La Cassazione detta le regole per il mantenimento del “figlio neomaggiorenne” e del “figlio adulto”

di avv. Valentina Alberioli

IL CASO. Nell’ambito dell’accordo giudiziale tra Tizia e Caio, quest’ultimo si obbligava a corrispondere un contributo al mantenimento delle figlie Mevia e Sempronia pari ad euro 550,00 mensili a favore di ciascuna; tale obbligo veniva garantito dall’iscrizione di un’ipoteca per euro 150.000,00 su un immobile di proprietà dello stesso Caio, garanzia successivamente ridotta ad euro 75.000,00 e poi sostituita da fideiussione bancaria.

In un secondo momento Caio si rivolgeva al Tribunale di Bolzano chiedendo l’accertamento dell’intervenuta autosufficienza delle figlie e la revoca o la riduzione del contributo di mantenimento, nonché l’estinzione della garanzia bancaria o, in alternativa, l’ulteriore riduzione ad euro 25.000,00.

Tizia si costituiva in giudizio contestando le richieste avversarie.

Con le conclusioni conformi del Pubblico Ministero, il Tribunale di Bolzano dichiarava inammissibili le istanze di Caio. Quest’ultimo proponeva, dunque, reclamo avverso tale provvedimento.

La Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, accoglieva il reclamo, revocando l’obbligo di mantenimento del padre nei confronti di entrambe le figlie con decorrenza di 6 mesi dal deposito della decisione, condannando Tizia a rimborsare a Caio le spese di entrambi i gradi di giudizio.

In particolare, il Giudice del reclamo evidenziava che mancava la prova dell’impegno e del successo delle figlie nello svolgimento del percorso formativo/professionale: Mevia, a distanza di 2 anni dal conseguimento della maturità si era iscritta a vari corsi di laurea in Germania, senza dare alcun esame se non una prova scritta in un seminario, poco prima del termine del procedimento di primo grado; Sempronia aveva appena concluso, con un ritardo di 3 anni, la scuola professionale e, come apprendista, aveva comunque lavorato e conseguito un proprio reddito, seppur modesto.

Avverso tale decisione Tizia proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivi.

In particolare, con il primo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2697 c.c. e 337 septies c.p.c..

La ricorrente evidenziava che la Corte d’Appello aveva ritenuto sussistente, in via di massima, una correlazione tra il raggiungimento della maggiore età e l’abilità lavorativa, sicché, una volta che i figli hanno compiuto i diciotto anni, sorge in capo a questi ultimi una loro autoresponsabilità nel rendersi autosufficienti economicamente, permanendo l’obbligo del mantenimento da parte dei genitori soltanto se viene fornita la prova del perseguimento di un percorso scolastico/formativo con successo e impegno.

Secondo Tizia, anche a seguire tale impostazione, la prova della permanenza del diritto a conservare il contributo al mantenimento poteva essere fornita anche per presunzioni e il relativo onere doveva risultare particolarmente lieve in prossimità della maggiore età. Ad avviso della ricorrente, dunque, nella specie, la valutazione in ordine all’impegno delle figlie nel percorso formativo non poteva prescindere dalla considerazione della personalità delle stesse e delle loro inclinazioni e capacità, “essendo il giudice tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo”.

Secondo Tizia tale valutazione era stata del tutto omessa dalla Corte di merito, che aveva ritenuto, in modo apodittico, gravare sul titolare dell’assegno l’onere di provare lo svolgimento del percorso scolastico/formativo con impegno e successo, per giungere ad affermare che, nella specie, tale prova non era stata offerta.

La ricorrente ricordava anche che, secondo costante giurisprudenza, era pacifico che il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso dovesse fornire la prova che il figlio avesse raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipendesse da un atteggiamento di colpevole inerzia o di rifiuto ingiustificato delle opportunità di lavoro offerte. In tale ottica la Corte territoriale aveva applicato erroneamente gli artt. 1697 e 337 septies c.c. e l’errore era stato decisivo: Caio non aveva provato né l’autosufficienza delle figlie, né che le stesse fossero state poste nelle condizioni di poter essere economicamente autosufficienti, senza trarre utile profitto per loro colpa o per loro scelta; emergendo, anzi, che le ragazze non avessero ancora concluso il loro percorso formativo, che seguivano con diligenza, senza aver conseguito l’indipendenza economica.

