La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Il monitoraggio del GREVIO.

di avv. Rebecca Gelli

La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza, approvata dal Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011, è stata aperta alla firma a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia il 10 settembre 2013: ad oggi, il trattato conta la ratifica di trentasei Paesi, avendo recentemente raccolto anche l’adesione dell’Ucraina.

Definita dalle Nazioni Unite come il gold standard della legislazione sulla violenza di genere, si tratta di una disciplina di rango sovraordinato che, nella giurisprudenza delle Corti nostrane ed internazionali, rappresenta, nello stesso tempo, criterio di interpretazione costituzionalmente adeguata e parametro interposto di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 117 Cost. (sul punto, Cass. S.U., 17 novembre 2021, n. 35110; Cass., S.U., 29 gennaio 2016, n. 10959; Corte EDU, 4 agosto 2020, n. 48756/14, Tershana v. Albania; Corte EDU, 14 maggio 2020 n. 30373/13, Mraovic v. Croatia; Corte EDU, n. 49089/10, 19 marzo 2019, E.B. v. Romania).

Il trattato ha l’obiettivo di proteggere le donne, prevenendo ogni forma di violenza e contribuendo ad eliminare ogni forma di discriminazione tra i sessi.

Gli Stati contraenti guardano, infatti, con allarme a tutte le forme di aggressione fisica e morale cui le donne sono esposte, riconoscendo che si tratta di un odioso meccanismo, basato su un rapporto di prevaricazione tra i sessi, per mezzo del quale le donne, per motivi storici e culturali, sono tradizionalmente costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

La violenza rappresenta, quindi, un fenomeno esecrabile non solo sotto il profilo giuridico, perché la lesione dell’integrità personale e morale della vittima integra una condotta penalmente rilevante, ma anche sotto il profilo sociale, perché ostacola la pari dignità tra i sessi, perpetrando le discriminazioni ed impedendo l’emancipazione femminile.

La Convenzione pone, dunque, l’accento sulla necessità di affrontare il problema alla radice: in quest’ottica, il perseguimento dell’uguaglianza di genere ed il rafforzamento dell’autonomia e dell’autodeterminazione delle donne rappresentano il fine della Convenzione e, contemporaneamente, il mezzo attraverso il quale essa cerca di prevenire e combattere la violenza stessa. 

Nel concetto di violenza contro le donne, sono, in tal senso, ricompresi tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria delle libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata. 

Per violenza domestica, si intendono, invece, gli atti di violenza che si verificano all’interno del nucleo familiare, o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dalla residenza.

Dal punto di vista strutturale, l’atto si compone di ottantuno articoli, suddivisi in dodici capitoli.

Il primo capitolo contiene le norme definitorie, determina il campo di applicazione e chiarisce gli obiettivi, i principi e gli obblighi generali della Convenzione.

Il secondo capitolo stabilisce l’obbligo degli Stati di stanziare risorse, finanziarie e umane, appropriate, per un’adeguata attuazione di politiche integrate necessarie a combattere ogni forma di violenza: e ciò sia istituendo appositi organismi ufficiali di coordinamento, sia incoraggiando il lavoro delle organizzazioni non governative e sostenendo la raccolta dei dati statistici e la ricerca su tutte le forme di violenza.

Il terzo capitolo individua gli obblighi generali degli Stati, con particolare riferimento ai programmi di prevenzione e alle campagne di sensibilizzazione atte a promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, funzionali ad eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea di inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli maschili e femminili, a partire dall’educazione in età scolare, fino alla formazione professionale.

Il quarto capitolo individua gli obblighi generali degli Stati, con particolare riferimento alle misure di sostegno alle vittime, volte a promuovere una maggiore e più diffusa consapevolezza del fenomeno della violenza di genere e ad evitare effetti di vittimizzazione secondaria, attraverso diversi interventi: dall’istituzione di canali di informazione per incoraggiare la segnalazione e la denuncia delle violenze, alla creazione di rifugi per l’alloggio sicuro delle vittime, fino all’organizzazione di servizi di sostegno psicologico e consulenza medico-legale.

Il quinto capitolo contiene norme di diritto sostanziale, sia di diritto civile, compreso il diritto di famiglia, sia di diritto penale.

Sotto il primo profilo, la Convenzione sancisce l’obbligo degli Stati di adottare le misure necessarie ad assicurare il diritto delle vittime ad accedere ad adeguati risarcimenti: non solo nei confronti degli autori del reato, ma, se il danno è grave e la riparazione non è altrimenti garantita ovvero se le autorità abbiano mancato al loro dovere di adottare le necessarie misure di prevenzione o protezione, anche da parte dello Stato.

