Maternità surrogata: la Cassazione denuncia il vuoto normativo e la mancanza di adeguata tutela dei diritti del figlio

avv. Valentina Alberioli

IL CASO. Tizio e Caio, cittadini italiani coniugati in Canada con matrimonio trascritto in Italia nel registro delle unioni civili, avevano proposto ricorso ex art. 702 bis c.p.c. alla Corte d’Appello di Venezia a seguito del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile del Comune di Verona di trascrivere l’atto di nascita del minore Mevio, nato con la cd. gestazione per altri o maternità surrogata (id est: con la fecondazione tra un ovocita di una donatrice anonima e i gameti di Tizio e con successivo impianto dell’embrione nell’utero di una diversa donna, non anonima, che aveva portato a termine la gravidanza e partorito il bambino), nel quale, grazie alla sentenza emessa dalla Suprema Corte della British Columbia, si attestava che il piccolo era figlio di entrambi.

La Corte d’Appello di Venezia, in accoglimento del ricorso, aveva accertato che la sentenza canadese presentava tutti i requisiti necessari per il riconoscimento in Italia ex art. 67 della Legge n. 218/1995.

Avverso tale decisione l’Avvocatura dello Stato aveva proposto ricorso per cassazione nell’interesse del Ministero dell’Interno e del Sindaco di Verona.

LA DECISIONE. La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1842 del 21.01.2022, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Ha rilevato, infatti, che, a seguito della sentenza n. 33 del 9.3.2021 con cui la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito ai quesiti di cui all’ordinanza interlocutoria della Prima sezione civile della Corte di Cassazione del 29.4.2020, in tema di maternità surrogata si è creato un “vuoto normativo” che va colmato quanto prima al fine di garantire una adeguata tutela degli interessi dei minori coinvolti.

Nel dettaglio.

La Corte di Cassazione ha, anzitutto, precisato che già con la propria precedente ordinanza emessa il 29.4.2020 aveva dubitato della legittimità costituzionale del “principio di diritto, costituente diritto vivente” affermato dalle Sezioni Unite civili n. 12193/2019, secondo cui “non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che attribuisca lo status di figlio a un bambino nato in seguito a gestazione per altri, in un paese in cui tale pratica sia riconosciuta come legale, nei confronti del cd. genitore ‘d'intenzione’ (colui cioè che non ha dato alcun apporto biologico alla procreazione), a causa dell'ostacolo, ritenuto insuperabile, ravvisato nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile – secondo le Sezioni Unite – come principio di ordine pubblico in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l'istituto dell'adozione”.

Con l’ordinanza del 2020 la Cassazione aveva, infatti, ritenuto che il principio elaborato dalle Sezioni Unite fosse incompatibile con i diritti del minore, ed in particolare:

- con l’art. 117, comma 1, in relazione ai diritti del minore al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8 CEDU), a non subire discriminazioni, a vedere riconosciuto il proprio diritto a essere immediatamente registrato alla nascita e ad avere un nome, a conoscere i propri genitori, ad essere da loro allevato, ed a non esserne separato (artt. 2, 3, 7, 8 e 9 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo approvata il 20.11.1989);

- con il principio della responsabilità comune dei genitori per l’educazione e la cura del figlio (art. 18 della medesima Convenzione);

- nonché con i diritti riconosciuti dall’art. 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e, in particolare, con il principio della preminenza dell’interesse superiore del minore in tutti gli atti adottati da autorità pubbliche o da istituzioni private;

- con gli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., ossia, in particolare, con il diritto del minore all’inserimento e alla stabile permanenza nel proprio nucleo familiare, inteso come formazione sociale, e col suo diritto alla identità,

senza che tale violazione possa ritenersi giustificata in una logica di bilanciamento di valori costituzionali, sia per la evidente astrattezza e non inerenza della tutela che ne deriverebbe alla donna che ha consentito la gestazione per altri, sia per l’assenza di qualsiasi responsabilità, rispetto alle modalità del suo concepimento e della sua nascita, da parte del bambino il quale viene invece a subire una evidente e gravissima discriminazione sin dalla sua venuta al mondo”.

