Il diritto di abitazione del coniuge superstite è limitato al solo immobile che costituisce il prevalente centro di aggregazione degli affetti e degli interessi della famiglia

di avv. Fulvia Cattarinussi

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7128 del 10 marzo 2023, ha stabilito che il diritto di abitazione riservato al coniuge superstite non può ricadere su più di un immobile, dal momento che la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque impone l’individuazione di un solo alloggio costituente, se non l’unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia.

IL CASO. Tizio, coniuge superstite di Caia, citava in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona i figli Sempronio e Mevio chiedendo che venisse accertato il proprio diritto di abitazione, ex art. 540, comma 2, c.c., sulla villa di proprietà di campagna ovvero in alternativa su altro appartamento. Entrambi gli immobili erano di proprietà della coniuge Caia.

Il Tribunale di Verona, e successivamente la Corte d’Appello di Venezia, accertavano il diritto di abitazione di Tizio anche sulla villa di campagna. In particolare la Corte distrettuale giungeva a detta conclusione rilevando che i coniugi Tizio e Caia avessero vissuto ripartendo la propria vita di fatto su due abitazioni: l’appartamento di città e la villa in campagna, nella quale ultima dimoravano anche oltre il periodo delle vacanze estive, per almeno tre mesi l’anno. La Corte d’Appello riconosceva, quindi, quale dimora abituale della famiglia la villa di campagna, al pari dell’appartamento.

Sempronio e Mevio proponevano ricorso per Cassazione adducendo, quale primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 540, comma 2, 43, 44, 144, 1021 e 1022 c.c., 31 disp. att. c.c., 113, comma 1, c.p.c contestando il fatto che Tizio, dopo aver “implicitamente rinunziato” al diritto di abitazione sulla casa coniugale di città, acconsentendo alla vendita della stessa, successivamente aveva chiesto l’assegnazione ex art. 540, comma 2, c.c. della casa di campagna.

Con secondo motivo i ricorrenti deducevano violazione e falsa applicazione degli artt. 540, comma 1, 665 e 2909 c.c., 324 c.p.c. in quanto Tizio, coniuge superstite, avrebbe preteso il riconoscimento del diritto di abitazione sia sulla casa coniugale di città, sia sulla villa di campagna, trattandosi al più di scelta fra legati ex lege alternativi che spettava ai figli coeredi.

Con terzo motivo i ricorrenti deducevano la violazione e falsa applicazione degli artt. 44, 521, 649 e 1146 c.c., 112 c.p.c., invocando gli effetti della rinunzia all’eredità compiuta da Tizio e del compossesso dei figli sull’immobile di campagna, con conseguente illegittimità del certificato di residenza ottenuto dal medesimo Tizio.

Per ultimo motivo di ricorso Sempronio e Mevio adducevano la violazione e falsa applicazione degli artt. 540, comma 2, 720, 1022, comma 2, 1021 e 1022 c.c., 113 c.p.c., evidenziando che la villa di campagna fosse composta di quindi stanze e, quindi, eccedente i bisogni abitativi di Tizio.

Il Pubblico Ministero, nelle sue conclusioni, chiedeva il rigetto del ricorso, con affermazione del principio di diritto secondo cui il diritto di abitazione riservato al coniuge ex art. 540, comma 2, c.c. può anche comprendere due o più residenze alternative, ovvero due o più immobili utilizzati in modo abituale dai coniugi come sede della vita domestica.

 

LA SENTENZA. La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo e ritenuto assorbiti i rimanenti tre.

Secondo gli Ermellini, il ricorso andava accolto dal momento che la sentenza impugnata non aveva tenuto conto dell’orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola casa adibita a residenza familiare, ossia l’immobile che in concreto è in grado di soddisfare l’esigenza abitativa del nucleo familiare, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale.

Sostanzialmente, secondo la Suprema Corte, “L’oggetto del diritto di abitazione mortis causa coincide, quindi, con il solo immobile in cui i coniugi - secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – dimoravano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare, e non può estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento”.

Richiamata la giurisprudenza in tema di nozione di casa familiare ai sensi dell’art. 337-sexies c.c., la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio:

il diritto reale di abitazione, riservato al coniuge superstite dall’art. 540, comma 2, c.c., ha ad oggetto la sola casa adibita a residenza familiare, e cioè l’immobile in cui i coniugi abitavano insieme stabilmente prima della morte del de cuius, quale luogo principale di esercizio della vita matrimoniale; ne consegue che tale diritto non può comprendere due (o più) residenze alternative, ovvero due (o più) immobili di cui i coniugi avessero la disponibilità e che usassero in via temporanea, postulando la nozione di casa adibita a residenza familiare comunque l’individuazione di un solo alloggio costituente se non l’unico, quanto meno il prevalente centro di aggregazione degli affetti, degli interessi e delle consuetudini della famiglia”.

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