Sotto il secondo profilo, il trattato elenca le fattispecie sostanziali più rilevanti e frequenti nella pratica, stabilendo i comportamenti intenzionali che devono essere penalizzati e/o perseguiti penalmente dall’ordinamento (minaccia psicologica, molestie, atti persecutori, violenza fisica, violenza sessuale, stupro, matrimoni aborti e sterilizzazioni forzate, mutilazioni genitali femminili). 

Gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione devono, inoltre, essere presi in considerazione nelle decisioni relative ai diritti di custodia e visita dei figli; così come devono essere garantiti gli strumenti giuridici per invalidare, annullare o sciogliere i matrimoni contratti con la forza, senza oneri finanziari o amministrativi eccessivi per le vittime.

Il sesto capitolo contiene le norme relative ai processi penali afferenti a reati che implicano una violenza di genere, specificando che le indagini devono essere avviate senza indugio, prendendo in considerazione i diritti delle vittime, in tutte le fasi del procedimento, in modo da evitare il rischio di reiterazione, assicurando, nel contempo, i diritti delle vittime alla protezione, all’assistenza, alla riservatezza, all’informazione e all’ascolto.

I capitoli settimo e ottavo analizzano i profili di diritto internazionale, con particolare riguardo alle richieste di asilo e agli obblighi di cooperazione tra Stati.

Il nono capitolo disciplina l’istituzione e le modalità di organizzazione e funzionamento del Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (alias “GREVIO”): organismo indipendente di controllo dei diritti umani, composto di quindici membri, eletti tra i cittadini dei diversi Stati firmatari, incaricato di monitorare lo stato di attuazione della Convenzione, attraverso una procedura di valutazione sul livello di conformità della legislazione e della prassi dei singoli Paesi.

I capitoli decimo e undicesimo dettano le disposizioni transitorie e finali, relative al deposito, all’entrata in vigore e alla firma del trattato.

Con particolare riguardo alle procedure di monitoraggio, il trattato prevede che gli Stati presentino un rapporto periodico, rispondendo al questionario all’uopo predisposto dal GREVIO, per ogni ciclo di valutazione.   

All’esito della disamina, in contraddittorio con le parti interessate, il GREVIO formula le proprie conclusioni in ordine allo stato di applicazione della normativa, pubblicando un rapporto sulla base del quale il Comitato può adottare le raccomandazioni che mirano a promuovere la cooperazione e/o indicano le misure da intraprendere (si veda, a tal proposito la Raccomandazione n. 1 sulla dimensione digitale della violenza contro le donne, adottata lo scorso 20 ottobre 2021, che sottolinea l’ingravescenza del fenomeno della violenza commessa con l’ausilio della tecnologia, attraverso dispositivi informatici).

In caso di gravi e reiterate violazioni della Convenzione, il GREVIO può, inoltre, sollecitare la presentazione di un rapporto speciale urgente, chiedendo riscontro sulle misure di cui lo Stato si è dotato, per prevenire le forme di violenza.

Con particolare riferimento all’applicazione del trattato nel nostro Paese, si tenga conto che il primo “Rapporto di valutazione di base Italia” risale allo scorso 13 gennaio 2020.

Nella sua relazione, il Gruppo ha espresso una valutazione positiva nei confronti della legislazione italiana che ha progressivamente implementato l’ordinamento con nuovi strumenti atti a prevenire e combattere la violenza sulle donne: sia con il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, che ha introdotto l’art. 612 bis cod. pen., relativo al reato di atti persecutori (cd. “stalking”), sia con la legge del 15 ottobre 2013, n. 119, che ha introdotto, tra l’altro, l’art. 612 ter cod. pen., relativo al reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (cd. “revenge porn”), rafforzando la prevenzione e la repressione della violenza contro le donne (cd. “femminicidio”), sia con legge 19 giugno 2019, n. 69, che reca modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, nell’ottica di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere (cd. “codice rosso”).

Le raccomandazioni formulate riguardano, dunque, perlopiù esortazioni a porre rimedio, in un futuro più o meno prossimo, a parziali carenze dell’impianto normativo, in vista di uno stato di attuazione completo della Convenzione: ad esempio, introducendo una norma volta a sanzionare specificamente le molestie sessuali o modificando la disciplina del reato di violenza sessuale, affinché sia basato sulla nozione di consenso prestato liberamente.

