19; avvenuta guarigione; effettuazione di un test molecolare o antigenico per la ricerca di SARS-CoV-2 con risultato negativo, che sia interoperabile a livello europeo, attraverso un codice a barre bidimensionale (QRcode), verificabile attraverso dei sistemi di validazione digitali, associato ad un codice identificativo univoco a livello nazionale. 

L’interoperabilità europea consegue all’avvenuta definizione di dati e regole comuni, che devono essere utilizzate per l’emissione dei certificati nei 27 Paesi dell’Unione Europea e allo sviluppo di piattaforme e strumenti informatici nazionali ed europei deputati a garantire l’emissione, la validazione e l’accettazione dei certificati. Il DGC è gratuito, in italiano e inglese e, per la Provincia Autonoma di Bolzano, anche in tedesco.

Il Regolamento europeo sulla Certificazione verde Covid-19 - EU digital COVID certificate, approvato il 9 giugno 2021 dal Parlamento europeo, prevede che gli Stati dell’Ue non possano imporre ulteriori restrizioni di viaggio ai titolari di certificati - come quarantena, autoisolamento o test - a meno che “non siano misure necessarie e proporzionate per salvaguardare la salute pubblica”.

La Commissione europea ha creato una piattaforma tecnica comune (Gateway europeo), attiva dal 1 giugno 2021, per garantire che i certificati emessi dagli Stati europei possano essere verificati in tutta l'UE. La Certificazione resterà in vigore per un anno a partire dallo scorso 1 luglio 2021.

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3. La rilevanza del titolo anticorpale (di chi oggi è già vaccinato o è un guarito Covid)

Attualmente il titolo anticorpale non viene utilizzato per decidere l’opportunità o meno di vaccinare una persona, perché in ambito medico non sarebbe ancora chiara la correlazione tra tasso anticorpale e reale copertura immunitaria. Anzi le autorità sanitarie (Ministero della salute ISS e regioni) hanno finora dato espressa indicazione di non considerare il tasso anticorpale come elemento per valutare se o quando vaccinare.

Sul piano scientifico è noto che l’immunità anticorpale è solo una parte della risposta immunitaria dell’organismo: la risposta immunitaria cellulo-mediata sarebbe la più importante per proteggere dall’infezione ma sarebbe un indicatore molto difficile da misurare.

L’informazione sul punto è molto carente. Parrebbe che un dato anticorpale basso non escluda una buona difesa immunitaria. Ma un dato anticorpale alto sembrerebbe comunque indice di adeguata difesa.

Se il vaccino non è un fine ma un mezzo e serve ovviamente per assicurare alle persone un livello anticorpale adeguato, ci si chiede perché non considerare questo dato (facilmente misurabile) in chi ha superato la malattia o ha già concluso il primo ciclo vaccinale.

Consentire questa verifica e la possibilità sulla sua base di ottenere il Green pass renderebbe sicuramente più comprensibile oggi la norma vaccinale, con conseguente maggiore accettazione e adesione sociale.

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Il piano giuridico

“È certamente sconcertante dover ammettere che la nostra vita, nella complessità dei suoi aspetti, sia misteriosamente collegata ai pipistrelli dell’entroterra cinese. L’uomo, la misura di tutte le cose, con la sua prodezza scientifica, il suo dominio sulla natura, si trova di fronte ad una catastrofe che non riesce a controllare e che lo richiama alla sua irriducibile dimensione biologica, alla sua costitutiva vulnerabilità”. (Luisella Battaglia “L’idea di salute globale. Una sfida per la bioetica”)

L’emergenza virale e il fenomeno pandemico hanno improvvisamente ricordato all’essere umano la sua fragilità e la precarietà di molte sue dimensioni esistenziali. E hanno trovato sostanzialmente impreparate le democrazie occidentali e le rispettive strutture sanitarie, entrate quasi subito in affanno (nella prima fase) con la rapida saturazione delle terapie intensive.

Anche il sistema sanitario italiano non si è dimostrato pronto a far fronte a un’epidemia: l’ultimo piano pandemico aggiornato risaliva al 10 febbraio 2006.

