Annullamento dell’accordo di separazione per violenza morale

07 GIUGNO 2024 | Separazione e divorzio

di Avv. Rebecca Gelli

L’accordo di separazione è un negozio giuridico cui si applicano le norme di diritto comune, in materia di contratti, comprese quelle relative all’annullamento per vizi del consenso e, per quanto specificamente ci riguarda, la violenza morale, ai sensi degli artt. 1434 e 1435 c.c.

Giova premettere che tale ipotesi si verifica allorquando uno dei contraenti subisca una minaccia specificamente finalizzata ad estorcere il consenso alla conclusione del contratto, proveniente dalla controparte o da un terzo e di natura tale da incidere, con efficienza causale, sulla specifica capacità di determinazione del soggetto passivo che, in assenza di minaccia, non avrebbe concluso il negozio.

In quest’ottica, i requisiti della violenza morale, quale vizio invalidante del consenso, possono variamente atteggiarsi, a seconda che la coazione si eserciti in modo esplicito, manifesto e diretto, o, viceversa, mediante un comportamento intimidatorio, oggettivamente ingiusto, anche ad opera di un terzo.

Tanto premesso, è opinione condivisa in dottrina e in giurisprudenza che l’azione di annullamento per violenza morale sia astrattamente esperibile, in relazione al consenso prestato dai coniugi a patti negoziali conclusi in prossimità e/o in occasione della separazione consensuale omologata, anche all’esito di un procedimento di negoziazione assistita.

Nella prassi, sono, tuttavia, rare le occasioni in cui i giudici hanno ritenuto integrati gli estremi di un’ipotesi di violenza, invalidante il negozio giuridico. Sicché, di volta in volta, le sentenze che si sono occupate della questione hanno escluso la ricorrenza della fattispecie, ritenendo che la determinazione a contrarre fosse provocata dalla mera rappresentazione interna di un pericolo ovvero da personali valutazioni di convenienza, in assenza di elementi obiettivi dai quali risultasse il comportamento tenuto in concreto da un coniuge, per estorcere la volontà dell’altro (Cass. civ. n. 235/2007; Trib. Milano, 8/10/2016; Trib. Milano, 18/07/2023).

Ultimamente, si registrano però maggiori aperture sul punto: in un recente precedente in materia la Suprema Corte ha cassato la decisione della Corte territoriale che, nell’escludere la configurabilità della violenza morale, non aveva adeguatamente valorizzato l’esistenza di espresse minacce da parte del marito, pur accertate giudizialmente in sede penale, e la loro efficienza a coartare la libertà della ricorrente (Cass. civ. n. 27323/2022).

Nel caso di specie, è, invece, il marito che ha convenuto in giudizio la moglie, per sentir accogliere la domanda di annullamento dell’accordo di separazione omologato, con cui aveva accettato un limitato calendario di visita della figlia e rinunciato all’assegno di mantenimento, nonostante il suo stato di disoccupazione e l’abissale disparità economica e patrimoniale tra i coniugi.

L’uomo riferiva che, dopo la crisi dell’unione, egli non solo era stato allontanato dalla casa familiare e dall’azienda del suocero, ma aveva subito ripetuti e pressanti atti minatori ed intimidatori, in esito ai quali si era sentito costretto a sottoscrivere l'accordo che gli era stato sottoposto.

Ad avviso del ricorrente, il giudice a quo non aveva tenuto in debito conto né le risultanze delle deposizioni testimoniali, né le peculiarità del contesto in cui si erano consumate le minacce, anche in ragione della posizione di netta preminenza sociale ed economica della benestante famiglia della moglie, nel territorio di appartenenza.

Mentre Tribunale e Corte d’appello avevano rigettato la domanda, la Cassazione ha, dunque, accolto il ricorso, ritenendo fondati i motivi con cui l’uomo impugnava la sentenza per omessa motivazione, in relazione al materiale probatorio raccolto, oltre che per violazione e falsa applicazione degli artt. 1427, 1434 e 1435 c.c.

Allegati

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli