Cambiamento del cognome: la rilevanza dei motivi affettivi

04 DICEMBRE 2023 | Nome e cognome

di Avv. Anna Sartor

La sentenza n. 8422/2023 del Consiglio di Stato, ha stabilito che nel caso di un padre anaffettivo, arrogante e disinteressato alla relazione con il figlio, il cambio del cognome rappresenta per il figlio richiedente un modo per eliminare un legame solo formale, imposto per legge, dando invece valore al diritto all’identità personale avente copertura normativa costituzionale ex art.2 Cost. La Pubblica amministrazione non può, quindi, rigettare la relativa domanda di cambiamento del cognome, salvo vi siano ragioni ostative di interesse pubblico.  

Una giovane donna aveva presentato istanza alla competente Prefettura per ottenere il cambio del proprio cognome in quello materno, esponendo che il padre dopo la separazione dalla madre, aveva tenuto un comportamento nei suoi confronti di totale disinteresse sia affettivo che materiale. L’amministrazione rigettava l’istanza ritenendola non supportata da situazioni oggettivamente rilevanti e priva di adeguata documentazione in merito.

Il TAR accoglieva il ricorso presentato della donna, annullando il provvedimento dell’amministrazione, rilevando in motivazione che il sistema normativo in materia (D.P.R.n.396/2000) prevede la possibilità di aggiungere un altro cognome al proprio ma anche di cambiarlo, delimitando la sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione all’individuazione di sole ragioni di pubblico interesse tali da giustificare il sacrificio dell’interesse privato del richiedente.

L’amministrazione proponeva appello al Consiglio di Stato, esponendo che il diritto al nome (prenome e cognome) quale diritto assoluto e fondamentale ha lo scopo precipuo di collegare la persona alla propria comunità familiare ed altresì di dare certezza agli elementi identificativi della persona ed ai conseguenti rapporti giuridici: ne consegue che non sono consentiti “cambiamenti, aggiunte, o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità di legge indicati” (art.6 c.c.).  In quest’ottica spetta alla P.A., nell’esercizio del suo potere discrezionale, valutare se l’interesse del richiedente (interesse legittimo) prevalga o meno sull’interesse pubblico alla certezza e stabilità dei rapporti.  

Il Consiglio di Stato, muovendo dall’esame dell’art.89 D.P.R. n.396/2000, chiarisce  in via preliminare, che il Prefetto gode di un’ampia discrezionalità nella valutazione dell’istanza di cambio di cognome, fermo restando che si tratta di un potere di natura eccezionale poiché verte sui dati riguardanti l’identità personale: “A tale fine è fondamentale il giudizio di ponderazione del Prefetto medesimo, accompagnato da una motivazione che dia conto del processo argomentativo alla base di ciascuna decisione”.  

Nell’esercitare tale potere la Pubblica amministrazione non può peraltro prescindere dai principi espressi dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n.131/2022, in tema di “attribuzione” del cognome dei figli: “da un inziale approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia, e quindi come strumento per individuare l’appartenenza della persona ad un determinato gruppo familiare, si è passati ad un processo di valorizzazione del diritto all’identità personale, valore assoluto avente copertura costituzionale ex art.2 Cost., in virtù del quale il cognome assurge ad espressione dell’identità del singolo”.

 Il Consiglio precisa ancora che: “è emersa una particolare sensibilità sul tema del “cognome”, come testimonianza del legame del figlio con entrambi i genitori, o, se si vuole, con ciascuno di essi, in quanto l’assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell’identità del figlio”.

In questa “mutata prospettiva” la ricorrente aveva fondatamente motivato la sua richiesta di attribuzione del cognome materno al posto di quello paterno, in quanto non rispondente alla sua identità di figlia: “nella richiesta la ricorrente ha descritto la sofferenza derivante dall’incuria e dall’assenza del padre, il disagio derivante dal suo cognome, ritenuto ad essa estraneo ……..il disinteresse del padre nei suoi confronti al punto di privarla perfino del saluto” viceversa “emerge in modo palese il solo legame della ricorrente con la madre, unica figura di riferimento che le ha consentito di formarsi un’identità personale, della quale ha chiesto il riconoscimento formale attraverso l’acquisizione del relativo cognome”.

Le ragioni della ricorrente, alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, sono state quindi ritenute “serie e ponderate” mentre l’Amministrazione non aveva evidenziato “specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all’accoglienza dell’istanza.”

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