Il pensiero critico e l’etica della dissonanza

di avv. Cristina Arata

 

Un’educazione alla cittadinanza consapevole è tale solo se forma “cittadini liberi, cittadini che sono liberi non grazie alla loro ricchezza o alla loro nascita, ma perché sono in grado di orientare autonomamente la propria razionalità” (Martha Nussbaum, docente di filosofia politica Università di Chicago).

Il pensiero critico (critical thinking) è un pensiero razionale e riflessivo finalizzato a decidere che cosa pensare, che cosa fare, e soprattutto perché. È la capacità che ci aiuta ad interpretare e mettere in discussione la realtà che ci circonda. Non è una capacità innata o ereditaria e deve, quindi, essere costruita, attraverso l’osservazione, il ragionamento, la comunicazione, la riflessione. È una competenza trasversale primaria, da cui dipendono altre soft skills, come la creatività, la capacità di dialogo, di lavorare in gruppo, il senso etico, la responsabilità, la resilienza ecc.

In sostanza è un processo intellettivo che consente di cogliere i limiti delle nostre convinzioni (pregiudizi, stereotipi, illusioni cognitive) per tentare un approccio obiettivo alla realtà e ai diversi punti di vista, fino a giungere ad una sintesi equilibrata e possibilmente autonoma, che orienti le nostre azioni.

Secondo il pedagogista Robert H. Ennis, un pensatore critico dovrebbe: giudicare la credibilità delle fonti, identificare conclusioni e presupposti, giudicare la qualità di un argomento e l’accettabilità delle sue motivazioni, verificare le prove a sostegno, sviluppare e difendere la sua posizione su un tema, definire la comunicazione e la terminologia in modo adeguato ed appropriato al contesto, avere una mente aperta al dialogo e ad accogliere le diversità, cercare di essere ben informato, cercare delle conclusioni con cautela e previa giustificazione, con la consapevolezza che possono essere temporanee o provvisorie.

Il pensiero critico, quindi, è una capacità che non può non esser parte integrante dell’educazione, dell’istruzione, della formazione delle persone.

Nel mondo attuale, viviamo immersi in una congerie di informazioni, stimoli, comunicazioni spesso manipolatorie e non veritiere (fake news), esperienze suggestive, dibattiti pubblici pieni anche di cattivi argomenti: la filosofa Franca D’Agostini (nel libro “Verità avvelenata”) sottolinea efficacemente come il nostro presente post-ideologico sembri procedere per avvelenamento sistematico della verità (post-verità), sia sui mass-media sia sui solcial-media.

È progressivamente cresciuta la semplificazione, come dinamica del pensiero. La comunicazione è dominata da sovrapposizioni e schieramenti, a volte insulti: nulla che consenta di acquisire elementi di conoscenza, di chiarificazione, nulla che consenta di problematizzare l’argomento.  Progressiva è anche la non attitudine ad affrontare pensieri complessi, in un mondo in cui, invece, la complessità è la dimensione delle relazioni e dei rapporti, degli eventi naturali oltre che umani.

Ma potrebbe esserci una via d’uscita: l’ordinamento democratico dovrebbe sollecitare per sua struttura il cittadino ad assumere il compito di ascoltare e valutare gli argomenti proposti nella sfera pubblica e privata, a coltivare la capacità di coglierne la fragilità e l’inconsistenza, di cercare la verità.

L’istruzione svolge, ovviamente, in tutto questo, un ruolo fondamentale: trasferire agli alunni delle conoscenze è solo uno degli obiettivi e, certo, non il principale. Essenziale è formare delle persone consapevoli: fornire loro gli strumenti culturali ed intellettivi per distinguere i buoni dai cattivi argomenti, per formarsi un pensiero autonomo rispetto ai condizionamenti ambientali e per saperlo motivare, per costruire un atteggiamento responsabile nei confronti delle esperienze di vita. Accanto ai molteplici “cosa” e “come” devono essere individuati i “perché”.