Le istituzioni di governo hanno reagito con una gestione emergenziale basata su una serie di dpcm, decreti legge, provvedimenti del Consiglio dei Ministri, decreti ministeriali che hanno compresso l’ordinaria dialettica politico istituzionale e quindi anche l’emersione e soluzione nelle sedi appropriate dei vari dubbi giuridici sul corretto uso delle fonti giuridiche e sul rispetto dei principi fondamentali.

In un primo tempo le libertà costituzionali sono state compresse per contenere la diffusione pandemica e in un secondo momento per gestire lo stato di emergenza, preservando le strutture sanitarie. Tre i principi cardine a confronto ex art. 32 della Cost.: il diritto individuale alla salute, l’autodeterminazione terapeutica e l’interesse alla salute collettiva.

Con riferimento ai primi due, il primo atto normativo di superamento del c.d. paternalismo medico si è avuto con l’art. 1 del Codice di Norimberga, per il quale ogni soggetto doveva volontariamente dare il proprio consenso a essere sottoposto ad un esperimento, e doveva conoscere la natura, la durata e lo scopo della sperimentazione clinica, il metodo e i mezzi con cui sarebbe stata condotta, eventuali effetti sulla salute sul suo benessere ed eventuali pericoli.

L’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 1997 stabilisce che un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia prestato un consenso libero ed informato. La persona deve ricevere, anzitutto, un’informazione adeguata sullo scopo, sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze, i suoi rischi e può in qualsiasi momento liberamente revocare il consenso.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) all’art. 3 sancisce che ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica, e che nell’ambito della medicina e della biologia devono essere rispettati il consenso libero ed informato secondo le modalità definite dalla legge.

L’art. 25 della Convenzione di Helsinki del 2013 prevede che la partecipazione alla ricerca medica deve essere volontaria e può coinvolgere solo individui capaci di fornire un consenso informato. Anche se può essere appropriato consultare i familiari o il responsabile della comunità, nessun individuo capace di fornire il proprio consenso può essere inserito in uno studio clinico se non ha espresso una libera volontà a partecipare.

L’art. 1 co. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) sancisce che la dignità umana è inviolabile. E la dignità (secondo la definizione preferibile) è il diritto ad essere sé stessi in ogni circostanza della propria vita.

Infine, il già richiamato art. 1 della legge n. 219/2017 ha introdotto una disciplina positiva del consenso e del dissenso informato alle cure, che è condizione di liceità di qualsiasi atto medico.

Ovviamente l’introduzione di un obbligo vaccinale può rappresentare un efficace mezzo di riduzione preventiva dei rischi di contagio di gravi patologie. Ma sul piano etico/giuridico rischia, tuttavia, di tradursi in un approccio di tipo paternalistico, poiché comprime l’autodeterminazione individuale e impone sanzioni.

La dottrina e la giurisprudenza italiane hanno più volte ribadito che l’obbligo vaccinale è senz’altro legittimo ex art. 32 Cost., per il quale la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il vaccino ha, quindi, un valore etico in virtù del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. che per la Corte costituzionale (sentenza n. 5/2018) deve essere inteso in modo bidirezionale e reciproco: come solidarietà della collettività verso il singolo e del singolo verso la collettività.

Sempre secondo la giurisprudenza costituzionale, il diritto alla salute è costituito da tre elementi: è un diritto erga omnes immediatamente garantito dalla Costituzione e quindi azionabile e tutelabile direttamente nei confronti di autori di comportamenti illeciti; si concreta nel diritto ai trattamenti sanitari; si articola in una serie di situazioni giuridiche soggettive che dipendono dalla natura e dal tipo di protezione che l’ordinamento assicura all’integrità fisica e psichica della persona umana.

In epoca pandemica la maggior parte delle risorse sanitarie sono state convogliate nella lotta alla diffusione del virus, mentre il diritto alla salute in relazione a tutte le altre patologie ha registrato un significativo arresto per ritardi di screening, di interventi chirurgici, e a causa dello stesso forzato “distanziamento medico”.