La Corte rimettente aveva, altresì, ritenuto irragionevole “riconoscere il rapporto di genitorialità in capo al genitore biologico e non a quello di ‘intenzione’, posto che è il primo - che ha fornito i propri gameti per la formazione dell'embrione - ad essere coinvolto direttamente nella pratica procreativa, ritenuta illecita nel nostro ordinamento e in contrasto con l'ordine pubblico internazionale.

Ne deduceva, quindi, che “proprio perché, in realtà, il legislatore non ha effettuato alcun bilanciamento in via generale e astratta al riguardo, è tanto più irragionevole, oltre che contrario ai principi consolidati della giurisprudenza costituzionale, precludere al giudice la possibilità di valutare, caso per caso, la possibile contrarietà all'ordine pubblico del riconoscimento del legame di filiazione con il genitore di ‘intenzione’”.

Deduceva, altresì, che l’assenza di questa valutazione “caso per caso” comporta, quindi, l’automatico sacrificio della tutela “dei diritti del bambino senza compiere alcuna valutazione della legislazione vigente nel paese in cui è avvenuta la gestazione per altri e, specificamente, la effettività delle garanzie, fornite dall'ordinamento straniero, per tutelare la volontà della donna e, non da ultimo, senza valutare il concreto interesse del minore al riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale”.

L’ordinanza del 29.4.2020 aveva, inoltre, rilevato l’inadeguatezza dell’“attuale diritto vivente in Italia” (come emerso a seguito della richiamata sentenza delle Sezioni Unite) anche rispetto agli standard di tutela dei diritti del minore indicati dal parere consultivo della Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, reso il 10.4.2019 su richiesta della Corte di cassazione francese, in quanto “la possibilità del ricorso al[l’] istituto dell'adozione ‘in casi particolari’ da parte del genitore di ‘intenzione’, a norma della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), ritenuta percorribile dalle Sezioni Unite, nella richiamata sentenza n. 12193/19, e idonea a tutelare i diritti del bambino, non determina un vero rapporto di filiazione e non comporta né la effettività né la tempestività del riconoscimento del rapporto di filiazione ritenuta necessaria dalla Corte EDU”.

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La Corte di Cassazione ha, quindi, richiamato l’arresto di cui alla sentenza n. 33 del 9.2.2021, con la quale la Corte Costituzionale si era pronunciata sulla compatibilità del diritto vivente in tema di maternità surrogata espresso dalle Sezioni Unite civili n. 12193/2019 con i diritti del minore (id est: tutela della sua identità e dei suoi rapporti con la coppia che ha condiviso il percorso che ha portato al suo concepimento e, quindi, alla sua nascita) riconosciuti dalle norme costituzionali e sovranazionali invocate dal giudice a quo, nell’ottica del doveroso “rilievo primario” da riconoscersi ai “migliori interessi (best interests)” o “interesse superiore (interest superieur)” del minore stesso.

In quest’ottica la Corte Costituzionale aveva ritenuto costituzionalmente rilevante l’interesse del minore, che è interesse ad “ottenere il riconoscimento, anche giuridico, dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono ad entrambi i componenti della coppia …; al riguardo, questi legami sono parte integrante della stessa identità del bambino (Corte EDU, sentenza 26.6.14, Mennesson contro Francia), che vive e cresce in una determinata famiglia, o comunque - per ciò che concerne le unioni civili - nell'ambito di una determinata comunità di affetti, essa stessa dotata di riconoscimento giuridico, e certamente riconducibile al novero delle formazioni sociali tutelate dall'art. 2 Cost. ….”.

Pertanto, “indiscutibile è l'interesse del bambino a che tali legami abbiano riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico, a tutti i fini che rilevano per la vita del bambino stesso - dalla cura della sua salute, alla sua educazione scolastica, alla tutela dei suoi interessi patrimoniali e ai suoi stessi diritti ereditari -;

ma anche, e prima ancora, allo scopo di essere identificato dalla legge come membro di quella famiglia o di quel nucleo di affetti, composto da tutte le persone che in concreto ne fanno parte; ciò anche laddove il nucleo in questione sia strutturato attorno ad una coppia composta da persone dello stesso sesso, dal momento che l’orientamento sessuale della coppia non incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale”.

