L’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c. non richiede l’accertamento dello status di figlio del soggetto che ne fa richiesta

02 MARZO 2023 | Successioni e donazioni

di avv. Alessandra Buzzavo

Nella sentenza 26.10.2022 n. 31672 la Corte di legittimità chiarisce i presupposti di applicabilità del disposto di cui all’art. 580 c.c. ed il suo raccordo con la norma di cui all’art. 279 c.c. ivi richiamata.

IL CASO. La Corte d’Appello di Firenze ha confermato la sentenza non definitiva del Tribunale di Pisa con la quale era stata accolta la domanda proposta da Tizio per ottenere l’assegno vitalizio ai sensi dell’art. 580 cod. civ. in qualità di assunto figlio naturale di Sempronio, deceduto.

La Corte di merito, nel confermare la sentenza del Tribunale, ha affermato che:

a) la prova dello status di figlio nato fuori dal matrimonio è ricavabile anche da seri e concorrenti elementi indiziari, quali il trattamento del figlio come tale da parte del preteso padre e dalla notorietà della manifestazione esterna di tale relazione;

b) la prova della exceptio plurium concubentium, che gravava sulla parte convenuta poi appellante, non era stata fornita in modo convincente né con le prove testimoniali né con la documentazione prodotta;

c) le prove testimoniali dedotte dall’attore avevano permesso di accertare che il preteso padre aveva più volte affermato di essere il padre di Tizio cosicché la filiazione era notoria anche nell’ambito familiare.

Per quanto qui interessa la Corte di legittimità è stata investita di ricorso che riguardava, tra i vari motivi, anche la questione del rapporto tra accertamento di paternità e titolo di stato di filiazione, ai fini del riconoscimento dell’assegno vitalizio ai sensi dell’art. 580 c.c..

Con il regime dettato dal D. Lgs. n. 154/2013 applicabile, ex art. 104 stesso D. Lgs., retroattivamente ai rapporti di filiazione in essere, salvi gli effetti del giudicato formatosi prima dell’entrata in vigore della legge delega n. 219/2012, il legislatore ha introdotto il fondamentale principio dell’unicità dello stato di figlio, rimanendo, nel contempo, fermo l’altro principio secondo il quale la formazione di un titolo è sempre necessaria perché possa propriamente parlarsi di tale stato, mentre la disposizione dell’art. 580 cod. civ. è rimasta sostanzialmente invariata, stante il semplice adeguamento lessicale costituito dalla locuzione “figli nati fuori dal matrimonio” in luogo di quella “figli naturali”.

La Corte quindi, dato per pacifico che il figlio non è mai impossibilitato neppure all’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità che è divenuta per il figlio imprescrittibile, si è posta il problema del raccordo interpretativo tra la disciplina dettata dall’art. 580 c.c., in combinato disposto con l’art. 279 c.c., ed i principi sopra enunciati.

Gli Ermellini hanno evidenziato che con la riforma del 2013 è rimasto sostanzialmente invariato anche il disposto dell’art. 253 c.c. stante la sola eliminazione delle parole “legittimo o legittimato”: tale norma prevede che è vietato il riconoscimento del figlio già riconosciuto da altro soggetto, ferma restando l’imprescrittibilità del diritto di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità da parte del figlio.

Da quanto sopra la Cassazione ha quindi dato atto che Tizio è figlio “non riconoscibile” in forza del divieto di cui all’art. 253 c.c. in quanto egli, nato prima del matrimonio tra la madre e Caio, che lo aveva riconosciuto dopo suddetto matrimonio, è erede di quest’ultimo in forza di un titolo di filiazione tuttora in essere e valido. Allo stesso tempo, Tizio rivendica la paternità naturale di Sempronio come mero fatto procreativo che rileva solo a fini patrimoniali ovvero dell’assegnazione dell’assegno vitalizio ex art. 580 c.c..

La Corte di legittimità ha quindi ben precisato che

va compresa qual è la corretta interpretazione degli artt. 580 e 279 c.c. per stabile se possa ricomprendersi nell’ambito di applicazione dell’art. 580 c.c. anche il caso in cui il figlio non si attivi per rimuovere lo stato di “figlio altrui” che gli impedisce di conseguire quello corrispondente alla verità biologica nei confronti del preteso padre defunto in relazione al quale rivendica il diritto patrimoniale successorio, in forza di una situazione soggettiva di “figlio non riconoscibile”.

E ha affermato che il fatto procreativo non determina automaticamente la costituzione del rapporto giuridico di filiazione e la relativa attribuzione con efficacia erga omnes dello status. Il fatto procreativo in sé può assumere, infatti, una ben minore valenza, diversa sia per natura sia per conseguenze giuridiche, poiché può determinare solo il sorgere di una responsabilità patrimoniale limitata del genitore senza che avvenga la costituzione dello status, come si verifica nell’ipotesi prevista dalla legge in via derogatoria ed eccezionale di accertamento c.d. indiretto della paternità nel cui ambito si inquadra la fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c..

La ratio di questa norma è quella di assicurare, in via eccezionale, una tutela patrimoniale successoria sui generis, ossia un diritto di credito nei confronti dell’eredità del genitore biologico senza attribuzione né della qualità di erede né dello status di figlio ai soggetti sprovvisti di un titolo di stato di filiazione nei confronti del de cuius.

Pertanto in questa ipotesi il fatto procreativo determina solo il sorgere di un rapporto obbligatorio ex lege a limitati fini patrimoniali.

Ha concluso quindi la Corte di Cassazione che nel novero della categoria dei figli “non riconoscibili” debbano farsi rientrare anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione per scelta consapevole, non lo hanno impugnato o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità.

Non osta a tale linea interpretativa il principio dell’unicità dello stato di figlio posto che la peculiare tutela successoria, di cui si sta discutendo, attribuisce solo un diritto di credito verso l’eredità del genitore biologico e non lo stato di figlio né quello di erede cosicché rimane un unico stato ovvero quello preesistente e mai rimosso, seppur non corrispondente alla procreazione biologica.

Non può quindi negarsi al figlio la possibilità di scegliere tra la minore tutela accessoria di cui all’art. 580 c.c., non subordinata alla previa rimozione dello status di figlio altrui, e quella piena che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertata la filiazione biologica. Solo attribuendo questa scelta al figlio gli si consente di operare un bilanciamento dipendente da sue valutazioni soggettive e personali correlate a più diritti meritevoli di tutela, ossia solo in tal modo si consente al soggetto di decidere di preservare lo status di identità familiare con il genitore sociale in forza di un legale affettivo verosimilmente consolidatosi in maniera continuativa per anni, senza dover rinunciare ad ottenere quanto dovuto dal genitore biologico per limitati diritti patrimoniali  successori previsti dalla legge.

La Corte ha pertanto pronunciato il seguente principio di diritto ex art. 384 c.p.c.:

il diritto all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., che sorge “ex lege” per responsabilità patrimoniale del genitore biologico avente fonte nel fatto procreativo, spetta anche al figlio che abbia già il diverso “status” di figlio altrui e nel novero dei figli “non riconoscibili” devono comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, non potendo negarsi al figlio, pena la violazione degli artt. 2 e 30 cost. e 8 CEDU, la possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., conservando la stabilità della sua identità familiare precedente, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione biologica”.

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