Esiste, quindi, un generale dovere di bilanciamento delle risorse, soprattutto in un momento in cui (come quello attuale) il primo periodo emergenziale è stato di fatto superato, e il sistema deve riassestarsi su posizioni di maggior equilibrio e tutela diffusa. Tenuto altresì conto che ad oggi non è affatto chiaro quanto potrebbe durare l’attività di contrasto alla diffusione del virus.

Ci si chiede, quindi, quale sia il presupposto etico e giuridico per una eventuale introduzione di un obbligo vaccinale.

La sentenza n. 5/2018 della Corte Cost. ha chiarito i presupposti perché l’obbligo vaccinale sia compatibile con l’art. 32 Cost: il trattamento non deve essere diretto solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; deve esservi la previsione che esso non incide negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato (salvo per conseguenze temporanee e di scarsa entità) e, infine, in ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto a trattamento obbligatorio, deve essere prevista la corresponsione di un’equa indennità in favore del danneggiato.

L’art. 32 co. 2 richiama la riserva di legge: il trattamento sanitario obbligatorio o coatto concreta sempre una limitazione all’integrità psico fisica della persona (come peraltro ribadito dalla stessa Corte, sentenza n. 238/1996).

In caso di pratiche mediche invasive opera, quindi, la garanzia della riserva assoluta di legge che richiede la tipizzazione dei casi e dei modi in cui la libertà personale verrà compressa e ristretta. E deve trattarsi di una legge ordinaria dello Stato (cfr. Corte Cost. sentenza n. 5/2018), senza che possano legiferare in materia regioni o altri enti (art. 117 cost. comma II, lettera q che richiama la profilassi internazionale, e il terzo comma che fa rientrare la tutela della salute tra i principi fondamentali) e ciò anche per l’esigenza di uniformità su tutto il territorio nazionale. Non pare, infatti, condivisibile la tesi di chi sostiene che si tratterebbe di una mera riserva relativa (che ammette qualsiasi fonte avente “forza di legge” e quindi anche i decreti legge da sottoporre a conversione).

Anzitutto i trattamenti sanitari incidono sempre sull’integrità fisica e psichica della persona: non si vede, quindi, come possa ammettersi l’introduzione di un trattamento obbligatorio con un atto del potere esecutivo soggetto a conversione: in mancanza di conversione gli effetti sulla salute del destinatario sarebbero invece irreversibili senza poter ripristinare lo status quo ante.

Solo una legge formale del Parlamento (organo rappresentativo della volontà popolare nel suo complesso) garantisce, inoltre, che gli interessi coinvolti siano adeguatamente rappresentati e ponderati, e permette un ampio controllo anche da parte dell’opinione pubblica. Dibattito che potrebbe essere, per contro, inibito in sede di conversione di un decreto legge se l’Esecutivo appone la fiducia.

Anche l’interpretazione letterale sembra supportare la tesi della riserva assoluta: l’art. 23 Cost. in tema di prestazioni personali introduce una riserva relativa di legge. Ma può un trattamento sanitario essere posto sullo stesso piano di una prestazione personale? La risposta è intuitivamente negativa: l’art. 32 Cost. introduce una riserva assoluta imponendo che il trattamento sia “determinato” e quindi disciplinato in maniera precisa e puntuale. Anzi non potendo essere imposti trattamenti sanitari che superino i limiti del rispetto della persona umana, si tratta di una riserva di legge “rafforzata”, che incontra uno specifico limite nel suo stesso contenuto dispositivo.

Una legge introduttiva dell’obbligo di vaccinazione dovrebbe, altresì, prevedere un indennizzo per eventuali casi di reazioni negative. La l. n. 210/1992 ha introdotto una forma di indennizzo per le vaccinazioni obbligatorie. La Corte costituzionale ha esteso tale indennizzo anche alle vaccinazioni semplicemente raccomandate, valorizzando l’affidamento delle persone nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie. Tale affidamento implica la traslazione in capo alla collettività degli effetti dannosi che conseguono alle scelte individuali, perché la scelta di vaccinarsi risponde al principio di solidarietà sociale e quindi va anche a vantaggio della collettività.

La mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da vaccinazione, si risolverebbe in una lesione degli artt. 2 e 32 Cost. perché le esigenze di solidarietà impongono, oltre alla tutela del diritto alla salute del singolo, che sia la collettività ad accollarsi l’onere del danno subìto: sarebbe ingiusto lasciare l’individuo solo a sopportare il costo di un beneficio anche collettivo

La legge introduttiva dell’obbligo vaccinale dovrebbe, poi, garantire la tutela effettiva del consenso informato. Le persone dovrebbero, fra l’atro, essere edotte sulla differenza tra vaccini a base di DNA e vaccini a base di mRNA e garantire loro la possibilità di scegliere quale vaccino inocularsi. Il consenso informato dovrebbe, inoltre, estendersi ai possibili rischi a medio-lungo termine del vaccino: punto su cui oggi non vi è certezza tanto che, come detto, manca l’autorizzazione definitiva. Le ultime dichiarazioni governative lasciano, invero, intendere la volontà dell’Esecutivo di attendere la validazione dei vaccini come farmaco ordinario.

Un obbligo giuridico per essere tale deve essere coercibile. La legge dovrebbe, quindi, prevedere le sanzioni: l’attenzione alla natura e alla misura dovrebbe essere estrema, così come la prudenza giuridica perché l’obbligo vaccinale comunque incide nella sfera di diritti fondamentalissimi e costituzionalmente rilevanti, come la libertà personale e la salute individuale e collettiva. Né parrebbe legittimo comprimere in via sanzionatoria altri diritti costituzionali, come il diritto all’istruzione il diritto di lavoro il diritto di circolazione di professione del proprio culto ecc.

L’articolo 32, co. 2, Cost anche se interpretato in modo elastico, estensivo o sistematico non pare ammettere la possibilità di tutelare la salute collettiva attraverso una coercizione che si concreti nella compressione significativa o definitiva di altri diritti costituzionali.

I diritti fondamentali dell’uomo sono pre-ordinamentali e la Repubblica si limita a riconoscerli. Non sono, quindi, nella disponibilità del legislatore che non può utilizzarli a propria discrezione, anche se in situazioni di emergenza. (cfr. cfr. Aldo Rocco Vitale  “Obbligo vaccinale, passaporto e patente immuno-sanitari e tutela del diritto alla salute nell’emergenza covid-19 come problemi biogiuridici”).

Peraltro il co. 2 dell’art. 32 Cost. contrappone al diritto della salute sancito nel primo comma, la salute nella sua forma pubblica come mero “interesse” della collettività. Tale interesse, pur avendo rilievo costituzionale, non può contrastare in modo frontale con i diritti costituzionalmente garantiti.

Se, quindi, l’obbligo vaccinale è sicuramente legittimo sotto il profilo costituzionale, anche l’eventuale sanzione dovrà rispettare il dettato della Carta fondamentale dello Stato e, quindi, rispondere a principi di proporzionalità e di rispetto della dignità umana, che sintetizza la tutela di tutti i diritti individuali fondamentali costituzionalmente protetti. Ecco perché in ogni caso lo strumento dell’obbligatorietà dovrebbe essere introdotto come extrema ratio.

Ovviamente l’obbligo vaccinale dovrebbe venir meno una volta cessata l’emergenza sanitaria.

In questo contesto, solo adeguate campagne pubbliche di informazione possono far sì che la popolazione disponga di un livello sufficiente di informazione, chiara e scientificamente solida, che costituisca una vera alternativa alla obbligatorietà delle vaccinazioni e supporti adeguatamente la scelta meno impositiva della raccomandazione. Solo una popolazione adeguatamente informata si orienterà in quantità sufficiente verso una spontanea adesione alle campagne vaccinali.

E ciò contando anche sul fatto che nella pratica medico sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo è assai minore di quella che separa i due concetti negli altri rapporti giuridici.

Nell’ambito medico il raccomandare e il prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo (tanto che sul piano del diritto all’indennizzo le vaccinazioni raccomendate e quelle obbligatorie non subiscono differenze), salvo che nell’un caso non vi sono conseguenze sul piano giuridico mentre l’inadempimento dell’obbligo è comunque sanzionato (cfr. Corte Cost. sentenza n. 5/2018).

