La pronuncia di divorzio nel matrimonio non consumato

di avv. Luana Momesso

IL CASO La Corte d'appello di Bologna, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado con la quale era stata dichiarata, ai sensi dell’art.3 lett. f) l.n. 898 / 1970, la cessazione degli effetti civili del matrimonio per mancata consumazione, con fissazione dell’obbligo di pagamento di un assegno divorzile in favore dell’ex moglie di € 750,00 mensili.

I giudici d’appello, infatti, pur confermando la fine del matrimonio per inconsumazione sulla base delle risultanze istruttorie (tra cui due relazioni mediche, le ammissioni dello stesso marito sulla totale mancanza di rapporti sessuali durante il fidanzamento e nei primi due anni di matrimonio), hanno invece respinto la domanda dell’ex moglie di pagamento dell’assegno divorzile, dando rilievo al fatto che la stessa aveva da tempo intrapreso una nuova relazione affettiva stabile, indice di un nuovo progetto di vita.

Quest’ultima, infatti, secondo un’indagine investigativa prodotta in giudizio dall’ex marito, aveva instaurato un rapporto stabile e duraturo con un nuovo compagno, sebbene non vi fosse una convivenza more uxorio e, anzi, abitassero in città diverse.

La Corte di cassazione, investita del ricorso principale da parte dell’ex moglie, fondato su tre motivi e di ricorso incidentale, ha accolto il ricorso principale e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.

LA DECISIONE: La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha chiarito che, la mancata consumazione del matrimonio non implica l’inesistenza o l’invalidità del matrimonio, lo scioglimento del matrimonio può quindi essere pronunciato anche quando lo stesso non sia stato consumato, dopo che il giudice abbia, altresì, accertato che la comunione spirituale e materiale tra coniugi non può essere mantenuta o ricostituita.

Secondo gli Ermellini:” La non consumazione del matrimonio non incide, di per sé, sull’esistenza e sulla validità giuridica del matrimonio, come atto e come rapporto, ma è causa di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, cosicché essa non tocca – di per sé – la validità e idoneità del matrimonio a produrre effetti sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, né incide sull’applicabilità della normativa relativa all’assegno di divorzio” (Cass.9442/1998).

La sentenza, nel confronto con la disciplina di diritto canonico evidenzia che: “pur trattandosi di istituto mutuato dal diritto canonico, ove la mancata unione sessuale pone una presunzione assoluta di assenza del sacramento del matrimonio, nell’ambito dell’ordinamento dello Stato esso può solo concorrere a formare la presunzione alla mancanza di comunione spirituale e materiale tra coniugi, che resta il fondamento individuante l’istituto matrimoniale”.

Nel caso in esame la Corte territoriale aveva, quindi, correttamente accertato che la mancanza di una piena “congiunzione sessuale dei due coniugi” aveva determinato la “concreta impossibilità di mantenere il consorzio coniugale ed aveva portato alla definitiva rottura del legame di coppia”.

Quanto, invece, alla richiesta della moglie di un assegno divorzile, la Suprema Corte, ha richiamato i principi espressi nella sentenza delle Sezioni Unite n.32918/2022 in merito alla cessazione o meno del diritto all’assegno divorzile per effetto della convivenza stabile dell’ex coniuge con un terzo, precisando che, in primo luogo, l’istaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, non determina necessariamente “la perdita automatica ed integrale” del diritto all’assegno, in ragione della sua componente compensativa, in secondo luogo che, l’ex coniuge più debole richiedente l’assegno, se privo di mezzi adeguati, dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, di eventuali rinunce ad occasioni di lavoro, dell’apporto fornito alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. Ciò significa che la “componente compensativa” deve essere “specificatamente dedotta dal richiedente”.

La Corte, ha voluto inoltre chiarire il concetto di convivenza more uxorio: in presenza di una coabitazione stabile della coppia può presumersi l’esistenza di una effettiva convivenza “senza bisogno di ulteriori prove”; viceversa, nel caso in cui manchi una dimora comune quotidiana, “la stabile convivenza non è sempre necessaria in quanto l’evoluzione dei costumi e delle abitudini di vita comporta la necessità, sempre più frequente, che le persone, pur legate da stabili legami affettivi, abbiano i loro centri di interesse esistenziali e lavorativi in luoghi tra loro non vicini”.

Ai fini della individuazione della famiglia di fatto la Corte, ha quindi chiarito che, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, “l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’art.2729 c.c.”. Indici di riferimento che le Sezioni Unite nella sentenza n.32198/2021, in modo esemplificativo, ha indicato nell’esistenza dei figli, nella comunanza di rapporti bancari o patrimonialità significative, nella contribuzione al menage familiare, concludendo che deve esserci “un nuovo progetto di vita con il partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche”.

 

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