Il reato di maltrattamenti e le nuove prospettive di tutela

di avv. Mariangela Semenzato

La sentenza della Corte di Cassazione n. 14522/2022 si colloca nell’alveo di un orientamento di recente affermazione, che inscrive nella fattispecie di maltrattamenti aggravati (oggi ex art. 572, comma 2, c.p.: nel caso in commento contestata ai sensi dell’art. 572 e 61, n. 11-quinquies, c.p. vigente ratione temporis) la condotta del genitore che ostacoli in vari modi i contatti tra l'altro genitore ed i figli e che,  anche in presenza di questi ultimi, si lasci andare a comportamenti vessatori, discorsi svilenti, offensivi e minatori, in spregio non solo dell'altrui ruolo genitoriale ma anche della sensibilità e dei bisogni affettivi della prole.

Il caso all’esame della Suprema Corte origina dalla denuncia del padre del minore, fatto oggetto (in presenza del figlio), di vessazioni psichiche e fisiche da parte della madre sia durante la convivenza di coppia, sia nella successiva fase di separazione. Oltre a tali condotte vessatorie, il padre denunciava comportamenti gravemente ostacolanti rispetto alla frequentazione con il figlio (la sentenza riporta che la donna avrebbe evitato di portare a scuola il minore, pur di impedire al padre di incontrarlo) ed il fatto di essere stato reiteratamente minacciato, documentando altresì “gravi conseguenze psichiche patite dal bambino” e la convinzione delle operatrici del consultorio di un affidamento esclusivo al padre, proprio in ragione delle condotte irrispettose della donna.

Il profilo più interessante della pronuncia è certamente quello riguardante il riconoscimento della rilevanza penale delle c.d. “condotte ostacolanti”.

Sul punto la motivazione del provvedimento in commento richiama due precedenti:

- la sentenza n. 21133 /2019, Rv.275315: un grave caso di maltrattamento ai danni di una madre, che i parenti del defunto partner avevano pressoché segregata in casa, ponendo accanto alle sue tre bambine altre figure femminili, arbitrariamente individuate nella cerchia familiare al fine di cancellarla come riferimento genitoriale. Per la Corte a seguito della condotta dei ricorrenti “… la donna era stata privata della possibilità di svolgere la propria funzione di madre, impedendole gli accompagnamenti a scuola delle piccole (che venivano svolti dalle cognate), la scelta del loro vestiario e del corredo scolastico, nonché le decisioni circa le cure …, talvolta ignorando del tutto la sua volontà, anche quanto a scelte organizzative minime che riguardavano le minori e svalutando la sua figura agli occhi di queste ultime.”

- la sentenza n. 32336/2018, Rv. 273575, che ribadisce come la vessazione psicologica posta in essere a danno di un  genitore in presenza dei figli integri il reato di maltrattamenti, in quanto contravviene all’essenziale esigenza psicologica ed emotiva del minore di veder preservati e rispettati i propri affetti primari: “(…) Va osservato che questa Corte ha già affermato che integrano il reato di maltrattamenti in danno dei figli minori anche condotte di reiterata violenza fisica o psicologica nei confronti dell'altro genitore, quando i discendenti siano resi sistematici spettatori obbligati di tali comportamenti, in quanto tale atteggiamento integra anche una omissione connotata da deliberata e consapevole indifferenza e trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali della prole (sez. 6, n. 4332 del 10/12/2014, Rv. 262057) … dunque … non è necessaria la violenza fisica perpetrata da un genitore ai danni dell'altro per ritenere integrati i maltrattamenti, atteso che la violenza psicologica non è certo connotata da un disvalore inferiore rispetto a quella fisica. Nella medesima prospettiva, integrano il reato di maltrattamenti in danno del minore le condotte persecutorie poste in essere da un genitore ai danni dell'altro alla presenza dei figli costretti ad assistere sistematicamente a tali eventi, producendosi in questi ultimi - come nel caso in cui siano stati spettatori ai maltrattamenti perpetrati da un genitore ai danni dell'altro lo stesso sentimento di sofferenza, frustrazione ed alienazione, e dovendosi rimproverare al genitore agente la medesima consapevole indifferenza verso i bisogni affettivi ed esistenziali della prole.”

Nella pratica, i comportamenti più ricorrenti lamentati sono il mancato rispetto degli orari o dei giorni di “riconsegna” dei figli allo scadere dei rispettivi turni di frequentazione, la preclusione dei contatti telefonici con il genitore assente nei tempi prefissati dal giudice o comunque prestabiliti a tale scopo, il mancato riaccompagnamento a scuola per presunte malattie proprio nel giorno in cui l’altro genitore dovrebbe riprendere il figlio (come nel caso in esame), la conduzione dei minori in località di villeggiatura poste a grande distanza dall'altro genitore, magari posticipando il rientro in modo arbitrario e contravvenendo agli accordi; ancora, i controlli medici svolti abitualmente all'oscuro dall'altro genitore, alle scelte arbitrarie ed unilaterali di istituti scolastici, di attività sportive, alla concessa o negata frequenza del catechismo e alla partecipazione a pratiche e/o e cerimonie religiose, etc.

