Corte di Cassazione Penale: interpretazione convenzionalmente orientata dell’art. 572 c.p.

07 FEBBRAIO 2025 | Maltrattamenti in famiglia

di Avv. Monica Mocellin

Con sentenza n. 1268 del 13 gennaio 2025, la Corte di Cassazione, VI sezione penale, ha rigettato il ricorso promosso da un uomo condannato, in primo e secondo grado, per maltrattamenti ai danni della moglie (art. 572 c.p.) alla presenza dei figli minori.

I comportamenti illeciti contestati - compiuti in modo continuativo dal 2000 fino ad agosto 2019 -comprendevano violenza fisica e minacce di morte, umiliazioni sessuali e denigrazione pubblica, utilizzo dei figli come strumenti di controllo, anche dopo la separazione, nonché controllo psicologico ed economico.

Il ricorrente affidava il gravame alla mancanza della prova della sua volontà vessatoria nei confronti della moglie, al mancato rispetto del principio del ne bis in idem, al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e all’applicazione della l.n. 69/2019 nonostante quasi tutte le condotte contestategli erano precedenti alla entrata in vigore del cd. Codice Rosso.

Lasciando alla lettura individuale della decisione in esame le questioni processuali di cui sopra, vale la pena soffermarsi, invece, sulle condotte poste in essere dal marito ed in particolare sulle condotte di violenza economica sulle quali gli Ermellini si intrattengono particolarmente. L’uomo, infatti, impediva alla moglie di lavorare, la seguiva e la umiliava pubblicamente quando cercava di emanciparsi economicamente.

Il tema in passato è stato poco approfondito ma è molto attuale soprattutto alla luce della recentissima Direttiva dell’Unione Europea n. 1385 del 2024.

La sentenza in esame esprime principi fondamentali in ordine alla violenza economica, elaborandone in particolare una nozione precisa richiamando, quanto alle fonti, l’ormai finalmente nota Convenzione di Istanbul - il cui articolo 3 lett. a) definisce il concetto di violenza nei confronti delle donne - i Considerando 17 e 18 della Direttiva dell’Unione Europea 29 del 2012 - che definiscono rispettivamente i concetti di “violenza di genere” e di “violenza nelle relazioni strette” - e soprattutto la più recente, e meno nota, Direttiva dell’Unione Europea n. 1385 del 14 maggio 2024 “sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica”.

In particolare in quest’ultima, che dovrà essere attuata entro il 14 giugno 2027, il legislatore europeo ha fatto espressamente riferimento alla possibile rilevanza di forme di controllo economico nel più ampio quadro delle condotte di violenza domestica.

Infatti, i Considerando 32 e 39 fanno espresso riferimento alla violenza economica, il primo ricordando che “La violenza domestica può tradursi in un controllo economico da parte dell’autore del reato e le vittime potrebbero non avere un accesso effettivo alle proprie risorse finanziare” (perciò la concessione del patrocinio a spese dello Stato), il secondo ricordando che nel valutare situazioni che richiedono particolare attenzione alle esigenze di protezione e assistenza in favore della vittima, deve essere preso in considerazione  “…il grado di controllo esercitato dall’autore del reato o dall’indagato sulla vittima, sia dal punto di vista psicologico che economico”.

In questo quadro la Suprema Corte, “in un’ottica convenzionalmente orientata”, tenendo conto delle disposizioni di cui sopra, nonché del percorso evolutivo della giurisprudenza di legittimità e valutando tutte le componenti in cui può tendenzialmente esprimersi la violenza, ha rigettato il ricorso promosso in quanto “le condotte dell'imputato volte ad osteggiare la coniuge nella ricerca di un'attività lavorativa - sottoponendola peraltro ad un controllo degli spostamenti attraverso l'installazione di una telecamera sul perimetro esterno dell'abitazione - e a non consentirle di coltivare e sviluppare un quadro di relazioni con persone esterne alla famiglia; ad imporle un ruolo casalingo sulla base di una rigorosa e discriminatoria ripartizione di ruoli; a sottrarsi alla gestione domestica e familiare delegandone interamente le incombenze alla coniuge, così da non consentirle altra soluzione che quella di abbandonare le proprie ambizioni professionali ed essere da lui "mantenuta"; a non remunerare le attività svolte nell'interesse dell'azienda familiare, con il proprio arricchimento, costituiscono tutti comportamenti che, per quanto analiticamente e globalmente apprezzati dai Giudici di merito nel caso in esame, sono obiettivamente finalizzati alla limitazione dell'autonomia economica della persona offesa.

Da un quadro fattuale così delineato emerge l'imposizione di un sistema di potere asimmetrico all'interno del nucleo familiare, di cui la componente economico-patrimoniale rappresenta un profilo di particolare rilievo, perché costituisce oggetto di una decisione unilateralmente assunta dall'imputato, anche attraverso il ricorso a forme manipolatorie e pressioni psicologiche sulla persona offesa, tali da incidere sulla sua autonomia, sulla sua dignità umana e sulla sua integrità fisica e morale, quali beni giuridici tutelati dall'art. 572 cod. pen..

Inoltre, la sentenza in esame evidenzia molto bene la distinzione tra violenza e meri litigi familiari, problema nel quale sovente si imbatte chi si occupa di questa delicata materia, in quanto le condotte denunciate vengono troppo facilmente “derubricate” a meri litigi domestici con evidente vittimizzazione secondaria.

Scrivono a questo proposito gli Ermellini: “La sentenza impugnata, inoltre, nel condividere le risultanze offerte dall'approfondita istruttoria svolta dal Tribunale di Torino, ha reso una motivazione adeguata e conforme al quadro dei principi stabiliti da questa Corte, escludendo che nella specie fossero ravvisabili mere liti familiari, come invece sostenuto nel ricorso.

La gravità delle condotte maltrattanti poste in essere dall'imputato, originate spesso dal desiderio della persona offesa di lavorare, o comunque dalla trasgressione ai divieti da lui imposti, risulta congruamente argomentata sulla base delle convergenti risultanze probatorie acquisite in dibattimento, motivatamente ritenute sintomatiche della costante paura provata sia dai figli, che si nascondevano al suo arrivo a casa, sia dalla donna nel denunciarlo. 

In tal senso, invero, questa corte ha affermato che la confusione tra maltrattamenti e liti familiari avviene quando non si esaminano e dunque non vengono adeguatamente valorizzate le situazioni sintomatiche della asimmetria di genere che talora connota l'andamento delle relazioni familiari, di cui la presenza di un comportamento violento costituisce la modalità più visibile."

La Corte ha sottolineato, quindi, come il controllo economico esercitato dal marito rientri tra le forme di violenza domestica riconosciute a livello internazionale, ed è stata evidenziata l’obbligatorietà per i giudici italiani di interpretare la normativa interna in modo conforme agli obblighi internazionali, come previsto dalla Convenzione di Istanbul.

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