La legittimazione dei soggetti privati per l’azione di rettificazione dell’atto di stato civile

di Avv. Fiorella Guidolin

Lo scorso 11 settembre, la prima sezione della Corte di Cassazione (con la sentenza n. 24369 dell’11.09.2024) ha affrontato il tema della legittimazione all’esercizio dell’azione di rettificazione dell’atto di stato civile.

Nella specie, la questione sottoposta all’attenzione del supremo collegio riguardava la posizione dei nonni rispetto al minore, figlio di una relazione omoaffettiva.

Due donne, dopo una lunga convivenza more uxorio, decidevano di contrarre matrimonio nel 2016 a New York (USA) e successivamente ricorrevano alla gestazione per altri tramite procreazione medicalmente assistita al fine di avere un figlio. In particolare, l’ovocita di una delle due veniva fecondato con un gamete maschile per poi essere impiantato nell’utero di una terza gestante.

Nel 2017 nasceva quindi una bimba, nello stato della California; l’atto di nascita recava i nomi delle due donne in qualità di genitori.

L’anno successivo, dopo un iniziale provvedimento di diniego, l’atto veniva trascritto nei registri dello stato civile del Comune di Bari.

A seguito della cessazione della relazione sentimentale, il P.M. presso il Tribunale di Bari – su istanza dei genitori della madre genetica – richiedeva la rettificazione dell’atto di nascita nella parte in cui indicava come genitore l’altra donna, per assenza di legame biologico con la minore.

In particolare, il PM deduceva che la trascrizione era viziata dalla difformità tra lo stato di fatto effettivo e quello risultante dall’atto di nascita. La madre genetica e la curatrice del minore aderivano alle ragioni del ricorso, mentre l’altra donna si costituiva contestando la fondatezza dell’azione di rettifica.

Il Tribunale rigettava il ricorso, evidenziando la piena corrispondenza tra l’atto formato all’estero e la trascrizione effettuata, e che la domanda di rettifica aveva ad oggetto solo la qualità di genitore della madre “non genetica”, motivo per cui assumeva veste e contenuto di un’azione di rimozione di status non proponibile mediante l’azione di rettificazione degli atti dello stato civile.

La decisione veniva, dunque, impugnata dai genitori della madre genetica e dal P.M., ma la Corte d’Appello confermava la decisione del Tribunale e concordava con i giudici di primo grado in ordine alla realizzazione dell’interesse preminente della minore solo con la conservazione dello status genitoriale della madre non genetica.

RICORSO IN CASSAZIONE: ricorrevano contro la pronuncia esclusivamente i nonni della minore; resistevano con controricorso l’altra donna e il Comune di Bari, facendo valere nello specifico, in via preliminare, la carenza di legittimazione attiva ed interesse ad agire dei ricorrenti. In questo scenario, il Ministero dell’Interno depositava mero atto di costituzione mentre il Procuratore Generale rilasciava delle conclusioni scritte, confermate nella discussione orale e chiedeva l’accoglimento del ricorso.

Va detto che il ricorso era stato notificato sia al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale che presso la Corte d’Appello, mettendo così l’ufficio della Procura Generale presso la Corte d’Appello nella condizione di poter partecipare al giudizio di legittimità eventualmente anche senza assumere la qualità di ricorrente. Tuttavia, la scelta è stata quella di non partecipare né in qualità di ricorrente né di controricorrente (eventualmente adesivo) alla fase impugnatoria davanti al giudice di legittimità.

La Suprema Corte ha anzitutto analizzato il quadro normativo relativo all’individuazione dei soggetti legittimati all’azione di rettifica di un atto di stato civile.

Al riguardo, l’art. 95 d.p.r. n. 396/2000, nella versione ratione temporis applicabile, disciplinava al primo comma la legittimazione ad agire dei soggetti privati e al comma secondo quella del P.M., parte pubblica qualificata a promuovere l’azione e a rivestire la qualità di litisconsorte necessario in presenza di altre parti attrici.

