Le fasi di una pandemia: siamo ancora in fase pandemica?

Quest’ultimo anno e mezzo ci ha costretto a familiarizzare con alcuni termini fino a prima noti solo a specialisti : epidemia, pandemia, infodemia, sindemia, endemia ecc.

Il Covid-19 ha infatti messo alla prova la comunità nazionale ed internazionale: in un primo momento, coincidente con la sua diffusione in territorio cinese, sembrava una realtà molto distante, ma in pochi mesi la prospettiva è cambiata perché il virus si è drammaticamente diffuso causando molte vittime. Abbiamo vissuto chiusure improvvise, che sembrava dovessero durare solo pochi mesi e si sono invece protratte molto più a lungo: “chiudiamo oggi per riabbracciarci domani” era lo slogan ad inizio pandemia. I fatti si sono rivelati non coincidenti con queste aspettative: abbiamo vissuto ondate successive di contagi, il rispristino alterno delle misure di contenimento, le varianti del virus, il sopraggiungere della possibilità vaccinale.

Inizialmente il covid-19 era stato paragonato all’influenza spagnola, definita allora la “grande influenza” e rinominata da altri la “grande pandemia”; tuttavia, il decorso della spagnola è stato diverso da quello che attualmente sta interessando il sars-cov-2, visto che si è esaurita nel giro di poco tempo.

L’attuale scenario presenta, invece, connotati ben diversi ed è sempre in evoluzione, situazione che induce ad interrogarci circa il futuro di questa crisi sanitaria. Secondo alcuni esperti virologi, il periodo di emergenza sembrerebbe essere giunto ad un punto di svolta, e ciò grazie ad una nuova fase del virus, che starebbe diventando “endemico”.

Il termine “endemico”, deriva dal francese endémique e viene utilizzato per indicare una malattia che si caratterizza per essere presente stabilmente sul territorio, continuando a circolare fra la popolazione, in maniera costante nel tempo, con picchi positivi e negativi ma con una distribuzione uniforme in un certo lasso di tempo.

Se la presenza di contagi sarà costante, i sintomi della malattia saranno sempre più lievi per cui non solo caleranno i ricoveri ma anche i decessi perché il virus si adegua all’ospite e punta alla sua sopravvivenza. Quindi se il Covid-19 non scomparirà improvvisamente, circolerà in modo sempre più controllato, e dovremmo conviverci.

In altre parole, lo scenario considerato più probabile prevede che il virus, che ha determinato la prima pandemia del mondo globalizzato, durerà a lungo ma nel corso del tempo perderà aggressività trasformandosi in una minaccia molto meno temibile.

Il suo decorso non sarebbe dissimile a quello degli altri quattro coronavirus del raffreddore, divenuti oramai quasi del tutto innocui per l’uomo, proprio a seguito della lunga convivenza con l’ospite, in una sorta di progressivo adattamento tale da ridurre la capacità di scatenare sintomi rilevanti. Anche i sintomi si avvicineranno a quelli influenzali e da raffreddamento.

Lo sviluppo del Covid, quale virus endemico, era già stato ipotizzato lo scorso novembre 2020 in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Science: alcuni ricercatori della Columbia Mailman School erano giunti a questa conclusione analizzando l’interazione tra i vari fattori, come la durata dell’immunità, le condizioni ambientali e le misure di controllo.

Sempre la rivista Science ha poi pubblicato altri analoghi studi sulla possibile evoluzione del virus nel corso degli anni. Alcuni studiosi della Pennsylvania State University hanno elaborato un modello teorico che conferma l’evoluzione del Covid-19 in virus endemico, che colloca la percentuale di letalità intorno allo 0,1%, un livello inferiore rispetto all’influenza stagionale.

Una volta divenuto endemico, il virus tenderà a coinvolgere anche i bambini dai 3 ai 5 anni, determinando l’insorgenza di lievi sintomi e lo sviluppo di una risposta immunitaria tale da evitare, in caso di successiva reinfezione, gravi ripercussioni sull’organismo.

Come ipotizzato dalla ricercatrice Jennie Lavine, il virus “diventerebbe un nemico incontrato per la prima volta durante l’infanzia e da quel contatto iniziale deriverebbe una protezione in grado di evitare che le esposizioni in età adulta evolvano in forme gravi di malattia”. In caso di successivo contatto le cellule della memoria sarebbero in grado di riattivare la produzione di specifici anticorpi neutralizzanti.