Sul piano genitoriale la Corte Costituzionale aveva, poi, evidenziato che non è in discussione un “preteso ‘diritto alla genitorialità’ in capo a coloro che si prendono cura del bambino, ma unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all'esercizio di responsabilità genitoriali, doveri ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi …”.

Aveva, altresì, evidenziato che sono queste le ragioni per cui “l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte EDU afferma la necessità, al metro dell'art. 8 CEDU, che i bambini nati mediante maternità surrogata, anche negli Stati parte che vietino il ricorso a tali pratiche, ottengano un riconoscimento giuridico del ‘legame di filiazione’ (tien de filiation) con entrambi i componenti della coppia che ne ha voluto la nascita, e che se ne sia poi presa concretamente cura …”.

Né - affermava sempre la Corte Costituzionale - l'interesse del minore può ritenersi soddisfatto dal riconoscimento del rapporto di filiazione con il solo genitore ‘biologico’ “laddove il minore viva e cresca nell'ambito di un nucleo composto da una coppia di due persone, che non solo abbiano insieme condiviso e attuato il progetto del suo concepimento, ma lo abbiano poi continuativamente accudito, esercitando di fatto in maniera congiunta la responsabilità genitoriale, è chiaro che egli avrà un preciso interesse al riconoscimento giuridico del proprio rapporto con entrambe, e non solo con il genitore che abbia fornito i propri gameti ai fini della maternità surrogata”.

Se, quindi, l’interesse del bambino non può essere considerato automaticamente prevalente rispetto a ogni altro controinteresse in gioco,

“la frequente sottolineatura della ‘preminenza’ di tale interesse ne segnala bensì l'importanza, e lo speciale ‘peso’ in qualsiasi bilanciamento; … gli interessi del minore dovranno essere allora bilanciati, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall'ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore”.

Infatti, la Corte CEDU se ha riconosciuto che gli Stati possono “non consentire la trascrizione di atti di stato civile stranieri, o di provvedimenti giudiziari, che riconoscano sin dalla nascita del bambino lo status di padre o di madre al ‘genitore d'intenzione’”, ha ritenuto sia comunque “necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità del riconoscimento giuridico dei legami tra il bambino e il ‘genitore d'intenzione’ al più tardi quando tali legami si sono di fatto concretizzati …; lasciando poi alla discrezionalità di ciascuno Stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all'adozione del minore … nella misura in cui sia in grado di costituire un legame di vera e propria ‘filiazione’ tra adottante e adottato …, e ‘a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l'effettività e la celerità della sua messa in opera, conformemente all'interesse superiore del bambino’”.

Anche la Corte Costituzionale (al pari dell’ordinanza di rimessione in commento) aveva, quindi, rilevato l’inadeguatezza del “ricorso all’adozione ‘in casi particolari’ di cui alla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, comma 1, lett. d), ritenuto esperibile dalla sentenza n. 12193 del 2019 delle Sezioni unite civili in quanto costituisce una forma di tutela degli interessi del minore che è certo significativa, ma non è ancora del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali rammentati”.

Infatti, non attribuisce la genitorialità all’adottante, non consente di stabilire con certezza “vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono socialmente, e lui stesso percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso in cui l’adottante abbia già altri figli propri” e richiede, per il suo perfezionamento, il necessario assenso del genitore “biologico” "che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, nelle quali il bambino finisce per essere così definitivamente privato del rapporto giuridico con la persona che ha sin dall’inizio condiviso il progetto genitoriale, e si è di fatto presa cura di lui sin dal momento della nascita”.

La Corte Costituzionale aveva, quindi, chiaramente concluso per l’affermazione della “inidoneità del diritto vivente cristallizzato dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2019 a rispondere alle esigenze di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore intenzionale derivanti dalla Costituzione e dalle fonti convenzionali e sovranazionali citate”.

Aveva, altresì, concluso che l'attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore impone di adeguare “il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata - nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori …”, compito che spetta “in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco”.

