L’inclusione dei “diversi” nella scuola

di avv. Barbara Bottecchia

 

Nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri

(Oscar Wilde)

I principi di eguaglianza davanti alla legge, di partecipazione piena e di pari dignità, sanciti ed evidenziati nell’art. 3 della Costituzione italiana sono alla base del vivere in una comunità. Tale articolo è preceduto dall’art. 2 nel quale la Repubblica si obbliga a riconoscere e a garantire i diritti inviolabili dell’uomo, oltre che come singolo anche nelle formazioni sociali ove il singolo stesso manifesta la propria personalità.

Queste norme, che a noi sembrano ovvie e scontate, sono invece la risposta della Repubblica Italiana al ventennio fascista, nel quale questi diritti per alcuni cittadini erano stati annientati: un periodo storico in cui, in Italia, furono emanate delle leggi dapprima anti-ebraiche e poi proprio razziali (in quanto estese alle colonie) che colpirono in particolare la popolazione ebraica e gli stranieri. Ne furono vittime anche i giovani ebrei, fino a quel momento, nella maggior parte dei casi, studenti nelle scuole statali.

Il primo violento trauma che i bambini e gli adolescenti ebrei dovettero affrontare nel 1938 fu proprio quello dell’estromissione dalla scuola statale (la legislazione fascista superò in questo campo quella nazista che a quell’epoca non aveva ancora preso un tale provvedimento); un trauma psicologico e sociale vissuto in modo diverso e proporzionale all’integrazione o assimilazione del singolo studente alla società dominante.

Com’è noto, però, proprio a causa della legislazione razziale, la minoranza ebraica riuscì a sviluppare una scuola diversa e opposta a quella di regime: una scuola che venne approntata in soli due mesi, dal settembre al novembre del 1938, e che, nel 1943, fu bruscamente interrotta, ma la cui esperienza ha una valenza positiva perché capace di utilizzare strategie educative e formative in grado, anche in quei tempi così bui, di rafforzare identità definite ma, nel medesimo tempo,  dinamiche e resilienti.

 

La scuola deve anche oggi affermarsi come guida per arginare le pressioni che possono provenire non solo da possibili poteri autoritari, ma anche da società complesse che possono offrire modelli di comportamento tendenti all’omologazione e all’assimilazione. La formazione di identità sicure, consapevoli della ricchezza delle proprie origini culturali o comunque degli aspetti diversi delle proprie identità, e un percorso di rafforzamento sono probabilmente la risposta più efficace a questa diffusa minaccia di perdita della capacità critica personale.

Ecco perché la scuola ha un ruolo fondamentale nell’attuazione dell’art. 3 della Costituzione, potendo o meglio dovendo educare al rispetto, lavorando innanzitutto sulla conoscenza reciproca, sulla condivisione di saperi, di tradizioni, di riti, sul rispetto di calendari di festività e di regole alimentari diverse.

Occorre lavorare molto sulla quotidianità per comprendere che le differenze non comportano la superiorità di qualcuno verso un altro. La scuola di oggi si trova di fronte a diverse sfide, dovendo riflettere sulla presenza di identità diverse al suo interno: diversità non solo religiose, culturali, ma anche di genere, di abilità e di fragilità.

Una scuola che possa definirsi veramente democratica pluriculturale o interculturale e inclusiva, al di là di ogni facile slogan, deve, nel concreto e nelle singole scelte quotidiane, saper accogliere le esigenze di tutti coloro che in essa si formano, e non può avere come focus l’omologazione culturale e sociale, ma deve saper riconoscere che la crescita e l’emancipazione comportano anche la ricerca e la definizione della propria identità personale e sociale. Non si può, quindi, e non si deve aver paura di definirsi diversi e si devono difendere i propri diritti.

Dire che siamo tutti uguali significa aggirare un problema senza affrontarlo e, quindi, senza risolverlo. Affinché la diversità in ogni sua declinazione non diventi terreno di scontro, ma di confronto costruttivo, la scuola deve cercare di dare una risposta concreta alla domanda di identità e di scelta, avendo come centro del proprio educare il dialogo e l’empatia.

In quest’ottica, si è mosso ed è già stato, in parte, sperimentato il progetto realizzato dall’Unione delle Comunità ebraiche italiane, con il sostegno economico dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma “Prevenire il pregiudizio, educare alla convivenza”. Questo il titolo del progetto finalizzato a sperimentare nella scuola italiana forme di confronto e di dialogo tra giovani di diverse tradizioni e sensibilità religiose.

Nel presentare il progetto, Noemi Di Segni, Presidente UCEI, precisa che l’Unione delle comunità ebraiche: “ha voluto delineare un percorso formativo che facendo tesoro della lunga e spesso dolorosa storia degli ebrei affrontasse temi che riguardano il futuro della convivenza civile. Le ragioni di questa scelta sono importanti perché in Italia e nell’ insieme dei paesi occidentali gli ebrei godono di una libertà e tutela dei propri diritti di cittadini al pari degli altri. Tale condizione è il risultato di un processo di elaborazione che dopo la tragedia della Shoa ha determinato la definizione di forme più avanzate di democrazia. L’elemento fondamentale di questa condizione di civiltà è dato dal riconoscimento della diversità di genere, di fede, colore e tradizioni riferimenti etici nel quadro di una comune accettazione delle regole comuni di convivenza e vita sociale. Tali acquisizioni vanno difese e condivise contro ogni forma di discriminazione e rifiuto delle naturali differenze tra persone e comunità.”

