Genitorialità omoaffettiva, divieto di maternità surrogata e preminente interesse del minore secondo la Consulta

22 GIUGNO 2021

di Stefano Armellini, avvocato in Padova                                      

Con due sentenze gemelle del 9 marzo 2021, la n. 33 che di seguito commenteremo, e la n. 32 (che commenteremo prossimamente), la Corte Costituzionale ha affrontato i temi molto delicati relativi alla possibilità di costituire un rapporto di filiazione con il genitore non biologico nel caso di un bambino nato in seguito a contratto di maternità surrogata (sentenza n. 33/2021) e di un bambino nato dalla partner della madre biologica all’interno di una relazione omoaffettiva (sentenza n. 32/2021).
Come detto, la sentenza n. 33/2021 riguarda il tema della maternità surrogata, che consiste in un accordo in forza del quale una donna acconsente a condurre la gravidanza per conto di una coppia con problemi di infertilità alla quale si impegna a consegnare il bambino alla nascita. La maternità surrogata viene attuata mediante le tecniche della fecondazione artificiale, cioè mediante inseminazione artificiale o altri sistemi come la fecondazione in vitro.
La maternità surrogata è normalmente utilizzata sia dalle coppie eterosessuali sterili o infertili, sia (come nel caso che ha dato origine alla sentenza in commento) da coppie omoaffettive.
In Italia la l. n. 40/2004 consente la procreazione assistita da parte delle coppie sterili o infertili (art. 4, comma 1), ma vieta con sanzioni penali la commercializzazione di gameti e/o embrioni e la surrogazione di maternità (art. 12, comma 6). Il divieto della maternità surrogata nel nostro Paese induce molte coppie a cercare di realizzarla all’estero, dove la legislazione varia da Paese a Paese.
Di solito la questione riguarda il rapporto di filiazione che deriva dall’accordo di maternità surrogata stipulato all’estero, che normalmente sorge al momento della domanda di trascrizione in Italia dell’atto di nascita del bambino.
In questo caso, invece, non veniva in considerazione la trascrizione dell’atto di nascita straniero, bensì il riconoscimento in Italia di un provvedimento straniero (nella fattispecie canadese) che aveva accertato la sussistenza del rapporto di genitorialità anche con il genitore non biologico del bambino nato a seguito di un contratto di maternità surrogata.
Il caso che ha dato origine alla sentenza della Corte Costituzionale riguarda infatti una maternità surrogata eseguita in Canada per conto di un uomo il quale era padre biologico di un bambino nato grazie alla collaborazione di una donatrice anonima dell’ovulo e di una donna che aveva condotto la gravidanza.
L’uomo era unito in matrimonio ad un altro uomo, il quale a sua volta voleva essere considerato padre del bambino a seguito della condivisione di un progetto di genitorialità con il padre biologico.
L’autorità canadese, nell’atto di nascita del bambino, inizialmente aveva riconosciuto come genitore solo quello biologico, mentre non erano stati menzionati né il marito di quest’ultimo, né la madre surrogata che aveva partorito il bambino, né la donatrice dell’ovocita.
Successivamente, a seguito di un ricorso da parte della coppia, la Corte Suprema della British Columbia aveva dichiarato che entrambi i ricorrenti dovessero essere considerati genitori del bambino e pertanto aveva disposto la corrispondente rettifica dell'atto di nascita in Canada.
I due uomini avevano chiesto all’ufficiale di stato civile italiano di rettificare l’atto di nascita del bambino in Italia e, in seguito al rifiuto opposto, avevano chiesto alla Corte di appello di Venezia il riconoscimento del provvedimento canadese ai sensi dell’art. 67 della l. n. 218/1995.
La Corte d’appello di Venezia ha accolto il ricorso, ma l’Avvocatura dello Stato ha interposto ricorso per Cassazione nell’interesse del Ministero dell’Interno e del Sindaco del Comune ove era stato trascritto l’atto di nascita del minore.
In relazione alla possibilità di trascrivere in Italia l’atto di nascita del bambino nato all’estero in seguito ad un accordo di maternità surrogata (ma le stesse conclusioni logicamente devono valere per il riconoscimento della decisione straniera che accerta il rapporto di genitorialità) si sono registrate diverse pronunce della giurisprudenza sia italiana che della Corte EDU (dato che il tema concerne i diritti fondamentali della persona). Quest’ultima distingue a seconda che il genitore intenzionato a costituire un rapporto di filiazione con il bambino sia o meno il suo genitore biologico.
Più precisamente, con le sentenze gemelle Mennesson e Labassée c. Francia, la Corte europea ha suggerito che, quando il padre committente è anche padre biologico, le autorità nazionali devono trascrivere l’atto di nascita a seguito di maternità surrogata perché il rifiuto sarebbe contrario all’art. 8 CEDU sul divieto di ingerenza dello Stato nella vita privata e familiare.
Diverso è invece il discorso per quanto riguarda il genitore non biologico, il quale eserciti in maniera congiunta la responsabilità genitoriale.
In questo caso la Corte EDU lascia un margine di discrezionalità agli Stati per bilanciare l’eventuale interesse del bambino ad ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione con altri interessi tutelati dalla Costituzione.
In particolare, la Corte EDU ha stabilito che non si può riconoscere la trascrizione automatica di atti di stato civile stranieri o provvedimenti giudiziari che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al "genitore d'intenzione" nei registri degli Stati membri, per non incentivare una pratica procreativa che alcuni Stati, tra i quali l’Italia, considerano lesiva dei diritti e della dignità della donna, e pertanto contraria all’ordine pubblico.
Tuttavia, la stessa Corte EDU ritiene necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il bambino e i genitori che concretamente si prendono cura di lui, e quindi anche con il genitore d’intenzione con il quale non vi è un rapporto di sangue, lasciando discrezionalità a ciascuno Stato nella scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato.

