La neuroetica e i neurodiritti: interviene alla conferenza della Società Italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze” (SINe) il garante della Privacy

di avv. Cristina Arata

In un comunicato stampa del 13 maggio 2022 il Garante della Privacy ha sintetizzato il suo intervento alla conferenza “Neuroethics in a Time of Global Crises” organizzata dalla SINe, evidenziando la necessità di definire un nuovo statuto giuridico dei c.d. neurodiritti.

La riflessione parte dalla constatazione che la rivoluzione digitale rappresenta un passaggio epocale, in cui l’uso sempre più penetrante dell’intelligenza artificiale ha aperto scenari, in gran parte ancora inesplorati, anche in ambito neuroscientifico.

Se l’uso terapeutico delle neurotecnologie per la cura di malattie neurodegenerative è, per il Garante, da promuovere a tutela del diritto fondamentale alla salute, si presenta invece molto più problematico il ricorso a tali tecniche per realizzare un potenziamento cognitivo, al di fuori dell’ambito clinico.

Il riferimento è ai progetti per l’installazione di chip nel cervello che permettano di potenziare le capacità cognitive, di “salvare” i ricordi e “scaricarli su un altro corpo o robot, o al programma d’interfacce cervello-computer, elaborato da un social network, per condividere contenuti on-line direttamente con il pensiero.

L’Autority sottolinea come nessun esercizio di diritto o libertà potrebbe dirsi tale, se realizzato per effetto del condizionamento, magari indiretto o parziale, delle neurotecnologie sul processo cognitivo: non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche giuridicamente lecito ed eticamente ammissibile.

Ecco perché vi è la necessità urgente di definire uno statuto giuridico ed etico dei neurodiritti, regole normative in base alle quali coniugare l’innovazione neuroscientifica con la dignità della persona. Valore sancito a livello costituzionale nella UE dalla Carta di Nizza (art. co. 1 “La dignità umana è inviolabile”).

Il rischio è che tecniche preziose per la cura divengano strumento per fare dell’uomo una non-persona, un individuo da addestrare o classificare, normalizzare o escludere”.

Da almeno un paio di decenni nell’ambito della neuroscienza si è sviluppata la consapevolezza della necessità di orientare eticamente e giuridicamente la rivoluzione delle neuroscienze, per la loro capacità di penetrare e indirizzare il funzionamento del cervello umano.

Il tema della “decisione umana” nelle sue varie dimensioni ha sempre occupato il pensiero etico-filosofico, coinvolgendo alcuni aspetti cardine della filosofia morale: la responsabilità, l’autonomia e il libero arbitrio dell’uomo.

Aspetti che oggi sono intimamente connessi (e in qualche modo sfidati) dagli approdi scientifici e tecnologici che indiscutibilmente coinvolgono i processi di decisione dell’uomo.

È ormai evidente che l’uomo è molto vulnerabile, ed esposto a possibili arbitri connessi all’uso del nuovo sapere e delle nuove tecniche.

Per questo risulta urgente riflettere sui processi decisionali, sull’agire morale, sulla libertà e sull’autonomia umane, alla luce degli sviluppi neuroscientifici (intelligenza artificiale, algoritmi, modelli statistico-predittivi a livello individuale e sociale).

Ciò che va evitato è che le tecnologie neuroscientifiche diventino “agenti artificiali morali”: le conoscenze sul funzionamento del cervello e gli approdi delle neuroscienze permettono di comprendere le basi dei nostri comportamenti e quindi anche di modificarli.

Basti pensare che l’uso della risonanza magnetica funzionale (utilizzata ormai da 20 anni) ha permesso un'indagine non invasiva del cervello umano mentre si è attivi in un determinato comportamento, con ciò evidenziando i meccanismi della mente e dei comportamenti quotidiani.

Sono le neuroscienze che hanno consentito la scoperta dei neuroni specchio.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione, che viaggia sotto soglia ed è ben poco percepita, ma che di fatto sta ridefinendo i concetti di mente, identità, libertà, estendendosi alla maggior parte degli ambiti della nostra vita.

Le neurotecnologie già consentono controlli diffusi, potenziamenti cognitivi, modifica dei ricordi, creazione di cervelli in laboratorio.

La riflessione interdisciplinare su queste tematiche si muove sul confine tra molte discipline (neuroscienze, psicologia, filosofia della mente, filosofia morale, genetica molecolare e teoria dell’evoluzione), ed ha assunto la definizione di “neuroetica” (neologismo introdotto negli anni 90’).

È stata istituita anche la “Società Italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze”(SINe), al fine di creare uno spazio strutturato e permanente di confronto e dialogo tra questi saperi.

Quali quindi i confini?

Basti pensare all’attuale diffusione del neuromarketing, ricerca volta a comprendere il comportamento umano per indagare le risposte del sistema nervoso al fine di ottimizzare le attività di marketing.

Oggi le tecnologie consento di misurare l’attività cerebrale attraverso metodologie neurometriche (come la fMRI, risonanza magnetica funzionale) o biometriche. Consentono di analizzare le risposte biologiche e fisiologiche delle persone (battito cardiaco, risposta galvanica della pelle, ecc.).

Gli studi di neuroimaging individuano la comunicazione più efficace verso i consumatori, utilizzando a vantaggio delle aziende i meccanismi innati dei comportamenti umani e il modo in cui l’uomo forma i giudizi.

Il rischio è l’uso improprio, e quindi l’utilizzo di forme pubblicitarie che spingano i consumatori a fare cose che non vorrebbero fare.

Ecco perché l’uomo attraverso il pensiero filosofico deve tornare a pensare a sé ed a riflettere sull’impatto etico delle neuroscienze, sui modi con cui la neurotecnologia può essere utilizzata per prevedere o alterare il suo comportamento e le implicazioni individuali e sociali dell’invasione tecnico scientifica della sua funzione cerebrale.

E quindi, avverte l’Autority, è tempo anche di definire i confini giuridici della tutela dell’uomo, della sua dignità ed umanità, preservando la sua capacità di decisione morale.

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