Ipotesi di automatico riconoscimento delle adozioni straniere

23 FEBBRAIO 2022 | Adozione | Persone e processo

avv. Rebecca Gelli

Il Tribunale per i Minorenni di Venezia ha respinto il ricorso promosso da una coppia di coniugi residenti all’estero, rigettando la richiesta di riconoscimento in Italia di una sentenza di adozione straniera, emessa in Malawi e già ratificata in Brasile, volta ad ottenere la trascrizione dei provvedimenti nei registri dello stato civile, ai fini dell’acquisizione della cittadinanza italiana del minore, in quanto figlio di padre italo-brasiliano.

Preliminarmente, il provvedimento richiama il distinguo tra adozione internazionale, applicabile, ai fini della instaurazione di un nuovo legame familiare, ai sensi degli artt. 29 e seguenti della legge n. 184/1983, e adozione estera, automaticamente riconosciuta nell’ordinamento, attraverso gli artt. 64, 65, 66 della legge n. 218/1995.

La distinzione tra tali fattispecie non è una mera questione nominalistica, ma postula marcate differenze sotto il profilo degli esiti applicativi, sia dal punto di vista soggettivo, in ordine alla distribuzione della competenza giudiziaria, sia dal punto di vista oggettivo, in ordine alla penetranza del controllo che viene devoluto all’organo giurisdizionale.

Nel primo caso, infatti, la decisione spetta al Tribunale per i Minorenni, il quale deve verificare l’esatta ricorrenza dei presupposti sostanziali e processuali che regolano l’adozione internazionale in Italia.

Nel secondo caso, provvede la Corte d’Appello che, in caso di contestazione, è chiamata ad accertare che non venga in rilievo un contrasto tra il provvedimento di adozione straniero e i principi di ordine pubblico internazionale.

Com’è noto, l’art. 41 della legge n. 218/1995 dispone che: “I provvedimenti stranieri in materia di adozione sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66”, salvo poi precisare che: “Restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori”.

Si pone così un problema di coordinamento tra i due commi: questione che la giurisprudenza ha risolto, dando, nel tempo, soluzioni interpretative opposte, con un significativo ribaltamento di prospettive, in direzione di una progressiva dismissione della sovranità nazionale, a beneficio di una maggiore apertura dell’ordinamento verso le contaminazioni esterne.

Secondo un’opinione più risalente, oggi definitivamente superata, il principio di riconoscimento automatico di cui alla legge n. 218/1995 andava circoscritto alle sole ipotesi di adozione di maggiorenni, mentre tutte le adozioni di minori in Italia restavano disciplinate dalla legge n. 184/1983 (Cass., 22 settembre 2017, n. 22220).

Secondo un altro orientamento, invocato dai ricorrenti, l’operatività del principio di riconoscimento automatico andrebbe estesa anche alle ipotesi di adozione di minore straniero che non presentino alcun collegamento con l’ordinamento italiano, perché entrambi i genitori sono stranieri e residenti all’estero (Cass., 2 luglio 2018, n. 17295).

Secondo un più recente indirizzo, fatto proprio dalla pronuncia annotata, le norme della legge n. 218/1995 trovano, invece, applicazione generalizzata, salvo nell’ipotesi in cui gli aspiranti genitori siano entrambi cittadini italiani o residenti in Italia: nel qual caso vale, infatti, la legge n. 184/1983 (Cass., 31 maggio 2018, n. 14007, Cass., S.U., 31 marzo 2021, n. 9006, entrambe in tema di stepchild adoptions da parte di coppie omosessuali).

In estrema sintesi, dunque, se nessuno o uno solo dei genitori è italiano o residente in Italia valgono i meccanismi automatici di cui agli artt. 64, 65, 66 della legge n. 218/1995, mentre, se entrambi i genitori sono italiani o residenti in Italia, si applicano gli aggravi procedimentali di cui agli artt. 29 e seguenti della legge n. 184/1983.

Tale interpretazione sarebbe confermata anche dal tenore letterale dell’art. 36, 4° comma, della legge n. 184/1983, a mente del quale: “L'adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione”.

Nel prevedere una procedura di adozione semplificata, modellata su un meccanismo di riconoscimento, ancorché non automatico, da parte del Tribunale per i Minorenni, tale norma riserva, infatti, tale beneficio a favore di coloro che non abbiano programmato un trasferimento fittizio, al solo fine di eludere la disciplina vincolistica dell’adozione, declinando però il soggetto cittadini italiani al plurale, anziché al singolare.

Dunque, con particolare riguardo al caso di specie, il decreto ha, anzitutto, escluso l’applicabilità della legge n. 184/1983, per carenza di legittimazione attiva, rilevando che mancasse il requisito della comune cittadinanza italiana dei coniugi, essendo la madre di origine brasiliana.

In secondo luogo, il Collegio ha ravvisato una mancanza dei presupposti per invocare il riconoscimento, ai sensi dell’art. 36, 4° comma, della medesima legge, in quanto i coniugi non avevano alcun collegamento col Paese in cui era stata pronunciata la sentenza di adozione, non avendo mai vissuto in Malawi.

Da ultimo, il Tribunale per i Minorenni ha osservato che non era stato allegato alcun rifiuto alla trascrizione da parte dell’ufficiale di stato civile italiano, rilevando così la mancanza di interesse ad agire in capo ai ricorrenti e

concludendo, in via di obiter dictum, che, in assenza di contestazioni, la sentenza straniera fosse però direttamente efficace ope legis nell’ordinamento, senza la necessaria intermediazione di un provvedimento di delibazione, peraltro, di competenza della Corte d’Appello.

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