Anche la rivista Nature ha approfondito l’argomento: sono stati intervistati oltre 119 scienziati – immunologi, ricercatori di malattie infettive e virologi- ed è stato loro chiesto quale sarà il futuro della pandemia: il 90% degli studiosi si attende che il nuovo coronavirus evolva nella fase endemica. Un ruolo avrà il tipo di immunità acquisita dalle persone con il superamento dell’infezione o la vaccinazione, e la diffusione di varianti.

Nel marzo 2021 sempre la ricercatrice Jennie Lavine aveva già ipotizzato il raggiungimento di uno stato endemico di tipo lieve, in un breve arco di tempo (dai 6 mesi ad un anno), mantenendo il distanziamento sociale e le altre cautele comportamentali e favorendo la vaccinazione.

Su questi presupposti la dott.ssa Ilaria Capua, direttrice del Centro di Eccellenza One Health dell’Università della Florida, si è detta qualche giorno fa fiduciosa del fatto che il peggio sia ormai passato: “Siamo riusciti a mettere nel recinto il virus, tirerà ancora qualche calcio questo inverno, ma la vita può tornare alla normalità. Questo virus si comporterà come un’influenza”.

La pandemia sarebbe finalmente in una fase di semaforo rosso: I fenomeni pandemici hanno una fase di attacco violento dove trovano tutti i semafori verdi, perché le persone non hanno anticorpi e non hanno strumenti per proteggersi. Gli unici che avevamo erano appunto le mascherine e il distanziamento sociale”. Ovviamente la svolta decisiva è giunta grazie al vaccino anti covidAdesso in Italia siamo con una percentuale di vaccinati molto alta e quindi finalmente siamo riusciti a metterlo nel recinto. Che cosa significa? Non significa che il virus andrà via, il virus si sta endemizzando quindi sta passando dalla fase pandemica ‘di attacco’ alla fase endemica che è di circolazione virale ‘sottotraccia’ come tante altre malattie che conosciamo”.

In Italia, quindi, il virus avrebbe raggiunto la fase endemica, ferma la necessità di controllare eventuali varianti.

Si profila, altresì, necessario tenere sotto controllo gli elementi ecologici di contesto: interrompere la distruzione dell’ambiente, impedire il commercio illegale di animali e ridurre le occasioni di contatto con le specie portatrici dei virus.

L’epidemiologo Michael Osterholm, Università del Minnesota, sostiene da tempo che non c’è malattia nella storia dell’umanità che sia scomparsa dalla faccia della Terra quando la componente zootica ha rivestito una parte importante o ha svolto un ruolo nella trasmissione. E sappiamo che il nuovo coronavirus è in grado di infettare facilmente molte specie animali. Molte malattie quindi, pur tenute sotto controllo, persistono perché i serbatoi animali (o meglio l’alterato rapporto uomo animale e la distruzione dei lor habitat) danno la possibilità agli agenti patogeni di trasmettersi all’uomo (basti ricordare a titolo di esempio la febbre gialla e l’ebola).

Per questo si parla di “sindemia”, termine che indica proprio la connessione tra malattie e gli altri fattori ambientali sociali economici prodotti dalla reciproca interazione sinergica. Oltre al vaccino sarà la biodiversità che ci proteggerà dalle malattie virali.

In altre parole il cambiamento climatico, il cibo ultraprocessato (industriale), la struttura urbana che diminuisce le possibilità di movimento quotidiane senza mezzi, i mercati con animali vivi, la distruzione dell’habitat naturale delle specie animali, le tecniche di allevamento (il 50% delle zoonosi deriva dalle pratiche agricole) stanno rapidamente minando le condizioni di sopravvivenza dell’uomo.

E si tratta di una situazione con cui dovremo convivere a lungo nei prossimi anni, se non decenni.

Si tratta, quindi, da un lato di predisporsi a cambiamenti rapidi e significativi nel nostro stile di vita ma anche di ritrovare quel principio di proporzione e appropriatezza tra mezzi e fini, tra interessi sacrificati e benefici attesi che è il perno della democrazia. E ritrovare una politica che torni a farsi mediazione tra istanze diverse per ottenere il consenso dei cittadini attraverso la piena comprensibilità delle norme.

E fermo sempre il rispetto della dignità umana che non è un diritto comprimibile a favore di valori diversi anche costituzionali. E per questo tutelata nella costituzione europea all’art. 1 comma 1 (c.d. Carta di Nizza).

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