Il Gruppo ha espresso, invece, una certa apprensione rispetto ad alcune prassi applicative invalse nelle aule dei Tribunali, che, pur in presenza di strumenti legislativi astrattamente adeguati, rischiano di creare effetti di vittimizzazione secondaria, a causa di una risposta non adeguata delle istituzioni: le quali, a quanto consta, non sempre incoraggiano l’emersione della violenza e/o talora ne sottovalutano le implicazioni.

Il rapporto, in particolare, evidenzia alcuni effetti distorsivi correlati all’assenza di canali di comunicazione efficaci tra giurisdizioni civili e penali, nonché a un difetto di coordinamento tra i diversi segmenti dell’ordinamento che, da una parte, reprime la violenza domestica, sanzionandola penalmente, dall’altra, contraddittoriamente, ne ignora le implicazioni nei procedimenti giusfamiliari sulla potestà sui figli.

In particolare, secondo il Grevio, in seguito alla legge 8 febbraio 2006, n. 56, i tribunali civili italiani sarebbero troppo inclini al principio dell’affidamento condiviso: soluzione privilegiata, nei giudizi di separazione e divorzio, adottata, talora in maniera acritica, nel 90% dei casi.

I magistrati civili tenderebbero, inoltre, ad appiattirsi troppo sulle conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio e/o dei servizi sociali che spesso assimilano gli episodi di violenza a situazioni di conflitto e dissociano le considerazioni relative al rapporto tra la vittima e l’autore di violenza da quelle riguardanti il rapporto tra il genitore violento e il bambino.   

Inoltre, le denunce di abuso da parte del partner sono spesso rigettate sulla base di motivazioni dubbie, basate sulla discussa teoria della “sindrome da alienazione parentale”, che etichetta le madri vittime di violenza come genitori non collaborativi e le incolpando della riluttanza dei figli ad incontrare il padre.

Sul punto, all’esito di una capillare disamina dei casi giurisprudenziali, si è espressa anche la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, istituita con deliberazione del Senato del 16 ottobre 2018, sia nel “Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziari” del 17 giugno 2021 (doc. XXII bis n. 4), sia nella “Relazione sulla vittimizzazione secondaria a carico delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale” dell’11 maggio 2022 (doc. XXII bis n. 10) (per un più approfondito commento si rinvia a Mocellin, La Commissione parlamentare sul femminicidio e il rapporto GREVIO: il sistema giudiziario italiano nei casi di violenza domestica e familiare è gravemente inadeguato, su avvocatipersonefamiglie.it, 8 giugno 2022).

Nel primo documento, la Commissione ha riscontrato alcune criticità nei rapporti tra procedimento civile e penale, dando atto che, qualora, nelle cause di separazione giudiziale, di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio e sui provvedimenti riguardo ai figli emergano situazioni di violenza domestica, solo nella metà dei tribunali viene sempre informato il pubblico ministero, ai fini dell’eventuale intervento, mentre meno di un terzo dei tribunali acquisiscono d’ufficio gli atti e i provvedimenti dell’eventuale procedimento penale già pendente tra le parti.   

Nel secondo documento, la Commissione, riferendosi ad alcuni provvedimenti standardizzati, assunti in asserita osservanza del principio di bigenitorialità, sulla scorta di frettolose valutazioni in punto di fatto ovvero di consulenze tecniche basate su teorie pseudo-scientifiche, ha osservato che: “Uno stesso ordinamento non può tollerare che da una parte l’autore di violenze venga indagato e condannato per le condotte commesse e dall’altra venga considerato un genitore adeguato al pari di quello violenze abbia subito, senza che gli agiti violenti, nei procedimenti civili e minorili vengano accertati e abbiano dirette conseguenze sulla gestione della genitorialità”.

Alla luce di tali considerazioni, la Commissione ha, dunque, condiviso la raccomandazione del Grevio che sollecitava le autorità italiane ad un’azione immediata per garantire che i tribunali competenti abbiano il dovere di esaminare tutte le problematiche legate alla violenza contro le donne, nel momento in cui provvedono sui diritti di affidamento e di visita dei figli.

La preoccupazione permane anche nell’ultimo Rapporto generale sulle attività del GREVIO, pubblicato lo scorso 14 giugno 2022, dove si sottolinea che, in diversi Paesi, tra cui l’Italia, spesso, nei processi civili, si minimizza l’aspetto della violenza domestica e si dà la preminenza al rischio di alienazione genitoriale e all’esigenza che il figlio mantenga i contatti con entrambi i genitore, senza nemmeno approntare idonee forme di garanzia o supervisione durante gli incontri con il genitore violento.

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