La stessa Commissione europea ha sottolineato come la trasparenza e la comunicazione siano un elemento fondamentale per mantenere e sostenere la fiducia della popolazione nei vaccini e nella vaccinazione.

Attualmente il decreto legge 44/2021 (convertito con la l. n. 76/2021) ha introdotto in Italia per la prima volta l’obbligo vaccinale per il personale medico per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (quali, ad esempio, medici, infermieri, operatori delle RSA, lavoratori delle farmacie e para farmacie, …). Tale obbligo è, attualmente, previsto fino alla completa attuazione del piano di cui all’art. 1, comma 457 l. 178/2020 (ai sensi del quale “per garantire il più efficace contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2, il Ministro della salute adotta con proprio decreto avente natura non regolamentare il piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale e, comunque, non oltre il 31.12.2021.

La sanzione è il demansionamento (con assegnazione del lavoratore a mansioni, anche inferiori, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate) che non implichino rischi di diffusione del contagio o, se non possibile, la sospensione senza retribuzione che mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale e che, in mancanza, per un periodo che può durare sino al 31 dicembre 2021.

In sostanza, fino al 31.12.2021, la vaccinazione contro il covid è diventata requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soggetti obbligati.

La legge prevede la non obbligatorietà della vaccinazione solo in caso di accertato pericolo per la salute dell’operatore sanitario “in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”, e questo in virtù di quanto prescritto dalla sentenza n. 5/2018 Corte Cost. per cui l’obbligo vaccinale è legittimo solo a condizione che non incida negativamente sulla salute del soggetto obbligato.

La sanzione dell’inadempimento coinvolge e sacrifica (seppur per un periodo di tempo limitato) il diritto al lavoro previsto dall’art. 4 Cost., toccando lo status lavorativo del soggetto obbligato: verosimilmente è il motivo per cui non è stata prevista la sanzione del licenziamento in quanto incorrerebbe nel divieto di sacrificio assoluto di un diritto costituzionale quale quello al lavoro, all’autodeterminazione individuale e al diritto di rifiutare le cure.

Il contesto europeo ed internazionale tende ad esprimersi negativamente rispetto all’introduzione dell’obbligo vaccinale.

Il Consiglio d’Europa con la Risoluzione 2361 del 27/01/2021 ha espressamente escluso che gli Stati possano rendere obbligatoria la vaccinazione anti covid (punto 7.3.1) e che possano usarla per discriminare lavoratori o chiunque decida di non avvalersene (punto 7.3.2) e si è, altresì, espresso contro l’imposizione di patentini o passaporti vaccinali.

L’Unione Europea si è dimostrata favorevole all’introduzione del passaporto vaccinale per garantire la circolazione transfrontaliera mentre, ad oggi, non si è espressa favorevolmente rispetto all’introduzione dell’obbligo vaccinale

Come detto all’interno dell’Unione Europea solo l’Italia e la Francia hanno introdotto un obbligo vaccinale per il personale sanitario.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo non si è ancora pronunciata sul merito dei ricorsi relativi alla compatibilità con la CEDU di restrizioni di diritti o libertà motivate dalla pandemia da Covid-19. Ha, infatti, adottato esclusivamente decisioni relative a richieste di misure cautelari provvisorie, previste e disciplinate dall’art. 39 del Regolamento CEDU (volte a salvaguardare i diritti CEDU dei ricorrenti dal rischio imminente di un danno irreparabile). La Corte ha chiarito che la concessione di tali misure è estremamente rara e avviene solo quando sono in gioco “diritti chiave” protetti dalla CEDU, quali il diritto alla vita e la proibizione di tortura.