Tale discrezionalità è stata tuttavia successivamente limitata.

Infatti, con il successivo parere consultivo del 10 aprile 2019 la Grande Chambre della Corte Edu, rispondendo ad un quesito della Corte di Cassazione francese, ha chiarito che in una situazione in cui quello
che risulta padre legale (père d’intention) è anche il padre biologico, mentre la madre legale (mère d’intention) non ha donato i suoi gameti, dato che il superiore interesse del minore è quello di avere delle persone che si prendano cura di lui, per non violare l’art. 8 della CEDU, gli Stati devono riconoscere anche alla madre intenzionale che non ha trasmesso i gameti la possibilità di instaurare un legame di filiazione con il bambino nato da maternità surrogata all’estero (§ 46); la Corte EDU ha precisato però che ciò non comporta necessariamente l’obbligo di trascrivere l’atto di nascita formato all’estero, in quanto il legame può essere instaurato anche attraverso l’adozione o con altre modalità che garantiscano la tutela effettiva e celere dell’interesse del minore (§ 55).

Anche la recentissima sentenza della Corte Edu del 18-5-2021 nella causa Valdis Fjölnisdòttir e altri c. Vs Islanda ha confermato che quando il bambino nato da maternità surrogata non è imparentato con i genitori di intenzione (nella fattispecie due mamme, che erano ricorse alla fecondazione in vitro con gameti provenienti da donatori) gli Stati hanno un ampio margine di discrezionalità quanto alla decisione se registrare i genitori d’intenzione come genitori del bambino, a condizione che garantiscano al bambino l’instaurazione di un vincolo familiare sostanziale che nella fattispecie era costituito dall’affidamento del minore alle ricorrenti, dal riconoscimento della cittadinanza e dall’opzione verso l’adozione.

In questo complesso scenario normativo e giurisprudenziale si inserisce la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 12193 del 2019, la quale, approfittando del margine di discrezionalità concesso agli Stati dalla Corte EDU, ha escluso che possa essere riconosciuto nel nostro ordinamento un rapporto di filiazione tra il genitore c.d. “di intenzione” (non biologico) e il minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata, ritenendo tale riconoscimento in contrasto con il divieto della maternità surrogata posto dalla legge n. 40 del 2004, che ha natura di ordine pubblico e quindi impedisce la trascrizione dell’atto di nascita straniero ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. 396/2000 (che sancisce l’intrascrivibilità degli atti dello stato civile formati all’estero contrari all’ordine pubblico).