*

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, nel prendere atto e valorizzare il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 33/2021, rileva come si sia conseguentemente aperto un “vuoto normativo”, essendo venuti meno, con tale decisione, i “due assunti sui cui si basava il precedente delle Sezioni Unite” (che affermava la legittimità della “esclusione aprioristica del riconoscimento” della filiazione nei confronti del genitore intenzionale), e cioè “il bilanciamento a priori in via generale e astratta, compiuto implicitamente dal legislatore e basato sull’attribuzione al divieto penale della surrogazione di maternità di un valore prevalente” (il cd. limite dell’ordine pubblico) e la praticabilità per il genitore intenzionale della “via, alternativa alla delibazione della sentenza straniera o alla trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero”, della cd. adozione in casi particolari.

Il Giudice di legittimità non si è, comunque, limitato a prendere atto della necessità di un “intervento innovativo urgente” del legislatore.

Ha indicato, infatti, la doverosità per le Corti e, in primis, per le invocate Sezioni Unite di ricercare, nell’attesa di tale intervento, “una interpretazione idonea ad assicurare”, nella materia della maternità surrogata, “la protezione dei beni costituzionali in gioco”, come indicati nella sentenza n. 33/2021 della Corte Costituzionale.

E ritenuto “utile apportare il proprio contributo a questa ricerca”, sottoponendo alle Sezioni Unite la propria soluzione interpretativa, che parte da una “rivalutazione degli strumenti normativi esistenti (delibazione e trascrizione) per verificare se in questa materia e per effetto del divieto penale della surrogazione di maternità sussista un insuperabile ostacolo alla loro utilizzazione derivante dalla natura di ordine pubblico del divieto penale”.

A tal fine ha affermato che:

  • la delibazione di una sentenza non comporta il recepimento degli istituti così come disciplinati dagli ordinamenti di provenienza, bensì la mera produzione dei relativi effetti “nella misura in cui gli stessi risultino compatibili con la nozione di ordine pubblico”; con la conseguenza che, nel caso di specie, con la delibazione della sentenza canadese non si recepirebbe nel nostro ordinamento l’accordo di maternità surrogata, né “tanto meno la legittimità di una pratica procreativa che in Italia è sancita dal divieto penale”, quanto, piuttosto, “l’atto di assunzione di responsabilità genitoriale da parte del soggetto che ha deciso di essere coinvolto, prestando il suo consenso, nella decisione del suo partner di adire la tecnica di procreazione medicalmente assistita in questione. Un consenso che diviene irrevocabile nel momento in cui inizia il processo procreativo e ciò per un fondamentale principio di responsabilità che riguarda ogni forma di procreazione e che trova nella tutela dei diritti inviolabili del minore la sua ragione d’essere”, come affermato, del resto, dalla Corte Costituzionale. La delibazione della sentenza canadese renderebbe, semplicemente, efficace in Italia il riconoscimento del rapporto di filiazione già avvenuto nell’ordinamento in cui il minore è nato, per dare continuità al suo status e ai diritti che ne derivano nei confronti dei soggetti responsabili della sua nascita, evitando i gravi pregiudizi che deriverebbero dalla rimodulazione della sua identità e dalla eliminazione di una figura genitoriale;

  • le condizioni preliminari perché possa ipotizzarsi la compatibilità degli strumenti della delibazione e/o della trascrizione con i “valori sottesi al divieto di surrogazione e con l’aspirazione del nostro Stato a scoraggiare prassi elusive poste in essere dal cd. turismo procreativo” sono:

  1. la valutazione di coerenza all’ordine pubblico insito nella norma che sanziona il divieto di surrogazione deve essere compiuta non in astratto ma con riferimento ad ogni singolo caso concreto, sia pure alla luce di criteri che abbiano validità generale”;
  2. la valutazione sia guidata dal criterio della inerenza nell’individuazione dei valori costituzionali in potenziale condizione di conflitto e dai principi di proporzionalità e ragionevolezza nella formulazione del bilanciamento, cui deve pervenire il giudicante, senza che vi sia una aprioristica definizione di prevalenza di un interesse in gioco, neanche di quello del minore, sia pure non disattendo il principio ribadito dalla Corte Costituzionale della preminenza degli interessi del minore declinato nella direzione della costante ricerca della soluzione ottimale in concreto da privilegiare”.

