Prime applicazioni della sentenza Corte costituzionale n. 242/2019: il caso Davide Trentini

La Corte di assise di Massa ha recentemente depositato le motivazioni della sentenza (n. 1 del 27.07.2020) di assoluzione di Marco Capato e di Mina Welby, i quali, agendo anche in qualità di segretario e responsabile legale l’uno e di Presidente l’altra dell’Associazione no profit “Soccorso Civile”, erano stati imputati dei reati di cui agli artt. 110 e 580 comma 1 c.p., per aver rafforzato il proposito di suicidio di Davide Trentini e per averne agevolato l’esecuzione. 
Davide Trentini aveva iniziato a manifestare i primi sintomi della Sclerosi Multipla nel 1993 (la Sla è una patologia che causa una degenerazione irreversibile del sistema neurologico, provocando nel tempo una perdita del controllo della motilità muscolare per progressiva incapacità di trasmettere impulsi lungo le vie nervose, senza tuttavia intaccare la sfera cognitiva). La salute di Davide all’epoca dei fatti (2017) era molto deteriorata nonostante avesse sempre seguito ogni terapia prescrittagli. Ormai totalmente invalido e inabile al lavoro aveva una avanzata paralisi muscolare (con incapacità di minzione e defecazione), ma anche spasmi e dolori generalizzati, accompagnati da scosse elettriche lungo il decorso dei nervi in tutto il corpo. Questi dolori e spasmi muscolari erano diventati di difficile controllo, nonostante l’assunzione di una importante terapia antidolorifica e antispatisca. 
Preso in carico da un palliativista era trattato con “l’ultima linea possibile di farmaco” (con una combinazione tra farmaci oppiacei e cannabinoidi al limite della tollerabilità): un ulteriore incremento della terapia per il controllo del dolore avrebbe determinato il suo decesso per arresto respiratorio. 
La dipendenza dai farmaci “vitali” era totale e la terapia non più efficace al controllo del sintomo “dolore”. Tutte le possibili alternative terapeutiche erano state percorse, tranne la sedazione palliativa profonda (disciplinata dall’art. 2 della legge 219/2017 entrata in vigore all’inizio del 2018). 
Nel 2016 la madre di Trentini aveva chiesto via mail aiuto a Cappato e alla sua organizzazione che, all’esito di una serie di contatti e incontri, si erano attivati in due modi: avevano consegnato a Davide una somma di denaro (previa raccolta pubblica di fondi), non essendo le disponibilità economiche del malato sufficienti a coprire i costi del viaggio e dell’assistenza al suicidio in una clinica svizzera; e Mina Welby aveva accompagnato il 12 aprile 2017 in una clinica svizzera Davide, che lì era morto il giorno dopo in esito ad una procedura di suicidio assistito ammessa dalla legge elvetica.
La Corte d’assise ha ritenuto entrambi gli imputati non colpevoli. Li ha quindi assolti, quanto alla condotta di rafforzamento del proposito suicidiario di Davide Trentini, perché il fatto non sussiste ex art. 530 cpp comma 1, e, quanto alla condotta di agevolazione all’esecuzione del suicidio, perché il fatto non costituisce reato, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019.

La prima decisione ha valorizzato gli esiti dell’istruttoria dibattimentale: il Trentini non solo aveva maturato in modo del tutto autonomo la volontà di darsi la morte, ma si era autonomamente attivato, prima di ogni contatto con gli imputati, presso due cliniche svizzere, scegliendone poi una in ragione della maggiore celerità di esecuzione della procedura prospettatagli. Lo Stato svizzero aveva chiuso poco dopo la clinica prescelta per alcune irregolarità, rendendo necessario per Davide il recupero delle somme già versate e la rinnovazione della procedura presso la seconda clinica. 

Solo a questo punto che la mamma di Davide aveva contattato via mail Cappato e Mina Welby i quali, inizialmente, avevano anche cercato di far desistere il malato dall’intento. Solo a fronte della ferma volontà del Trentini e della sua insopportabile condizione di sofferenza avevano deciso di aiutarlo. Per il Collegio, quindi, gli imputati non avrebbero influito sul processo volitivo di Davide di suicidarsi, intenzione nata, rafforzatasi e consolidatasi prima del contatto con gli imputati.
In merito alla seconda imputazione il Collegio ha fatto applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 e della scriminante da questa introdotta nel caso in cui siano accertati alcuni presupposti:
    • deve essere stato accertato da un medico che la patologia era irreversibile.
    • deve essere stato verificato da un medico che il malato pativa una grave sofferenza fisica o psicologica
    • deve essere stato oggetto di verifica in ambito medico che il paziente dipendeva da trattamenti di sostegno vitale
    • un medico deve avere accertato che il malato era capace di prendere decisioni libere e consapevoli
    • la volontà dell’interessato deve essere stata manifestata in modo chiaro ed univoco, compatibilmente con quanto consentito dalle sue condizioni
    • il paziente deve essere stato adeguatamente informato sia in ordine alle sue condizioni, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative.
Per la Corte d’assise nel caso deciso questi presupposti sussistevano tutti o quanto meno vi era un dubbio in merito allo loro sussistenza, in particolare in relazione alla dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. 
Anzitutto era risultato provato che Davide Trentini era affetto da patologia irreversibile accertata dai medici, che pativa una grande sofferenza fisica e che seguiva una terapia del dolore con massiccia assunzione di farmaci, peraltro scarsamente efficaci. Prescrizioni farmacologiche sempre adottate all’esito dell’accertamento medico del grave stato di sofferenza fisica.  Era risultata provata anche la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale o quanto meno ricorreva, per la Corte, il dubbio sulla sua sussistenza. 
Precisa su questo punto il collegio giudicante che la dipendenza da “trattamenti di sostegno vitale” non significa necessariamente ed esclusivamente “dipendenza da una macchina”.
La Corte costituzionale, infatti, nella sua articolata motivazione aveva preso come punto di riferimento la l. n. 219/2017, ed in particolare i trattamenti sanitari che essa consente al malato di rifiutare: quindi qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmacologiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari, ivi comprese l’idratazione e la nutrizione artificiale.
Ciò che rileva è che, in assenza del trattamento, si venga ad innescare nel malato “un processo di indebolimento delle funzioni organiche il cui esito – non necessariamente rapido – è la morte”.