La filosofia antica e quella moderna sono sempre state allineate su questi concetti, pur nella diversità delle impostazioni: per Aristotele “solo una mente educata può capire un pensiero diverso dal suo senza necessità di accettarlo”; per Immanuel Kant “ogni nostra conoscenza scaturisce dai sensi, da qui va all’intelletto per finire alla ragione”: non bastano, quindi, le esperienze empiriche, le osservazioni e le impressioni. Tutto questo va interpretato e inserito in un contesto più ampio, quello dei propri valori, ed elaborato dal pensiero critico.

Ma allora quando un pensiero può essere considerato “buono”? Un pensiero per essere buono (cfr. Franca Agostini cit.) deve essere vero, valido ed efficace.

La verità è intesa in senso epistemologico come verifica della verità delle premesse e delle conclusioni dell’argomento. Come ricordava Norberto Bobbio (nell’introduzione al libro “Trattato dell’argomentazione”) tra “la verità assoluta e la non verità c’è posto per le verità, da sottoporsi a continua revisione, grazie alla tecnica dell’addurre ragioni pro e contro”.

La validità è una qualità logica e attiene non al contenuto, ma alla forma dell’enunciato e della relazione tra premesse e conclusioni del ragionamento. Implica, quindi, la verifica del ragionamento inferenziale (deduzioni, induzioni, abduzioni) per cui da una premessa si ricava una conseguenza.

Si definiscono “fallacie” gli argomenti che sembrano corretti, ma non lo sono.

Si parla di fallacia “ad hominem” quando chi discute attacca la persona e non resta sull’argomento (es. tizio non ha superato l’esame, non dovresti fidarti di lui per chiarire i tuoi dubbi).

Altra fallacia è il “ricorso all’autorità” (la fonte A dice che X è vero, la fonte A è autorevole, X è vero); o l’“appello all’ignoranza”, per cui si considera vera un’argomentazione solo perché non confutata o smentita (se non ci sono prove che dimostrano che gli alieni non esistono, gli alieni esistono). Si parla di fallacia “del carrozzone” quando un concetto è considerato vero perché molte persone lo accettano come vero.

La fallacia del “non sequitur” si realizza quando la conclusione dell’affermazione non segue la sua premessa originale (se non compri questo tipo di cibo, stai trascurando la salute dei tuoi figli). È fallacia anche il “pendio scivoloso” per cui si presume che un passo possa causare una reazione a catena (se fai A allora succederà B, C , D…), o il c.d. “uomo di paglia”, quando cioè qualcuno ignora l’argomento e lo sostituisce con una versione distorta o esagerata dello stesso (Tizio: “l’evoluzione afferma che gli esseri umani si sono sviluppati nel corso di un lungo periodo dallo stesso antenato comune al gorilla”. Caio: “tutti ascoltano la persona A che sta dicendo che discendiamo dai babbuini). E così via...

Infine, l’efficacia (o persuasività) è una qualità dell’argomentazione che dipende dal destinatario dell’argomentazione e tiene conto del sistema di valori, pregiudizi e desideri di quest’ultimo.

L’assenza di un pensiero critico determina il c.d. “analfabetismo funzionale”: l’incapacità di interpretare testi, comunicazioni e messaggi, anche da parte di persone scolarizzate.

La psicologia cognitiva ha oggi chiarito che non è possibile adottare un pensiero solo razionale: la mente umana, nel corso dell’evoluzione, ha sempre integrato comportamenti intuitivi, che poi sono poi esattamente quelli che hanno garantito all’homo sapiens la sopravvivenza. Ma le ostilità nel mondo moderno non sono certo quelle dei nostri progenitori: oggi coinvolgono più la sfera psichica che quella fisica della persona.

Daniel Kahnemn, psicologo studioso delle illusioni cognitive, cd. “bias”, ha dimostrato che le persone anche quando possono disporre di dati e informazioni “di qualità” possono elaborarli in modo errato, utilizzando inferenze scorrette che poi portano a decisioni incongrue.