Con il secondo motivo di ricorso Tizia deduceva l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in relazione all’art. 337 septies c.c., oltre che l’erroneità della motivazione e la violazione delle regole ermeneutiche.

La Corte d’Appello aveva omesso di considerare alcuni fatti decisivi: rispetto alla situazione di Mevia, non aveva tenuto conto delle comprovate iscrizioni a vari seminari, degli esami sostenuti, né aveva considerato che durante la pandemia tanti studenti non erano riusciti a frequentare le lezioni; né la Corte aveva accennato ai comprovati problemi di salute della stessa ragazza (anoressia nervosa), che non sempre le consentivano di seguire il percorso universitario con la necessaria serenità e determinazione, oltre alla situazione estremamente conflittuale tra i genitori, che rendeva il percorso formativo delle figlie tutt’altro che agevole. Per quanto riguardava, invece, Sempronia, quest’ultima aveva svolto una formazione con il cd. sistema “duale” (lezioni teoriche alternate a periodi di apprendistato) che le aveva sì consentito di conseguire un modesto reddito (euro 440,00 netti mensili), ma detti introiti non erano idonei a determinarne l’autosufficienza economica.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24391 del 2024, nell’esaminare i primi due motivi congiuntamente, li ha ritenuti entrambi fondati.

Il Giudice di legittimità ha anzitutto richiamato il consolidato orientamento in base al quale, “in tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro. Di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegue nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento. Viceversa, per il ‘figlio adulto’ in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa” (cfr., in tal senso, Cass. n. 26875 del 2023).

In tale ottica,

i presupposti che giustificano l’esclusione del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente - e che devono essere provati dal genitore che si oppone alla domanda di revoca - sono integrati “dall’età del figlio” - che è “destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento” – e “dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio, oltre che dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro” (cfr., in tal senso, Cass. n. 38366 del 2021).

Tale accertamento dev’essere effettuato “tenendo conto delle circostanze del caso concreto” e “nell’attualità della situazione dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti” (e dei genitori): “l’età e il percorso formativo del figlio (che sia terminato o in corso di esecuzione) assumono rilievo fondamentale, ma non asettico, dovendosi, infatti sempre tenere conto della loro situazione personale e familiare, della loro personalità, delle comprovate attitudini e aspirazioni - proprio alla luce delle loro attuali esigenze, ai sensi dell’art. 337 ter, comma 4, c.c. - che hanno la massima rilevanza quando si tratta di giovani che hanno da poco raggiunto la maggiore età e vanno via via lasciando il posto al principio di autoresponsabilità con il passare del tempo”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, la Corte d’Appello non abbia effettuato tale valutazione: non ha tenuto conto che si trattava di giovani ragazze che, al momento in cui è stato instaurato il giudizio di merito, avevano da poco raggiunto la maggiore età ed avevano comunque deciso di impegnarsi negli studi, né ha tenuto conto della effettiva e attuale loro situazione personale ed economica.

Con riferimento a Mevia, ferma l’obiettiva mancanza di indipendenza economica per il mancato svolgimento di attività lavorativa, il Giudice di merito ha dato rilievo al fatto che, al momento della decisione del Tribunale, la ragazza avesse svolto un solo esame, peraltro poco importante, e avesse cambiato Università, ma non ha esaminato quanto offerto alla decisione in sede di reclamo dalla ricorrente, in ordine agli esami dalla stessa poi sostenuti una volta effettuato il cambiamento.

Anche con riguardo alla percezione di reddito da attività lavorativa da parte di Sempronia (che pure aveva avuto difficoltà nel proseguire regolarmente gli studi) la Corte si è fermata a stigmatizzare la lentezza con cui la giovane ha seguito il percorso formativo (quando era ancora minorenne), aggiungendo, poi, che la stessa aveva cominciato a svolgere attività lavorativa, senza valutare tale attività in rapporto alla sua formazione e alla possibilità o meno di considerare, per ciò solo, la ragazza autosufficiente.

Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso materno, rinviando alla Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, in diversa composizione, per la decisione in conformità ai principi suesposti.

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