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente ritenuto, fin dalle prime pronunce massimate (Cass. 1204/1984), che la rettificazione fosse da ricondurre all’interesse pubblico alla regolare tenuta dei registri di stato civile, e non solo all’emenda di errori materiali, considerata la legittimazione all’azione del pubblico ministero.

La giurisprudenza successiva ha poi elaborato il seguente principio di diritto, rimasto cardine anche nei successivi approdi riguardanti l’omogenitorialità:

“In tema di rettificazione degli atti dello stato civile, il relativo procedimento, anche nella disciplina vigente, dettata dal d.p.r. n. 396/2000, è volto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quella risultante dall’atto dello stato civile, per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell’atto stesso (Cass. 21094/2009)”.

La ratio del procedimento rimane quella del controllo di legalità nella tenuta degli atti dello stato civile, così da evitare che vi siano iscrizioni o trascrizioni che riproducono situazioni di fatto contrastanti con il canone predetto. La funzione dell’azione disciplinata dall’art. 95 d.p.r. n. 396/2000 è di adeguamento del contenuto degli atti dello stato civile al parametro della legalità interna, sostanzialmente ancorata al diritto positivo.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nell’evidenziare la differenza tra questa azione e quelle volte alla costituzione o rimozione dello status filiationis.

Entro il più limitato perimetro delle azioni volte alla correzione o cancellazione degli atti dello stato civile, il controllo di legalità non può che essere affidato in via esclusiva al pubblico ministero, mentre la legittimazione concorrente dei soggetti privati non può fondarsi sui medesimi presupposti di vigilanza e tutela dell’interesse pubblico alla corretta tenuta dei registri di stato civile e alla loro corrispondenza alle previsioni legislative.

È infatti necessario che vi sia un interesse ad agire diverso ed ulteriore dedotto nell’atto introduttivo del giudizio e, per quel che interessa la vicenda in discussione, nel ricorso per cassazione.

La Corte ha quindi statuito il seguente principio di diritto:

“In tema di esercizio dell’azione di rettificazione dell’atto di stato civile, la legittimazione dei soggetti privati, all’interno delle azioni previste e disciplinate dall’art. 95 d.p.r. n. 396/2000, richiede la riconoscibilità di un interesse ad agire diverso da quello attribuito in ogni tempo soltanto al pubblico ministero”.

Per i giudici tale interesse non è stato neanche dedotto dai ricorrenti, che si sono fatti carico esclusivamente delle ragioni di difformità, di carattere generale, delle dichiarazioni contenute nell’atto impugnato rispetto al modello legale di diritto positivo interno.

Inoltre la Corte ha evidenziato che i nonni avevano in fase pregiudiziale sollecitato il ricorso del P.M.  e successivamente partecipato a tutti e due i gradi di merito.

In primo grado il ricorso quindi era stato introdotto dal P.M. che ha anche impugnato la pronuncia del tribunale. In appello è intervenuto con sue conclusioni il P.G.

Per quanto riguarda il giudizio di Cassazione, esso è invece esclusiva conseguenza del ricorso dei genitori della madre genetica; sono rimasti intimati sia il P.G. d’appello che la madre genetica che pure aveva partecipato ai precedenti gradi di giudizio.

Il P.G. della Cassazione ha rassegnato le proprie conclusioni, intervenendo anche alla discussione orale dell’udienza pubblica, ma trattandosi di giudizio che deve essere proposto dal P.M., tale partecipazione non ne sana la mancata partecipazione in qualità di parte ricorrente o controricorrente, eventualmente adesiva.

In conclusione, dal difetto di legittimazione ad agire per mancanza di un interesse proprio delle parti ricorrenti, nonni della minore, consegue la loro qualificazione giuridica di intervenienti ad adiuvandum e l’inammissibilità dell’autonoma ed esclusiva impugnazione della pronuncia di secondo grado.

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