Via libera alle adozioni internazionali per le persone singole e non coniugate

Lo scorso 21 marzo è stata pubblicata la nota Sentenza n. 33/2025 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 29 bis, comma 1, della l.n. 184 del 4 maggio 1983 (“Diritto del minore ad una famiglia”) nella parte in cui, facendo rinvio all’art. 6, non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare la dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero residente all’estero, e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza che dichiari la loro idoneità all’adozione.

Rimane ferma l’applicabilità alla persona singola delle restanti previsioni di cui all’art. 6 della legge n. 184 del 1983. L’adottante persona singola dovrà quindi rispondere agli altri requisiti – non incompatibili con il suo stato libero – che attengono all’età e al suo essere effettivamente idonea e capace di educare, istruire e mantenere i minori che intenda adottare.

La Corte ha altresì chiarito che al minore adottato dalla persona singola sarà riconosciuto l’unico stato di figlio di cui all’art. 315 c.c., al quale implicitamente rimanda l’art. 27 della l.n. 184 del 1983.

Per i giudici, infatti, alla luce del complesso degli interessi coinvolti e dello scopo dell’istituto dell’adozione internazionale, la scelta operata dal legislatore con l’art. 29 bis co. 1 l.n. 184/1983 risulta non necessaria in una società democratica perché non conforme al principio di proporzionalità. Essa determina la lesione della vita privata e dell’autodeterminazione orientata ad una genitorialità ispirata al principio di solidarietà.

Secondo la Corte l’esclusione della persona singola dall’accesso all’adozione internazionale lede gli artt. 2 e 117 primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.

Viene, infatti, in rilievo il diritto alla vita privata, inteso come libertà di autodeterminazione che nel contesto in esame si declina quale interesse a poter realizzare la propria aspirazione alla genitorialità, rendendosi disponibile all’adozione di un minore straniero.

E questo interesse si coniuga anche con una finalità di solidarietà sociale, in quanto le aspirazioni alla genitorialità sono rivolte a bambini o a ragazzi che già esistono e necessitano di protezione.

Lo scopo dell’adozione internazionale è, infatti, quello di accogliere in Italia minori stranieri abbandonati, assicurando loro un ambiente stabile e armonioso. Pertanto, l’insuperabile divieto per le persone singole di accedere a tale adozione non risponde ad un’esigenza sociale e si configura, nell’attuale contesto giuridico-sociale, come un’interferenza non necessaria in una società democratica.

Tale divieto non è più funzionale all’esigenza di assicurare al minore le più ampie tutele giuridiche associate allo status filiationis; infatti, a seguito della Riforma della filiazione introdotta del 2012/2013, è configurabile un unico status di figlio per cui, per poter assicurare all’adottato la più ampia protezione giuridica, non si rende più necessario correlare questo stato alla coppia di genitori uniti in matrimonio.

In aggiunta, l’aprioristica esclusione delle persone singole dalla genitorialità adottiva non rappresenta nemmeno un mezzo idoneo a garantire al minore un ambiente stabile e armonioso; basti pensare al fatto che lo stesso legislatore ha già riconosciuto in più leggi come – in contesti non privi di criticità o rispetto a minori che richiedono particolare impegno – la persona singola sia, in astratto, idonea ad assicurare un ambiente con tali caratteristiche.

Il riferimento va, in particolare, ai commi 4 e 5 della l.n. 184/1983. Ebbene, il comma 4 consente l’adozione piena anche se uno dei coniugi muore o diviene incapace durante l’affidamento preadottivo (in tal caso, infatti, sebbene l’adozione sia disposta nei confronti di entrambi i coniugi, nella sostanza implica l’inserimento del minore in un nucleo monoparentale).

Il comma 5 prevede, invece, che l’adozione piena possa essere direttamente disposta nei confronti di uno solo dei due aspiranti genitori, che ne faccia richiesta, se nel corso dell’affidamento preadottivo interviene tra i coniugi affidatari la separazione.

E lo stesso dicasi per l’art. 44 della l.n. 184/1983, relativa all’adozione in casi particolari: il legislatore riconosce l’astratta idoneità della persona singola a garantire un ambiente stabile e armonioso persino a minori che, di norma, richiedono un impegno particolarmente elevato (viene infatti consentita alla persona non coniugata l’adozione di minori in condizione di disabilità orfani di padre e di madre, e di minori per i quali sia risultato impossibile l’affidamento preadottivo). 

