Delitto maltrattamenti: reato di condotta e non di evento

11 GENNAIO 2024 | Maltrattamenti in famiglia

di Avv. Anna Silvia Zanini

Con la sentenza n. 43307 del 20 settembre 2023, la Suprema Corte (Cassazione penale sez. VI – 20.09.2023, n. 43307) ha confermato la condanna per maltrattamenti aggravati realizzati da una madre nei confronti del figlio neonato, avendo ella costretto l'infante a vivere in un appartamento, caratterizzato da pessime condizioni igienico sanitarie, nel quale si consumavano, anche per inalazione, sostanze stupefacenti, quali cocaina e cannabis, indirettamente assunte dal bambino in ragione dell'allattamento abitualmente praticato dalla madre dopo aver consumato dette sostanze, delle quali era cronicamente dipendente.

La difesa dell’imputata aveva proposto ricorso per Cassazione lamentando, tra l’altro, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato contestato, alla luce del mancato accertamento in ordine al danno arrecato all’infante, stante la mera eventualità che le condotte realizzate dalla madre potessero incidere sull'integrità psicofisica della persona offesa.

La Suprema Corte ha ribadito come il delitto di maltrattamenti non sia un reato di evento, ma di condotta. Perché esso si configuri, dunque, è sufficiente che il comportamento dell'agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima una condizione di sofferenza psico-fisica non semplicemente transitoria, ma non anche che tale stato emotivo concretamente si realizzi e si manifesti.

Gli ermellini hanno evidenziato come, ragionando diversamente, si finirebbe per conferire alla fattispecie di maltrattamenti una connotazione relativistica, in ragione della diversa sensibilità della vittima o del suo grado di resistenza psichica individuale: dato, quest'ultimo, tuttavia legato ad una serie di variabili non predeterminabili ed eterogenee (non soltanto, cioè, fisiche e psicologiche, ma anche sociali e culturali), che finirebbe per assegnare o meno penale rilevanza a condotte oggettivamente identiche, in tal modo inficiando la tassatività della disposizione incriminatrice, peraltro mediante l'introduzione di un elemento da essa non richiesto.

Nel caso in esame, la Suprema Corte ha evidenziato come risulti pacifica e accertata la oggettiva idoneità della condotta vessatoria, reiterata nel tempo, posta in essere dall’imputata, ad influire sull'equilibrato sviluppo psicofisico dell'infante.

Non possono dunque aver rilievo alcuno le percezioni che la vittima di maltrattamenti può avere rispetto a tale condotta a seconda di qualità personali o condizionamenti socio-culturali che, ove ritenuti rilevanti, introdurrebbero un grado di assoluto relativismo nell'individuazione del reato, evidentemente incompatibile con la necessaria oggettività della tipizzazione dell'illecito.

Sul punto, la Suprema Corte si era già espressa in senso conforme con la sentenza n. 809 del 17/10/2022, affermando come il reato di maltrattamenti presuppone l'accertamento di condotte oggettivamente lesive della sfera psico-fisica della persona offesa, a fronte delle quali il grado di sofferenza in concreto indotto non costituisce un elemento costitutivo del reato.

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