Il progetto è partito da una riflessione dirimente sui valori del rispetto e della solidarietà reciproca e su come promuovere concretamente un’educazione civica nella scuola, dai bambini agli adolescenti. All’impostazione pedagogica sono stati affiancati temi e valori sui quali i singoli esperti hanno dato i loro contributi di carattere giuridico relativi al modo in cui le diverse fedi si orientano sul tema dell’accettazione delle diversità.

Molti aspetti e peculiarità delle diverse culture e tradizioni religiose non sono noti, così come non sono sempre acquisiti e interiorizzati i principi fondanti di una preziosa Costituzione come quella italiana.

La diversità nello Stato costituzionale è una ricchezza che va preservata e che, pertanto, non può mettere in discussione, per chi la possiede, il diritto a ricevere un trattamento eguale agli altri. Come scrive l’avvocato Giorgio Sacerdoti, diversità è una caratteristica che distingue il singolo dalla maggioranza: queste stesse caratteristiche potrebbero tuttavia appartenere, in un luogo diverso, alla maggioranza, essendo la diversità un concetto relazionale e, dunque, privo di connotato negativo.

Solo una convivenza informata può portare alla consapevolezza che il cittadino ideale non esiste, ma che il diritto deve applicarsi alle persone nella loro quotidianità e nella complessità delle reciproche relazioni: questa consapevolezza non può che formarsi nelle aule scolastiche. La sperimentazione nelle scuole toscane ha dato risultati soddisfacenti.

Merita un richiamo anche il “Piano Nazionale per l’educazione al rispetto”, presentato nel 2017 dall’allora Ministro all’ istruzione Valeria Fedeli, per promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione al rispetto, per contrastare ogni forma di violenza e discriminazione e favorire il superamento di pregiudizi e diseguaglianze, secondo i principi espressi dall’art. 3 Cost. Questo progetto rappresenta l’avvio di un percorso di sensibilizzazione trasversale in continua crescita e sviluppo in collaborazione di tutto il mondo scolastico.

In attuazione della l.n. 107 del 2015, sono state messe a punto delle linee guida nazionali per promuovere nelle scuole l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le altre discriminazioni. Sempre nell’ambito di questo progetto è stato istituito il calendario del Dialogo e delle feste delle Comunità per una scuola aperta e democratica, e come tale in grado di assicurare la convivenza di culture diverse e la cooperazione per arrivare alla reciproca conoscenza e al senso comune di appartenenza.

Anche l’integrazione degli alunni con disabilità, a più di quarant’anni dall’entrata in vigore della l.n. 517 del 1977, si presenta come un processo in evoluzione che indubbiamente ha apportato profonde innovazioni nella scuola italiana per renderla sempre più inclusiva, ma che necessita di un percorso quotidiano e costante di attenzione ed empatia. Si assiste spesso ad un’integrazione “apparente” che utilizza una cultura dell’apprendimento statica e non sempre adeguata ai bisogni degli alunni.

In questi quarant’anni, si sono succedute normative, leggi statali e regionali, atti di indirizzo: ricordiamo tra tutte la l.n. 104/1992, per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità, la l.n. 18/2009, che ha ratificato la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e istituito l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, cui sono affidati compiti di promozione e sostegno dei processi di integrazione scolastica e sociale, e le “Linee guida per l’integrazione scolastica della disabilità” (APF si è già occupata di questa tematica nel numero speciale dedicato alla disabilità).

Gli alunni con disabilità si trovano in un ambiente scolastico sempre più variegato, dove la linea di demarcazione tra alunno fragile e alunno senza disabilità non è più così netta. Accanto agli alunni con disabilità, individuati sulla base di una apposita certificazione (che sicuramente è utile per ottenere alcuni benefici e garanzie, ma allo stesso tempo li chiude in una cornice ristretta), emerge, infatti, una prospettiva bio-psico-sociale che considera la persona nella sua totalità e consente di individuare i bisogni educativi speciali dell’alunno, prescindendo da preclusive tipizzazioni. Da questa prospettiva, ogni alunno può manifestare, con continuità o per determinati periodi, peculiari esigenze, meritando una speciale guida e protezione.

Come ha ben scritto Antonia Carlini: “l’integrazione è appunto questa protezione, questa rete di sicurezza, che anche la scuola deve creare per accogliere tutti gli alunni, uguali e diversi e non solo le persone disabili. È infatti anche attraverso l’istruzione che gli esseri umani possono acquisire quell’autonomia che consentirà loro di muoversi nella vita”.

Pertanto, mediante l’istruzione scolastica, anche gli alunni con difficoltà di apprendimento e di adattamento o comunque con qualche fragilità hanno diritto di sviluppare le proprie potenzialità conoscitive, secondo personali ritmi di crescita e attraverso la pianificazione di interventi personalizzati e mirati alla socializzazione e all’apprendimento.

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