Parto anonimo e diritto alla conoscenza delle proprie origini: oltre i dati della madre biologica sono conoscibili quelli di eventuali fratelli o sorelle?

12 SETTEMBRE 2022 | Parto anonimo

di Avv. Barbara Carnio

IL CASO. Il ricorrente, nato da donna che al momento del parto aveva dichiarato di non voler essere nominata nell’atto di nascita, ha chiesto al Tribunale per i minorenni di Potenza di essere autorizzato ad accedere alle informazioni riguardanti l’identità della madre biologica (previo interpello della stessa), nonché all’identità di eventuali fratelli o sorelle.

Dalle indagini svolte risultava che la madre era deceduta nel 2016 e, pertanto, non poteva essere interpellata.

La decisione in commento risulta di interesse perché ripercorre l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto, dando atto della sussistenza di diversi orientamenti tra giurisprudenza di legittimità e giurisprudenza di merito.

Evidenzia, anzitutto, come il diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche e delle circostanze della propria vita abbia goduto di un riconoscimento sempre più ampio a livello nazionale e sovranazionale.

Nel diritto interno, la Corte Costituzionale con Sentenza n. 278 del 22.11.2013 ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 28 della legge sull’adozione dei minori (n. 183/1984) nella parte in cui non prevedeva la possibilità per il giudice di interpellare, con riservatezza, la madre non nominata nell’atto di nascita, per l’eventuale assunzione di rapporti personali e non giuridici con il figlio.

È ciò sul presupposto della irragionevolezza della normativa che rendeva di fatto irreversibile l’anonimato della madre biologica. Di qui il riconoscimento del diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini, prevedendo la possibilità di un interpello della madre biologica da svolgere all’interno di un procedimento caratterizzato dalle massime garanzie di riservatezza.

La Corte Costituzionale giungeva a questa conclusione all’esito del c.d. “bilanciamento” tra il diritto della madre all’anonimato (fondato “sull’esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni, personali, ambientali, culturali, sociali, tale da generare l’emergenza di pericoli per la salute psico-fisica o la stessa incolumità di entrambi”), e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale (per il “bisogno di conoscenza rappresentata da uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale”).

Successivamente la Cassazione, in attesa dell’intervento del legislatore per l’adeguamento della normativa alla pronuncia della Corte Costituzionale, è intervenuta con una serie di decisioni che hanno cercato di definire i limiti oggettivi del diritto.

Con Sentenza n. 1946/2017 la Corte ha affermato la possibilità per il giudice - su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini - di interpellare la madre (che al momento del parto aveva reso la dichiarazione di non voler essere nominata nell’atto di nascita) con modalità idonee a garantirne la massima riservatezza e tutela della dignità personale: se quindi, dopo l’interpello, persisteva il diniego della madre a svelare la propria identità, la richiesta del figlio non poteva trovare accoglimento.

Inoltre, per la Corte “il diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini deve essere garantito anche nel caso in cui non sia più possibile procedere all’interpello della madre naturale …. a condizione che i dati personali della defunta siano trattati lecitamente ed in modo tale da non arrecare un danno all’immagine, alla reputazione o ad altri beni di primario rilievo costituzionale, ad eventuali terzi interessati” (cfr. Cass. n. 22838/2016; Cass, n. 15024/2016).

L’esigenza è, infatti, quella di tutelare l’identità sociale che la madre biologica (deceduta) si era costruita in vita in relazione al nucleo familiare e/o relazionale dalla stessa eventualmente formato dopo aver esercitato il diritto all’anonimato.

In particolare per la Cassazione “non è il diritto in sé della madre all’anonimato che viene garantito, ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza e partorire senza assumere le conseguenze sociali e giuridiche di tale scelta”.

Con la Sentenza n. 6963 del 2018, la Corte ha poi esteso il diritto di accesso dell’adottato, riconoscendo la possibilità di ottenere (anche) informazioni concernenti l’identità di eventuali sorelle o fratelli biologici adulti, previo loro interpello da attuarsi sempre mediante un procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della loro dignità.

Con una differenza rispetto alla madre biologica: per fratelli e sorelle l’interpello è sempre necessario. E qualora non sia possibile procedervi (per avvenuto decesso o altro) non potrà essere consentito l’accesso.

Non tutta la giurisprudenza di merito si è, tuttavia, adeguata alla progressiva estensione oggettiva del diritto di accesso dell’adottato attuata in via pretoria dalla Corte di legittimità.

Il Tribunale per i minorenni di Potenza, nella decisione in commento, dà atto dell’esistenza di tale orientamento più restrittivo, per il quale non sarebbe accoglibile l’istanza di autorizzazione all’accesso delle informazioni circa la propria origine e all’identità della madre biologica (che abbia optato per l’anonimato) in caso di morte della stessa, “se risulti che una donna deceduta abbia avuto altri figli, non essendo desumibile il dato se essi siano a conoscenza della vicenda adottiva, e non potendosi procedere all’interpello degli stessi al fine di apprendere la conoscenza o meno di tale vicenda, perché ciò comporterebbe inevitabilmente la comunicazione di tale dato particolarmente sensibile” (cfr. Trib. Min. Genova 28 novembre 2019).

E tuttavia non concorda con lo stesso, “in quanto attribuisce, in caso di morte della madre anonima, un’impropria subvalenza rispetto alla tutela del diritto all’identità personale”, in contrasto con il principio affermato dalla Cassazione secondo il quale “il suo diritto all’oblio diviene recessivo rispetto al diritto all’identità personale dell’adottato richiedente”.

Precisa il Tribunale che la posizione soggettiva dei congiunti (della madre anonima) non troverebbe specifica tutela nella disciplina dell’art. 28 L. 184/1983 (come modificato dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 278/2013 e secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità richiamata).

Ma nella disciplina generale sul trattamento dei dati personali che, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento UE n. 679/2016, devono essere trattati in modo lecito, corretto e trasparente nei confronti dell’interessato. Ne consegue che l’accesso ai dati identificativi della madre anonima deve, in ogni caso, avvenire “senza pregiudizio dei terzi eventualmente coinvolti i quali possono legittimamente vantare un diritto ad essere lasciati soli, ovvero all’oblio e, diversamente, a reclamare che l’accesso avvenga senza cagionare pregiudizio” (cfr. Cass. 3004/2018).

Il Tribunale per i minorenni di Potenza sottolinea, peraltro, come dalla prassi giurisprudenziale emerga che spesso le madri anonime interpellate hanno negato il consenso alla rivelazione della propria identitàper salvaguardare da tale rivelazione i propri congiunti, i quali ignorano l’esistenza del figlio non riconosciuto”.

Ha, quindi, accolto la domanda del ricorrente solo con riferimento ai dati della madre biologica precisando che nessuna ricerca (e nessuna informazione) potrà, invece, essere effettuata (o fornita) in relazione ad eventuali fratelli o sorelle biologiche.

Oltre a puntualizzare che “l’utilizzo delle informazioni relative all’identità della madre biologica non può eccedere la finalità per la quale tali informazioni vengono fornite e delle stesse deve dunque essere fatto un uso corretto e lecito (art. 11 lett. a D. Lgs. n. 196/2003) e senza cagionare danno, anche non patrimoniale, all’immagine, alla reputazione e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari)”.

Di qui l’avvertimento all’istante: “non dovrà cercare di mettersi in contatto con i parenti, potendo altrimenti incorrere nei rimedi risarcitori e sanzionatori previsti dalla legge per la violazione della tutela dei diritti dei terzi”.

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