Il test del DNA eseguito tra i fratelli è sufficiente a provare la paternità biologica

di Avv. Gabriella Dal Molin

La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 29838 del 20.11.2024, ha affermato, ancora una volta (Cass. n.1279/2014), che il test del DNA eseguito tra fratelli è sufficiente ad accertare la paternità biologica, non essendo necessario disporre anche l'analisi genetica sul DNA del presunto padre - il quale nel caso di specie era deceduto - o assumere ulteriori prove testimoniali.

IL CASO

Il Tribunale di Terni accoglieva la domanda di accertamento della paternità, proposta da una figlia naturale, in virtù del grado statistico di compatibilità genetica emerso all'esito del test del DNA sui fratelli (pari al 99,9983%).

I convenuti impugnavano la sentenza avanti alla Corte d'Appello di Perugia, adducendo che il giudice di primo grado avrebbe dovuto optare per la prova idonea a garantire il "massimo grado di verità processuale", cioè il test di paternità diretto sul genitore, e inoltre che tale prova poteva essere ammessa solo dopo l'accertamento storico dell'esistenza di "un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre".

La Corte del merito ha confermato la pronuncia di primo grado osservando che l'esame genetico del DNA tra i fratelli aveva "...consentito di conseguire una percentuale di paternità comune alle parti in causa prossima alla certezza..." rendendo superflua ogni altra attività probatoria.

Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo "...per avere la corte d'appello rifiutato di disporre la ctu genetica direttamente sul DNA - del padre - ritenendo sufficiente l'indagine genetica condotta sul DNA dell'attrice comparato con quello dei fratelli..."

LA DECISIONE

Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

La Corte di Cassazione ha, anzitutto, sottolineato che l'ammissione dei test genetici "...non è subordinata all'esito della prova storica dell'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre..."

non esistendo alcuna gerarchia tra i diversi mezzi di prova utilizzati per accertare la paternità.

L'art. 269 c.c. sancisce il principio della libertà della prova in materia di accertamento della paternità naturale, pertanto tutti gli strumenti probatori hanno "...pari valore per espressa disposizione di legge ... risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status (Cass. 3479/16)...".

L'art. 269 c.c. ammette anche il ricorso ad elementi presuntivi che, valutati nel loro complesso, "...risultino idonei per attendibilità e concludenza, a fornire la dimostrazione completa e rigorosa della paternità...". Tra questi viene annoverata anche la consulenza genetica eseguita su campioni di stretti familiari (C. 1279/14).

Nel caso di specie il legame biologico è stato dimostrato poiché, come abbiamo detto, il test genetico eseguito tra i fratelli aveva un grado di probabilità quasi coincidente con la certezza.

La Corte ha, quindi, dichiarato inammissibile il ricorso condannando i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite.

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