Tuttavia, successivamente, la pronuncia delle Sezioni Unite, la Ia Sezione Civile della stessa Corte di Cassazione ne ha messo in discussione le conclusioni, sollevando questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni che vietano la maternità surrogata e di quelle sul riconoscimento delle decisioni straniere e sulla trascrizione degli atti di atto di stato civile stranieri.

Più precisamente, la Cassazione ha chiesto alla Corte Costituzionale di pronunciarsi sulla compatibilità del combinato disposto dell'art. 64, comma 1, lettera g), della legge n. 218/1995, dell'art. 18 del d.P.R. n. 396/2000 e dell'art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004 rispetto agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, 1° co., della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), “nella parte in cui non consentono, secondo l'interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l'ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all'inserimento nell'atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta "maternità surrogata") del c.d. genitore d'intenzione non biologico».

La prima sezione della Corte di Cassazione ha infatti ipotizzato che il divieto di riconoscimento in esame violi, oltre al principio costituzionale di uguaglianza e al diritto costituzionalmente tutelato di costruire una famiglia, le Convenzioni internazionali citate in relazione al diritto del minore al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8 CEDU), a non subire discriminazioni, a vedere preso in considerazione preminente il proprio interesse, a essere immediatamente registrato alla nascita e ad avere un nome, a conoscere i propri genitori, a essere da loro allevato e a non esserne separato (rispettivamente, artt. 2, 3, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo), al principio della responsabilità comune dei genitori per l'educazione e la cura del figlio (art. 18 della medesima Convenzione), nonché ai diritti riconosciuti dall'art. 24 CDFUE.

Pronunciandosi sulla questione di costituzionalità, con la sentenza in commento la Corte Costituzionale ha stabilito alcuni importanti princìpi.

Il primo è che la maternità surrogata “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” sicchè il divieto della l. n. 40/2004 ha natura di ordine pubblico. Su questo punto la Corte Costituzionale è allineata alle Sezioni Unite della Cassazione del 2019.

Il secondo è che le fonti interne ed internazionali impongono di tutelare, in una materia così delicata, il superiore interesse del minore che, secondo la Corte Costituzionale, sarebbe quello di vedere riconosciuto il legame di filiazione con entrambi i membri della coppia che si sono presi cura di lui sin dalla nascita. La sentenza delle Sezioni Unite del 2019 aveva stabilito che il giudice italiano non poteva sostituire la propria valutazione del superiore interesse del minore a quella del legislatore (nonostante la pacifica insussistenza di un rapporto biologico con il genitore intenzionale), aggiungendo che il rapporto genitoriale avrebbe potuto trovare realizzazione nell’ambito dell’adozione in casi particolari.

La Corte Costituzionale si è invece discostata da questa conclusione e ha invece aderito all’opinione della prima sezione della Cassazione che non reputa sufficiente l’adozione in casi particolari di cui all’art. 44 l. 184/1983, in quanto questa non determina un rapporto di filiazione pieno, dato che non crea legami del bambino con i parenti dell’adottante e non attribuisce diritti successori ed ha il limite di richiedere il consenso del genitore biologico, che potrebbe venir meno in caso di crisi della coppia.

Sulla base di queste argomentazioni la Corte, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge n. 40/2004 e delle norme sul riconoscimento degli atti di stato civile stranieri che non consentono la trascrizione dell’atto di nascita del bambino nato all’estero di un contratto di maternità surrogata rispetto al genitore non biologico, allo scopo di garantire il riconoscimento giuridico del legame di filiazione con il bambino nato da maternità surrogata richiesto dalle sentenze gemelle Mennesson e Labassée c. Francia della Corte EDU, ha invitato il legislatore a disciplinare un procedimento di adozione idoneo a realizzare il superiore interesse del minore nato all’estero da maternità surrogata ad instaurare un legame di filiazione anche con il genitore non biologico all’interno di una coppia omoaffettiva.
Con questa sentenza il legislatore viene quindi invitato a farsi carico dei problemi che sorgono dalla maternità surrogata che, in effetti, per la delicatezza delle questioni (anche di sistema) che involge, non può essere lasciata a soluzioni adottate caso per caso.

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