La Cassazione ribadisce la revocabilità dei trasferimenti immobiliari operati in ambito separatizio anche se giudiziale

12 DICEMBRE 2024 | Separazione e divorzio

di Avv. Barbara Bottecchia

IL CASO. Due coniugi nell’ambito di una separazione giudiziale concordavano di consensualizzare la separazione stessa, prevedendo tra le clausole il trasferimento alla moglie del diritto di abitazione e di altri diritti reali. Il Tribunale di Massa recepiva tale accordo con sentenza 6.8.2007 e l’operazione veniva eseguita con atto notarile rogitato  il 3.4 .2008.

Una società creditrice, in forza di decreto ingiuntivo del 2009, agiva in revocatoria impugnando il trasferimento immobiliare, intervenuto tra i coniugi, sostenendone la lesività delle pretese dei creditori, oltre che l’asserita gratuità. Il Tribunale di Massa dichiarava il difetto di legittimazione ad processum della società creditrice, sostenendo che la stessa non avesse dimostrato l’inclusione del rapporto sostanziale controverso tra i crediti gestiti dall’ufficio periferico dell’istituto istante.

La Corte d’appello di Genova accoglieva il gravame promosso dalla società creditrice, ritenendo sanato il difetto di legittimazione, ammissibile l’azione revocatoria e respingendo le argomentazioni della difesa che asserivano che il trasferimento immobiliare scaturisse non dall’accordo tra i coniugi ma dalla sentenza. Riteneva, altresì, provata la consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori sia per aver il marito dichiarato in udienza presidenziale la sua difficoltà sia perché si trattava dell’unico cespite immobiliare di cui era titolare.

L’ex marito ricorreva in Cassazione con quattro motivi. Ci occuperemo in particolare del secondo e terzo motivo che attengono all’azione revocatoria e alla sua esperibilità.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 2571/2024, dopo aver affrontato e superato il problema della rappresentanza in giudizio, ha respinto nel merito il ricorso per i seguenti motivi.

Richiamando i propri numerosi precedenti, la Corte ribadisce, con estrema chiarezza, il proprio orientamento secondo il quale:

  • è indubbia la possibilità di esperire l’azione pauliana in relazione ad atto traslativo contenuto nell’accordo di separazione o di divorzio consensuale o congiunto;
  • altrettanto indubbia è la natura essenzialmente negoziale di tale negozio, più precisamente è definibile come negozio giuridico bilaterale a carattere non contrattuale rispetto al quale l’omologa o la sentenza si atteggia a mera condizione sospensiva di efficacia;
  • ed ancora indubbia è la validità di queste clausole che trasferiscono immobili allo scopo di risolvere la crisi matrimoniale;
  • ed è indubbio che tali trasferimenti possano essere lesivi di diritti di terzi.

La Corte estende l’argomentazione utilizzata nei numerosi precedenti al caso di specie, nel quale non si trattava di un accordo consensuale ma di un trasferimento all’interno di una separazione giudiziale definita con sentenza che aveva recepito tale pattuizione.

Il collegio richiama, altresì, il proprio orientamento  in tema di valore meramente dichiarativo della pronuncia che recepisca le pattuizioni affermando:

“In conclusione l’accordo tra coniugi avente ad oggetto un trasferimento immobiliare, anche nell’ambito di un procedimento di separazione giudiziale, è soggetto alle ordinarie impugnative negoziali a tutela delle parti e dei terzi anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo ha recepito spiegando quest’ultima efficacia meramente dichiarativa come tale non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo.”

Veniva respinto anche il terzo motivo con il quale il ricorrente aveva sostenuto la non gratuità del trasferimento sottolineandone la natura di adempimento dell’obbligo giuridico del mantenimento. Anche su questo punto il Supremo collegio fa chiarezza precisando che:

“la qualificazione dell’atto dispositivo per cui è causa come atto a titolo oneroso o come atto a titolo gratuito dipendeva dalla possibilità di ricondurlo, in concreto, ad una causa che, trovando titolo nei pregressi rapporti anche di natura economica delle parti e nella necessità di darvi sistemazione nel momento della dissoluzione del vincolo, giustificasse lo spostamento patrimoniale tra i coniugi”

: la Corte d’Appello ha correttamente escluso la natura onerosa dell’atto dispositivo tenuto conto che dall’istruttoria svolta non risultava in alcun modo che il trasferimento fosse stato effettuato in adempimento dell’obbligo di mantenimento gravante sul marito nei confronti della moglie, tanto più che in sede di provvedimenti provvisori non era stato stabilito alcun assegno in suo favore.

Il Supremo collegio ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente alle spese di lite.

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