Assegno divorzile: come valutare il contributo alla carriera del partner?

01 AGOSTO 2023 | Separazione e divorzio

di Avv. Luana Momesso

IL CASO La Corte d'appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, aveva ridotto la misura dell’assegno divorzile in favore dell’ex marito fissandolo in € 200.

I giudici, infatti avevano ritenuto sussistenti le condizioni che giustificavano l’erogazione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, con particolare riguardo all’apporto economico dato dall’ex marito nei primi anni di matrimonio alla ex moglie, consentendole di completare gli studi e di acquisire, quindi, una buona posizione lavorativa e professionale.

Invero, fin dall’inizio del matrimonio il marito aveva sostenuto economicamente l’intera famiglia, dapprima consentendo alla ex moglie di laurearsi, poi di poter accedere al dottorato di ricerca, ed infine di avviare l’attività professionale sostenendone i costi iniziali.

La Corte d’appello, riteneva che la stabilizzazione economica della moglie, raggiunta nel 2012, dopo circa vent’anni di matrimonio ed il conseguente miglioramento delle sue condizioni economiche erano il frutto dell’aiuto dato dal marito durante il matrimonio, costituendo il presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile in suo favore.

La Corte territoriale, infine, aveva considerato irrilevante il fatto che il marito non avesse operato alcun sacrificio delle proprie aspettative lavorative e reddituali, in quanto il criterio compensativo richiede di valutare gli effetti e le conseguenze delle scelte operate dai coniugi in costanza di matrimonio, e quindi di tenere in considerazione non solo eventuali occasioni di lavoro mancate ma anche di apprezzare i vantaggi ottenuti da un coniuge grazie al contributo fornito dall’altro.

Il marito, infatti, pur continuando a svolgere la stessa attività lavorativa, aveva messo a disposizione della moglie, negli anni, le somme necessarie per completare il percorso di studi universitari e avviare la propria attività professionale che, a distanza di anni, le consentiva di percepire redditi molto più importanti rispetto all’ex coniuge.

Pertanto la Corte distrettuale, tenuto conto delle funzioni perequativo-corrispettiva e compensativa dell’assegno divorzile, valutate le condizioni economiche delle parti, la durata del matrimonio e lo squilibrio significativo fra le due posizioni reddituali, stabiliva che il valore del contributo economico dato dal marito alla conduzione e realizzazione della vita familiare dovesse quantificarsi in € 200 mensili.

La ex moglie proponeva ricorso per Cassazione affidandolo ad un unico motivo, sostenendo che l’apporto economico ricevuto durante la vita coniugale non aveva portato ad alcuna rinuncia dell’ex marito ad una brillante carriera ed aspettativa di successo, ma rientrava nell’assolvimento del dovere di solidarietà giuridico e morale verso il coniuge più giovane che all’epoca del matrimonio non aveva completato ancora il suo ciclo di studi.

LA DECISIONE: La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, valorizza in particolare la funzione compensativa dell’assegno divorzile, precisando che tale criterio richiede di valutare le scelte e le conseguenze operate dai coniugi durante il matrimonio, tenendo conto non solo delle occasioni di lavoro mancate ma anche dei vantaggi ottenuti da un coniuge ricollegabili al contributo fornito dall’altro.

La Corte ritiene, quindi, espressione della funzione compensativa dell’assegno sia l’apporto fornito dall’ex moglie al menage familiare ma anche l’apporto dato dal marito, considerato la parte “economicamente più debole”, al nucleo familiare e alla giovane moglie per il ventennio di durata del matrimonio.

La Cassazione, rigettando il ricorso, precisa che il riconoscimento all’assegno divorzile, per la sua funzione compensativa, mira a controbilanciare la notevole differenza reddituale dei coniugi, effetto delle scelte di vita effettuate in costanza di matrimonio: il contributo economico del marito, che aveva destinato alla ex moglie parte delle proprie risorse economiche, le aveva generato un evidente vantaggio nella carriera professionale cui, altrimenti, avrebbe dovuto rinunciare.

La Corte ha ritenuto quindi che il giudice d’appello avesse fatto corretta interpretazione dell’art. 5 della L. n. 898 del 1970, in applicazione del principio espresso dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018.

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