Quindi per trattamento di sostegno vitale deve intendersi “qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida”.

Nell’ultimo anno di vita Davide, a causa della progressiva paralisi della muscolatura intestinale, non era più in grado di defecare autonomamente ed aveva problemi di evacuazione urinaria. Aveva gravi problemi di movimento e doveva necessariamente essere aiutato in tutte le funzioni vitali, e di fatto dipendeva totalmente da questa assistenza. Era altresì sottoposto ad un complesso trattamento farmacologico il cui equilibrio era estremamente delicato e precario: una riduzione dei farmaci avrebbe determinato una sofferenza per scompenso cardiaco che avrebbe accelerato il decorso clinico fino alla morte, un incremento ne avrebbe causato il decesso in tempi brevi, se non immediati.
Davide Trentini poteva muoversi dal letto solo col sostegno fisico di altre persone, non riusciva più a tenere le posate in mano e quindi doveva essere imboccato, per muoversi doveva usare la sedia a rotelle o un deambulatore e cadeva spesso perché le gambe non lo reggevano, procurandosi fratture. Necessitava quindi di assistenza continua: una condizione di assoluta dipendenza da un’altra persona che peraltro concerneva la soddisfazione di bisogni vitali (alimentazione, defecazione, minzione, minimi indispensabili movimenti).

Questa dipendenza per il Collegio integrava anch’essa autonomamente il requisito della dipendenza da sostegni vitali. 

Infatti, sottolinea la Corte, in materia penale, è consentita l’applicazione analogica delle norme favorevoli al reo, tra cui vi sono anche le scriminanti, con l’effetto che il requisito di una fattispecie normativa che configura una scriminante deve ritenersi applicabile in via analogia a situazioni simili.
Ne consegue per il giudice che possono definirsi di sostegno vitale quei trattamenti, farmacologici o assistenziali o con dispositivi medici senza i quali il paziente non può sopravvivere.
Nel caso di Davide Trentini risultava questa dipendenza dai farmaci e dall’assistenza quotidiana per l’espletamento delle funzioni vitali primarie.
Era stata poi anche accertata la sussistenza dell’ulteriore requisito della volontà chiara e univoca del malato, indagata dai medici svizzeri che sul punto hanno seguito un preciso protocollo. Davide peraltro ha azionato lui stesso la manopola che ha attivato il meccanismo che ne ha indotto il decesso senza l’aiuto di altre persone.
Era stata parimenti provata l’avvenuta completa informazione sulle sue condizioni, sulle possibili soluzioni alternative, compreso l’accesso alle cure palliative. Anzi il malato risultava aver già percorso le varie alternative possibili: un ciclo di chemioterapia, poi interrotto per raggiungimento del limite di sopportabilità della sua somministrazione, la cannabis terapeutica, gli antidolorifici a dosaggi crescenti, gli oppiacei ecc. Si era da ultimo rivolto ad un palliativista ed era entrato in un percorso di cure palliative.
Ritenendo perciò la sussistenza di tutti i requisiti per la scriminante configurata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019, la Corte d’assise ha quindi assolto gli imputati perché il fatto non costituisce reato.
Da ultimo è di interesse evidenziare che il signor Cappato ha precisato ai giudici di non essere riuscito a proporre a Davide tra le cure palliative la sedazione palliativa profonda fino al decesso.
I fatti si sono svolti tra il 2016 e i primi mesi del 2017, e quindi prima dell’approvazione (avvenuta a dicembre 2017) della l. n. 219/2017, che all’art. 2 disciplina l’accesso alla sedazione palliativa profonda.
Cappato ha dichiarato ai giudici di non aver trovato in quei mesi tre medici anestesisti disposti a seguire Davide in questo percorso, alternativa oggi invece sicuramente attuabile.

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