Due sono, ad avviso della Cassazione, i valori degni di attenzione, nell’ambito del bilanciamento, e cioè “la dignità della donna coinvolta nel processo procreativo e la preservazione dell'istituto dell'adozione”.

Sotto il primo profilo, “non può non ritenersi che la donna, che accetta di portare a termine una gravidanza anche nella prospettiva di non diventare la madre del bambino che partorirà, è in una condizione di soggezione che può essere considerata non lesiva della sua dignità solo se sia il frutto di una scelta libera e consapevole, indipendente da contropartite economiche e se tale scelta sia revocabile sino alla nascita del bambino. Se queste condizioni non sussistono e non sono effettive nell'ordinamento del paese in cui avviene la procreazione mediante gestazione per altri la violazione della dignità della donna assume un rilievo talmente importante da consentire il rifiuto della delibazione (e della trascrizione) sempre però in un’ottica di valutazione, caso per caso, della soluzione che rispetti anche gli interessi del minore.

Al contrario se queste condizioni sono esistenti e sono state rispettate il bilanciamento basato sul diniego aprioristico di riconoscimento degli effetti della sentenza straniera (o dell'atto formato all'estero) assume una connotazione di non inerenza alla soluzione di un concreto e attuale conflitto perché inconferente rispetto all'esigenza di tutela della dignità donna cui l'ordinamento straniero ha riconosciuto una libertà di scelta su una decisione che coinvolge la sua sfera personalissima di autonomia decisionale”.

Sotto il profilo, invece, dell’interferenza lesiva delle tecniche di surrogazione di maternità sull’istituto dell’adozione, “la valutazione degli interessi costituzionalmente rilevanti non può che riferirsi, in primo luogo, alla tutela del minore da pratiche elusive e illegali intese a vanificare le norme che lo garantiscono, specificamente nei procedimenti di adozione internazionale, da qualsiasi forma di mercificazione”.

Con la conseguenza che, ad esempio, “deve ritenersi la non riconoscibilità in Italia degli effetti di una decisione giudiziaria che abbia sancito la filiazione derivante da surrogazione di maternità ma che sia stata ottenuta fraudolentemente in violazione delle leggi del paese che la consente da persone che non possono accedere alle procedure di adozione in Italia e intendono avvalersi delle tecniche di procreazione assistita mediante surrogazione di maternità senza rispettarne le condizioni legali di ammissione”.

Così come non è riconoscibile l'adozione che celi un accordo di maternità surrogata. Ma è anche da ritenere non riconoscibile una sentenza o un atto di nascita che accerti la filiazione in relazione a una surrogazione di maternità consentita dalla legge del paese in cui è avvenuta anche se i genitori intenzionali non hanno apportato alcun contributo genetico alla procreazione”, in quanto “una procreazione mediante surrogazione di maternità in cui non vi è stato alcun contributo genetico da parte dei genitori intenzionali si risolve in una vicenda pattizia che normalmente viene gestita da un intermediario per fini economici e che esclude in radice la partecipazione dei genitori intenzionali e della madre gestazionale a un progetto procreativo. Come tale implica nella normalità dei casi, e salva una verifica in concreto, una lesione della dignità della donna che assume l'obbligo della gestazione e un attentato all'istituto dell'adozione”.

La Corte di Cassazione ha, poi, precisato che, “per ciò che concerne la finalità dissuasiva perseguita legittimamente dallo Stato rispetto all'elusione del divieto di surrogazione di maternità da parte dei cittadini italiani che si recano all'estero per potere accedere a tale tecnica procreativa, laddove è consentita”, il bilanciamento di tale interesse con quello del minore “non può che avvenire in una logica di prevenzione e non di ritorsione, in danno del genitore di intenzione e soprattutto del minore, per una condotta che sarebbe illecita nel nostro paese ma della quale il minore è del tutto irresponsabile”.

E ciò coerentemente con l’“obiettivo di rispettare il principio, evidenziato con solennità nella sentenza n. 33 della Corte Costituzionale, secondo cui ogni soluzione che non dovesse offrire al bambino alcuna chance di un tale riconoscimento, sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice del suo interesse al riconoscimento, finirebbe per strumentalizzare la persona del minore in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata”.