Spesso, siffatti comportamenti si rinvengono tutti insieme in determinati contesti, sia in coppie non formalmente separate (in cui uno dei genitori esplichi sull’altro una specie di “dominanza” proprio attraverso i descritti comportamenti), sia nell'ambito di crisi conclamate. E non sempre vengono adeguatamente attenzionati dalle autorità, che a volte tendono a minimizzarne la portata descrivendo “le vittime” come ipersensibili, suscettibili, non collaborative, troppo esigenti o prive di “flessibilità”.

Da un lato, è pacifico che la contestazione del reato di maltrattamenti - soprattutto quando, diversamente dal caso esaminato dalla S.C., gli inadempienti non si accompagnino ad ulteriori condotte lesive dell'integrità e della dignità della parte querelante, quali offese, minacce etc. - richieda la prova del requisito della abitualità e sistematicità del comportamento contestato: ciò a dire che qualche sporadico episodio (salvi i casi di allontanamenti di portata macroscopica ed evidente) difficilmente potrà raggiungere la soglia di rilevanza penale minima necessaria alla formulazione dell’imputazione.

Dall’altro, ricondurre questo tipo di comportamenti alla fattispecie di cui all’art. 572 c.p. - eventualmente aggravata per essere realizzata in presenza di minori – rappresenta sicuramente una svolta positiva nella tutela delle vittime di maltrattamento, consentendo reprimere condotte che, in precedenza, raramente venivano riconosciute e sanzionate a titolo di sottrazione di incapace ex art. 574 c.p.,  e valorizzate solo in presenza di un ulteriore requisito oggettivo difficilmente riscontrabile: il materiale allontanamento del minore dal genitore querelante per un tempo apprezzabile.

Nella maggior parte dei casi delle querele veniva richiesta l’archiviazione, in considerazione dell’impossibilità di provare (tranne che per ipotesi estremamente gravi) la rilevante durata dell’interruzione dei contatti e del conseguente protrarsi dell’impossibilità, per il genitore danneggiato, di esercitare la responsabilità genitoriale.

La precedente impostazione, non considerando il pesante portato psicologico della reiterazione di condotte anche molto gravi (ritardi sistematici e deliberati, violazioni reiterate degli accordi su turni ed orari di visita, perdurante - a volte, violenta - preclusione dei contatti telefonici ) non offriva alcuna tutela concreta all’altro genitore che, nelle ipotesi più estreme, si trovava di fatto esautorato da ogni funzione genitoriale (anche relativamente all’istruzione, alla salute, allo sport, etc.) e/o perdeva ogni contatto col figlio.

I principi della sentenza in commento sono coerenti con la portata della definizione di violenza domestica di cui all’art. 3 del D.L. n. 93/2013:

“Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.”

Questa definizione, conformemente al dettato della Convenzione di Istanbul, vuole essere onnicomprensiva e qualifica queste condotte per ciò che effettivamente sono: violenza e vessazione psicologica, sia verso il genitore, cui l’esercizio della responsabilità genitoriale risulta estremamente difficoltoso o impossibile, sia verso il figlio, con ricadute emotive, psicologiche e concrete, per adulti e minori, a volte dolorose, durature e penetranti.

La configurazione delle minacce e delle vessazioni verso il genitore come vero e proprio maltrattamento ai danni del minore era un orientamento già recepito dal legislatore con la modifica dell’art. 572 c.p., che non solo prevede al secondo comma un’aggravante ad effetto speciale per l’assistenza del minore ai maltrattamenti ma sancisce, ad ogni effetto, la posizione di persona offesa del minore stesso.

Essendo un reato a forma libera, il maltrattamento si sta progressivamente arricchendo di nuove connotazioni oggettive, con l’affinarsi della sensibilità sociale e giuridica. È così che, in un periodo relativamente breve, dalla negazione diffusa della sua esistenza, si è passati al concetto di maltrattamento inteso come violenza esclusivamente fisica e alla considerazione dei reati sentinella, riconoscendo e sanzionando anche la violenza sessuale agita dal partner, per giungere finalmente ad attribuire la giusta valenza anche alla violenza psicologica ed economica.

I principi ribaditi nella sentenza in commento aprono una nuova prospettiva di tutela alle vittime e potranno forse introdurre nuove proficue riflessioni in materia di diritto di famiglia, con riflessi potenzialmente importanti anche in ambito civilistico e nelle consulenze tecniche orientate all’affido dei minori.

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