Nel rispetto di quanto sopra la Corte (24 agosto 2021, n. 41950/21) ha rigettato le richieste di “sospensiva” chieste ex art. 39 Reg. da 672 pompieri francesi relativamente alla norma statale che impone agli impiegati pubblici e, segnatamente, ai vigili del fuoco ricorrenti, l’obbligo della vaccinazione contro il Covid-19, ritenendo che non vi fosse alcun fumus di violazione delle norme convenzionali evocate (art. 2 e art. 8 che tutelano il diritto alla vita ed il diritto alla vita privata e familiare). La Corte si è limitata a rilevare la carenza dei presupposti per la concessione della tutela provvisoria richiesta, ritenendo che l’obbligo vaccinale imposto ai pompieri non ricadesse tra i casi che richiedono un intervento cautelare immediato. È la stessa Corte a precisare che tale conclusione, come tutte quelle rese ex art. 39, non pregiudica il contenuto del successivo giudizio sul merito del successivo ricorso.

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Conclusioni

Questa esperienza pandemica ha spazzato via molte delle nostre barriere concettuali, ha messo in evidenza differenze macroscopiche nell’accesso alle risorse, ci ha fatto percepire la nostra permeabilità, fragilità vulnerabilità. Ci ha insegnato l’impermanenza delle dimensioni naturali e sociali, la nostra interdipendenza anche a livello globale.

Stiamo comprendendo come sia illusoria la ricerca di “sicurezza”, e come questa possa trovare un approdo più duraturo nella ricerca di protezione e cura che devono rispondere al criterio della reciprocità. Abbiamo avvertito la presenza del limite e la consapevolezza degli aspetti di vita che ci sono mancati e che ancora ci mancano, come l’esigenza di comunità e di relazione sociale.

È per questo che, a parere di chi scrive, è necessario intercettare le fragilità altrui e cercare di supportarle piuttosto che costringerle, consapevoli di quanto turbamento e incertezza si sia depositata dentro di noi.

E di come siamo di fronte anzitutto ad una sfida etica e culturale che richiede più propriamente la creazione di uno “spazio etico”, che è un luogo non solo fisico ma anche di comunicazione e dialogo dell’accoglienza, dello scambio di dubbi e perplessità sulle decisioni prese o da prendere. E questo a tutti i livelli e in ogni istituzione, soprattutto nelle istituzioni di cura. L’incertezza e il dubbio devono trovare una sede di elaborazione e solo così sarà possibile costruire una comunità globale basata sull’idea di vulnerabilità e di cura e non più sulla forza e l’economia (cfr. intervista di Marino Sinibaldi a Luisella Battaglia, Direttrice dell’Istituto Italiano di Bioetica, radio tre 12.09.2020).

Non a caso a parere di chi scrive la l. n. 119/2017, che ha reintrodotto l’obbligo vaccinale per i minori, prevede un apposito procedimento volto a fornire in un incontro personale con i genitori ulteriori informazioni, “strumento particolarmente favorevole alla comprensione reciproca, alla persuasione e all’adesione consapevole” (Corte Cost. sentenza n. 5/2018). Solo alla fine di questa procedura e previa concessione di un adeguato termine “potranno essere inflitte le sanzioni amministrative previste, peraltro mitigate”. (Corte Cost. cit.)

Ecco perché è sempre più centrale un’informazione chiara, semplice, corretta ed adeguata; aperta ai dubbi e alle domande di ciascuno. I dati che un normale cittadino rinviene nei siti istituzionali, nei mezzi di comunicazione e nella rete sono molteplici, contraddittori e di difficile sintesi. Ne risulta una ambiguità di fondo in chi è privo di specifiche competenze e, pur non essendo un no-vax di principio, sia ancora in una situazione di incertezza.

Pensiamo allo spazio ridottissimo che viene dato al dibattito sul superamento dei brevetti per la diffusione del vaccino nei paesi più poveri, un aspetto fondamentale anche per la nostra politica sanitaria nazionale. Ugur Sahin, Ad di BioNTech, in un’intervista rilasciata al Financial Time il 3.10.2021 ha affermato che “le varianti attualmente in circolazione, come la Delta, sono più contagiose ma non abbastanza diverse da mettere a rischio l’efficacia degli attuali vaccini. Ma il virus continuerà a sviluppare mutazioni che potrebbero sfuggire alla risposta immunitaria indotta dal vaccino, rendendo necessaria una “versione su misura” per colpire in modo specifico il nuovo ceppo. Non abbiamo motivo di presumere che il virus di prossima generazione sarà meno problematico per il nostro sistema immunitario rispetto a quello esistente. L’evoluzione continua, è appena iniziata”.