Né per la Corte di Cassazione può sostenersi che “la soluzione del diniego generalizzato di riconoscimento del genitore intenzionale sia l'unica adottabile dal legislatore e dall'interprete”, essendo, anzi, auspicabile “una valutazione caso per caso”, che “consente di valutare la portata elusiva del comportamento dei richiedenti la delibazione

in una [duplice] logica di verifica concreta del conflitto con l'ordine pubblico internazionale”, nonché “della corrispondenza del riconoscimento all'interesse del minore che … è normalmente insito nella tutela stessa della sua vita privata e familiare”, da effettuarsi “attraverso la rappresentazione della vita familiare che si è già instaurata e del ruolo che entrambi i genitori hanno assunto secondo la chiara indicazione della Corte Costituzionale”.

Così delineate “le linee di un possibile controllo di corrispondenza della delibazione all’ordine pubblico internazionale”, la Corte di Cassazione ha, quindi, rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite dei seguenti quesiti:

Se cioè la sentenza della Corte Costituzionale n. 33/2021, accertando l'inidoneità del ricorso in questa materia all'adozione in casi particolari, L. n. 184 del 1983, ex art. 44, lett. d) abbia determinato il superamento del diritto vivente rappresentato dalla sentenza n. 12193/2019 delle Sezioni Unite.

Se la non attuazione del monito rivolto al legislatore dalla stessa sentenza n. 33/2021 abbia determinato di conseguenza un vuoto normativo.

Se, e come, sia superabile in via interpretativa tale situazione di vuoto normativo non potendosi più il giudice, sia ordinario che di legittimità, riferire al preesistente diritto vivente che, in base alla motivazione della sentenza della Corte Costituzionale, non è idoneo a impedire la lesione dei diritti fondamentali del minore a causa del generale mancato riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore d'intenzione e nello stesso tempo per l'inadeguatezza della soluzione offerta dall'istituto di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d).

Se una possibile interpretazione adeguatrice consentita alle Corti possa consistere nel configurare la valutazione del conflitto del riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione con l'ordine pubblico internazionale, spettante al giudice investito della richiesta di delibazione, come valutazione legata al singolo caso in esame, secondo criteri di inerenza, proporzionalità e ragionevolezza per come affermati dalla giurisprudenza costituzionale specificamente nell'ottica della ricerca della soluzione ottimale in concreto per l'interesse del minore.

Se in tale valutazione il giudice debba mettere a confronto, in concreto, l'interesse del minore a che vengano rispettati i suoi diritti fondamentali alla identità personale e alla vita familiare con la tutela della dignità della donna coinvolta nel processo procreativo mediante gestazione per altri, con la prevenzione di qualsiasi attentato che, sempre in concreto, possa derivare dal riconoscimento all'istituto dell'adozione, con la legittima aspirazione dello Stato a scoraggiare pratiche elusive del divieto di surrogazione di maternità.

Se i criteri generali indicati nella motivazione della presente ordinanza (adesione libera consapevole e non determinata da necessità economiche da parte della donna alla gestazione, revocabilità del consenso alla rinuncia all'instaurazione del rapporto di filiazione sino alla nascita del bambino; necessità di un apporto genetico alla pro-creazione da parte di uno dei due genitori intenzionali; valutazione in concreto degli effetti dell'eventuale diniego del riconoscimento sugli interessi in conflitto), eventualmente in aggiunta o combinazione con altri criteri generali, debbano o possano assumere il ruolo di una direttiva nell'interpretazione cui debba attenersi il giudice del merito.

Se infine derivi anche dal diritto dell'Unione Europea un limite alla possibilità di non riconoscere lo status filiationis acquisito all'estero da un minore cittadino italiano nato da gestazione per altri legalmente praticata nello Stato di nascita nella misura in cui tale disconoscimento comporti la perdita dello status e limiti la sua libertà di circolazione e di esplicazione dei suoi legami familiari nel territorio dell'Unione”.

Non resta che attendere l’ulteriore pronuncia delle Sezioni Unite e/o, a fortiori, l’intervento del legislatore.

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