La stessa Corte costituzionale, sin dall’ormai risalente Sentenza n. 183 del 1994, ha riconosciuto l’astratta idoneità della persona singola ad offrire un ambiente stabile e armonioso: chiamata a pronunciarsi sui dubbi di legittimità costituzionale sollevati in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., con riguardo all’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1967, ha rilevato che i richiamati principi costituzionali “non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae in guisa da non consentire l’adozione da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in cui è oggi prevista dalla l.n. 184/1983”. 

Quindi, quei principi costituzionali non impediscono di ravvisare nell’adozione da parte di persone singole una possibile soluzione in concreto più conveniente nell’interesse del minore, presupponendo con ciò una loro idoneità in astratto a garantire al minore un ambiente stabile e armonioso.

Inoltre i giudici costituzionali sottolineano che il modello della famiglia monoparentale trova riconoscimento nella Costituzione (cfr. art 2 Cost.) e che, nel contesto della disciplina dell’adozione, il miglior interesse del minore è direttamente preservato dalla verifica giudiziale concernente la concreta idoneità dell’adottante e finalizzata a garantire la “soluzione ottimale in concreto per l’interesse del minore”. E, non da meno, gioca un ruolo importante anche il sostegno che può essere offerto dalla rete familiare di riferimento.

D’altra parte, per la Corte, l’esigenza sottesa alla scelta del legislatore di assicurare all’adottato la presenza – sotto il profilo affettivo ed educativo – di entrambe le figure dei genitori non viene perseguita con un mezzo idoneo e proporzionato. Come già rilevato in passato con la Sentenza n. 183/1994 si tratta di un’istanza che può giustificare un’indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi, ma che non supporta la scelta di convertire tale modello di famiglia in una aprioristica esclusione delle persone singole dalla platea degli adottanti.

Nel caso dell’adozione internazionale, in particolare, allo Stato di accoglienza spetta solo il compito di regolare l’idoneità o meno ad adottare, dopodiché l’abbinamento con il minore di chi ha ottenuto il decreto di idoneità è di competenza dello Stato di origine del minore stesso.

Pertanto, secondo i giudici costituzionali, porre alle persone singole una barriera all’accesso all’adozione internazionale determina un sacrificio all’autodeterminazione orientata alla genitorialità, che rischia di riverberarsi negativamente sulla stessa effettività del diritto del minore a essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso.

La questione era stata portata all’attenzione dei giudici costituzionali dal Tribunale per i minorenni di Firenze che, con l’ordinanza n. 139/2024, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 bis comma 1 e 30 comma 1 della l.n. 184/1983, in riferimento agli artt. 2 e 117 primo comma Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.

Secondo il giudice a quo le disposizioni censurate non erano idonee a realizzare il fine della tutela dell’interesse del minore e violavano il diritto alla vita privata della persona non coniugata. 

Ad avviso del Tribunale di Firenze, l’esigenza di individuare nel miglior interesse del minore un contesto familiare armonioso e stabile non doveva necessariamente rinvenirsi nella struttura familiare composta da una coppia unita nel vincolo del matrimonio: era la valutazione in concreto dell’idoneità del contesto familiare, anche se monoparentale, a tutelare il minore, avendo al contempo riguardo alla rete familiare di riferimento. Posto che il nucleo familiare monoparentale si inquadra nel tessuto costituzionale di cui all’art. 2 della Costituzione, che tutela le formazioni sociali all’interno delle quali si esplica la personalità dell’individuo.

D’altro lato l’esclusione della persona non coniugata dall’accesso all’adozione internazionale attuava una lesione del diritto al rispetto della vita privata, inteso come “il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani, come parte del diritto allo sviluppo personale e del principio di dignità umana, intesa sotto la prospettiva del diritto di autodeterminazione”. E tale diritto potrebbe tollerare interferenze solo se conformi alla legge e necessarie in una società democratica poiché corrispondenti ad un’esigenza sociale pressante, proporzionate a uno degli scopi legittimi perseguiti dalle autorità.

La Corte costituzione ha ritenuto che il giudizio di legittimità potesse focalizzarsi sul solo art. 29 bis comma 1 della l.n. 184/1983, visto che la seconda disposizione censurata, ovvero l’art. 30 comma 1 della stessa legge, semplicemente prevede che “il tribunale per i minorenni, ricevuta la relazione di cui all’art. 29 bis comma 5, sente gli aspiranti all’adozione, anche a mezzo di un giudice delegato, dispone se necessario gli opportuni approfondimenti e pronuncia, entro i due mesi successivi, decreto motivato attestante la sussistenza ovvero l’insussistenza dei requisiti per adottare”.

A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 29 bis, il tribunale non potrebbe, sulla base dell’art. 30 comma 1 della stessa legge, emettere un decreto di insussistenza dei requisiti, motivato con lo stato libero del richiedente.

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