Di qui la convinzione che tutti gli strumenti di contrasto alla pandemia dovrebbero essere strettamente giustificati secondo un criterio di precauzione e proporzionalità, oltre che di necessità, perché non siamo all’esito di questa difficile esperienza globale ma probabilmente solo all’inizio. La discrezionalità del legislatore deve essere sempre esercitata “alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte e delle acquisizioni sempre in evoluzione della ricerca medica” (Corte Cost. n. 5/2017)

Precauzione e proporzionalità non solo relativamente all’ “an” di un eventuale obbligo vaccinale ma anche al procedimento applicativo e al tipo di sanzione collegata.

Il punto di partenza resta quel principio dell’habeas corpus, fondamentale per la concezione dello Stato moderno di diritto: l’esercizio del potere pubblico trova un limite etico e giuridico all’esercizio nell’intangibilità dell’integrità psicofisica della persona.

Oggi questa intangibilità, alla luce dell’art. 1 co. 1 della carta di Nizza, si estende all’intangibilità della dignità umana, approdo peraltro fondamentale per l’atto medico/sanitario anche alla luce della L. 219/2017.

Sicuramente gli artt. 2 e 32 della Cost. richiamano una imprescindibile dimensione relazionale (non viviamo da soli ma con gli altri): il rispetto del mio corpo in una società solidale implica anche il rispetto del corpo altrui, e quindi la possibilità per lo Stato democratico di prevedere regole di condotta solidale e sicurezza collettiva.

Ma il confine tra il rispetto del mio corpo e il rispetto del corpo altrui, e quindi la possibilità di imposizione di obblighi vaccinali al fine di evitare il contagio altrui, deve rispondere al principio della necessità e della proporzione. E non devono sussistere altre alternative scientifiche.

La questione è se oggi ci sia effettivamente la necessità sanitaria di obbligare e quali limiti deve avere questa necessità e quali garanzie anche scientifiche disponga la legge per fondare questo giudizio di necessità.

In assenza di una terapia specifica per la patologia virale la politica sanitaria nazionale ed europea ha potuto valorizzare fino a questo momento solo la vaccinazione. È di questi giorni, tuttavia, la notizia che è stato sottoposto a procedura di approvazione di emergenza (alla Fda statunitense) un farmaco anti covid (il molnupiravir della Merck): somministrato (per via orale) precocemente (entro i primi 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi) ai pazienti con Covid 19 dimezzerebbe il rischio di ospedalizzazione e di morte anche nei soggetti a rischio, impedendo di fatto al virus di replicarsi nelle cellule. L’eventuale verificata efficacia del farmaco consentirà ovviamente di affrontare la cura dei malati a domicilio e quindi una possibile revisione dell’attuale strategia sanitaria.

Vero è che l’attuale pandemia “ha evidenziato la necessità di attivare nuove forme di cooperazione a tutti i livelli, a partire da progetti di “open innovation” tra case farmaceutiche e istituti di ricerca per trovare il vaccino.

Per questo dovremmo pensare ad un approccio integrato e parlare di una “salute circolare (One Health)” la cui parola chiave è interdisciplinarietà. Un percorso di grande interesse è quello seguito dall’Università di Sidney in cui le facoltà di agraria, di ecologia e di veterinaria sono unite in un’unica scuola di Life Sciences e studiosi dei vari settori disciplinari elaborano progetti di ricerca comune, nella convinzione che solo con la multidisciplinarietà si possa procedere in una direzione innovativa.

Dal momento che la società globale è una società complessa, dovremmo diventare sempre più consapevoli che i quesiti complessi non si risolvono con la verticalità delle singole discipline ma piuttosto con l’interdisciplinarietà orizzontale del loro intreccio.” (Luisella Battaglia “L’idea di salute globale. Una sfida per la bioetica”)

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