Non basta un nuovo orientamento giurisprudenziale per “cancellare” l’assegno già riconosciuto

IL CASO. Tizio, settantaduenne, divorziato dal 2002 dalla settantenne Caia, si rivolge al Tribunale di Mantova con ricorso ex art 710 cpc per essere esonerato dall’obbligo di mantenimento nei confronti dell’ex moglie o quantomeno per ottenere una riduzione dell’assegno che, nel 2005, il Tribunale aveva fissato in euro 350 mensili.
A fondamento della richiesta deduce che le sue condizioni economiche sono deteriorate, che sono invece migliorate quelle della signora e che, in ogni caso, “la ex moglie è economicamente autosufficiente sicché sarebbero venuti meno i presupposti per l’attribuzione in suo favore dell’assegno divorzile alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale inaugurato da Cassazione 105/2017 n. 11504”.
Il Tribunale accerta che non è intervenuto alcun miglioramento delle modestissime condizioni economiche della signora e per contro sono addirittura migliorate quelle, già decisamente più solide, del ricorrente.

LA DECISIONE. Il Tribunale rigetta quindi il ricorso, ma coglie l’occasione per compiere una esegesi dell’art. 9, 1 della L. div. il cui interesse trascende il caso esaminato.
Sottolinea che la norma esige il sopravvenire di “fatti nuovi”, sicché

non possono rilevare né fatti pregressi in precedenza non valorizzati, né ragioni giuridiche che le parti avrebbero potuto prospettare già  nel procedimento di divorzio, «…e ciò alla stregua del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile».

Alcune delle circostanze dedotte dal ricorrente vengono, dunque, considerate del tutto irrilevanti perché precedenti la sentenza.
Ma, soprattutto, il Tribunale precisa che

non è “fatto nuovo” il «mero mutamento di giurisprudenza in ordine al criterio con cui deve essere attualmente commisurato l’assegno di divorzio…atteso che in caso contrario si verrebbe ad estendere a rapporti esauriti, perché coperti da giudicato, una diversa interpretazione della regola giuridica a suo tempo applicata, ma con efficacia retroattiva il che non è consentita nemmeno alla legge».

Il provvedimento del Tribunale lombardo, tanto conciso, quanto dovizioso nei richiami giurisprudenziali giunge dunque alla conclusione opposta rispetto a quella cui era pervenuto il Tribunale di Treviso con decreto 9 gennaio 2018.
Il Tribunale di Mantova non ha dovuto affrontare anche il problema immediatamente conseguente al principio enunciato dell’inapplicabilità del nuovo orientamento giurisprudenziale  ai “rapporti esauriti perché coperti da giudicato”.
Poiché in materia di famiglia il giudicato vale solo  rebus  sic stantibus,  se, diversamente da quanto avvenuto nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Mantova, fossero prospettati  davvero  “fatti nuovi”, il giudice avrebbe solo  due alternative:
•    ritenere che per i divorzi passati in giudicato la revisione debba continuare a  compiersi sulla base del criterio interpretativo più remoto;
•    valorizzare la sopravvenienza dei fatti nuovi sulla base dell’orientamento più  recente.
Nel primo caso dovrebbe dedurre dalla stessa disposizione dell’art. 5 L. div. due parametri alternativi (tenore di vita o autosufficienza economica) a seconda delle situazioni
Nel secondo caso le modifiche delle condizione economica delle parti sarebbero destinate ad avere delle conseguenze molto amplificate sull’entità dell’assegno già riconosciuto o provocarne la revoca.
Nessuna delle due soluzioni appare naturalmente soddisfacente, ma a questo potrà rimediare soltanto la Suprema Corte,  se nell’attesa decisione a Sezione Unite suggerirà  un’interpretazione dell’art 5 L. div. meno dirompente rispetto a quella espressa nella sentenza 11504/2017.

 

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