La relazione dell’investigatore privato e le foto che la corredano sono una valida prova dell’infedeltà del coniuge

03 MAGGIO 2024 | Addebito

di Avv. Gabriella Dal Molin

Con la sentenza n. 4038 del 14/02/2024 la Suprema Corte torna ad occuparsi del valore probatorio da attribuire alla relazione dell'investigatore privato, ed in particolare, alla documentazione fotografica che la correda, con riferimento alla prova dell'infedeltà del coniuge ai fini della pronuncia dell'addebito.

Confermando il proprio orientamento prevalente (ex multis Cass. n. 15196/2023, Cass. 7712/2023, Cass. 3689/2021 e Cass.1593/2017), la Cassazione ha affermato che la relazione investigativa rientra

"...tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell'art. 116 c.p.c., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova...".

Nel procedimento di separazione giudiziale, la Corte d'Appello, confermando la decisione di primo grado, aveva, tra l'altro, confermato l'accoglimento della domanda di addebito formulata dal marito nei confronti della moglie. In particolare, i giudici avevano accertato la violazione dell'obbligo di fedeltà da parte della moglie, attribuendo valore probatorio alle relazioni investigative prodotte in giudizio dal marito.

Al contrario, analoga domanda formulata dalla moglie nei confronti del coniuge, veniva rigettata in entrambi i gradi del giudizio, in quanto le circostanze addotte dalla moglie, pur confermate nelle testimonianze assunte in corso di causa, "...non erano da ritenersi casualmente efficienti..." rispetto alla compromissione del rapporto coniugale che era comunque continuato fino alla presentazione del ricorso per separazione.

Avverso tale sentenza la donna proponeva ricorso per Cassazione adducendo, in sintesi, che i giudici avevano attribuito "...del tutto illegittimamente, rilevanza probatoria alle relazioni prodotte dal marito..." perché le stesse non erano state confermate, nel corso del giudizio, dalla testimonianza del professionista che le aveva redatte.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso osservando, per quanto qui interessa, che "...la relazione scritta redatta da un investigatore privato è stata utilizzata correttamente dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ossia è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti...".

Infatti, tale relazione era corredata da materiale fotografico "...la cui utilizzabilità a fini decisori è espressamente riconosciuta dall'art. 2712 c.c., anche in presenza di disconoscimento della parte contro la quale il materiale fotografico viene prodotto; nel senso che, neppure il disconoscimento esclude l'autonoma valutazione della veridicità di detto materiale fotografico da parte del giudice, mediante il ricorso ad altri mezzi probatori ...", comprese le presunzioni (Cass. n. 13519/ 2022).

Osserva in conclusione la Cassazione che, in ordine alle risultanze del materiale fotografico "... non si rinviene in ricorso una critica compiuta e specifica e anche le doglianze relative alla relazione investigativa, oltre ad essere impropriamente formulate perché non concernenti un fatto storico, neppure sono pertinenti nel senso che si è precisato...".

La reiezione del ricorso ha comportato la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio in favore del convenuto.

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