Nessun assegno di mantenimento alla figlia ventiduenne che rifiuta proposte di lavoro

di avv. Luana Momesso

IL CASO. La Corte d'appello di Trieste, accogliendo parzialmente il reclamo presentato dalla moglie, divorziata e dai figli, aveva ripristinato l’obbligo di contribuzione al mantenimento a carico del padre nei confronti del figlio stabilito con la sentenza di divorzio, obbligo poi revocato da una successiva sentenza del giudice di primo grado intervenuta a modifica delle statuizioni divorzili.

La Corte investita del reclamo aveva invece ritenuto infondata la domanda proposta dalla figlia, allora ventiduenne, diplomata alla scuola superiore, che aveva abbandonato gli studi universitari dopo un anno, senza aver sostenuto alcun esame; aveva rifiutato due proposte di lavoro offerte dal padre, la prima come segretaria, la seconda come aiuto cameriera, entrambe a tempo indeterminato; aveva abbandonato un lavoro come banconiera dopo venti giorni, per non aver superato il periodo di prova; si era iscritta ad un corso di ottica biennale, la cui frequenza era di un solo giorno a settimana.

Per quanto riguarda il figlio diciottenne, invece, la Corte aveva ritenuto che gli spettasse il contributo al mantenimento nella misura di € 300,00 mensili, poiché non poteva essere ritenuto autosufficiente, non essendo rilevante la sua condotta scolastica irregolare, avendo comunque recuperato le insufficienze scolastiche del quarto anno ottenendo l’ammissione al quinto anno di liceo; la Corte evidenziava anche una certa difficoltà psicologica per la quale il ragazzo era seguito da uno psicoterapeuta. Infine, secondo i giudici del gravame, la proposta lavorativa formulata dal padre non era stata adeguata rispetto alle attitudini e agli effettivi interessi del ragazzo.

Secondo la Corte, la richiesta di aumento del contributo avanzata dalla madre non era invece fondata su rilevanti mutamenti della situazione di fatto rispetto alla situazione presente alla data di emissione della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, anzi la situazione reddituale del padre aveva subìto una contrazione a seguito di alcuni problemi di salute.

La madre e i figli proponevano quindi ricorso per Cassazione, affidato a sei motivi, al quale resisteva il padre con ricorso incidentale per quattro motivi.


 

LA DECISIONE: La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, rigetta integralmente tutte le domande formulate, confermando il precedente orientamento che trova, nella presente decisione, ulteriori criteri applicativi, in merito alla mancanza di un progetto educativo o formativo da parte della figlia maggiorenne.

La Suprema Corte, respinti i due motivi del ricorso incidentale relativi all’eccezione di inammissibilità del reclamo, rigettata in appello, entrando nel merito della vicenda, analizza separatamente le posizioni dei due figli, ricordando anzitutto quali sono i criteri valutativi secondo i quali stabilire se sussista o meno, in capo ai genitori, un obbligo di mantenimento:

la proporzionalità rispetto all’età dei figli;

lo sfruttamento delle loro competenze o capacità acquisite a conclusione del percorso formativo compiuto, in armonia con aspirazioni e attitudini;

l’esistenza di condotte stabilmente non più dirette al raggiungimento di obiettivi di competenza professionale o tecnica.

Relativamente alla figlia, la Suprema Corte conferma la correttezza della decisione della Corte territoriale, la quale ha ampiamente spiegato le ragioni a favore della revoca dell’assegno, valutando in maniera logica, completa e coerente gli elementi portati al suo giudizio e applicando correttamente il principio secondo il quale “deve escludersi che l’assegno di mantenimento persegua una funzione assistenziale incondizionata dei figli maggiorenni disoccupati, di contenuto e durata illimitata, dovendo il relativo obbligo venire meno in caso in cui il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica si possa ricondurre alla mancanza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all’acquisizione di competenze professionali o dipenda da fattori oggettivi contingenti o strutturali legati all’andamento dell’occupazione e del mercato del lavoro”.

È infatti emerso, dalle prove raccolte in primo grado, che il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica delle figlia era imputabile direttamente alle sue scelte, per aver rifiutato senza motivo diverse offerte lavorative (proposte dal padre), e non essendo emerse nel contempo inclinazioni o aspirazioni lavorative tali da ritenere che la stessa stesse seguendo una strada formativa alternativa.

Quanto al figlio diciottenne, invece, i Giudici di legittimità hanno confermato l’impostazione della Corte d’appello, la quale aveva ritenuto che egli avesse raggiunto dei risultati scolastici che indicavano il suo impegno per un progetto personale e la possibilità che egli potesse ulteriormente impegnarsi nella sua realizzazione, giustificando il diritto al mantenimento nella misura stabilita con la sentenza di divorzio.

Secondo la Corte, in ultima analisi, le difficoltà di relazione tra padre e figli non potevano incidere sulla misura del mantenimento, avendo peraltro il padre dimostrato interesse nei confronti della prole.

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