La “confirmation bias”, ad esempio, è la condizione per cui una persona accetta acriticamente le informazioni che confermano le proprie convinzioni e rifiuta quelle contrarie.

Inoltre, le persone tendono a accettare con maggiore immediatezza le informazioni facilmente memorizzabili su concetti semplici e sintetici (slogan), che per tali caratteristiche sono ritenuti intuitivamente veri senza necessità di verifica.

Maggiore è, invece, la resistenza ad integrare informazioni complesse, che richiedono uno sforzo di verifica e un maggior carico cognitivo.

È quindi importante, a livello educativo e nell’ambito dei processi di formazione/istruzione, cercare di sviluppare alcune strategie del pensiero critico: sforzarsi di essere riflessivi e fermarsi a pensare piuttosto che esprimere giudizi impulsivi; cercare di motivare le proprie convinzioni, utilizzando delle domande di senso (da chi lo abbiamo saputo? Quali sono i motivi? La fonte è credibile?); cercare delle alternative, enfatizzando diverse ipotesi e punti di vista in modo da mantenere la mente aperta, mettendosi alla prova.

Martha Nussbaum, su questi presupposti, giunge a criticare i sistemi educativi che riducono eccessivamente le competenze umanistiche, a favore di quelle tecnico-scientifiche, che non alimenterebbero per la loro struttura il pensiero critico. La studiosa sottolinea come a livello globale stiamo vivendo non solo una crisi economica, climatica e di guerra, ma soprattutto una crisi dell’istruzione, che può ugualmente compromettere il nostro futuro (cfr. il saggio “Non per profitto”).

Vi è cioè una generalizzata tendenza a sottovalutare la portata dell’educazione umanistica nella crescita e consapevolezza di una cittadinanza democratica. Specie negli ordinamenti democratici che oggi si trovano ad affrontare la crisi del modello basato sulla conseguenzialità necessaria tra crescita economica, equità sociale e sostenibilità climatica. Nussbaum sottolinea, invece, la priorità dell’attenzione allo “sviluppo umano” e, quindi, di quelle competenze che ad esso sono funzionali: “Ciò che davvero è importante sono le opportunità o capacità che ogni persona ha in ambiti chiave che vanno dalla vita, salute ed integrità corporea alla libertà e partecipazione politica e istruzione”.

Lo “sviluppo umano” è un modello di evoluzione che riconosce come tutti gli individui posseggano una dignità umana inalienabile, che deve essere rispettata e tutelata da leggi ed istituzioni. Condizione imprescindibile è, quindi, quella di promuovere anche le discipline umanistiche, perché sono queste che aiutano le persone a formare un pensiero critico, che contrasti le tendenze semplificatrici, manipolatorie e autoritarie e, d’altro canto, favorisca l’affermarsi di una società inclusiva, idonea a rispondere alle sfide della crescente complessità del mondo globalizzato e delle crisi di questo tempo.

Si tratta di recuperare lo spirito della pedagogia sociale di Socrate, di educare allo sviluppo del ragionamento e del pensiero critico. È questa pedagogia che, in fondo, ha radicato la democrazia nel XX secolo, soprattutto, ma non solo, in Europa.

Ovviamente resta l’importanza della formazione tecnologica-scientifica, ma non può essere oggetto di attenzione esclusiva o prevalente. Le stesse procedure di valutazione utilizzano oggi test a risposta multipla, senz’altro idonei a rilevare la componente tecnica delle competenze, ma spesso inadatti a cogliere la capacità di critica orientata alla formazione del pensiero.

Umberto Allegretti (già docente di filosofia del diritto e di diritto pubblico presso l’Università di Cagliari) ha sottolineato come “il bisogno di prossimità può indurre ad affidarsi all’uomo ritenuto capace di interpretarlo. Si torna bambini, affidandosi a un padre. La democrazia partecipativa, invece, fa appello a persone adulte, capaci di prendere in mano i propri destini” (da “La democrazia partecipativa in Italia ed Europa”).

La sfida dell’istruzione sarà quella di favorire un approccio integrato tra discipline tecno-scientifiche e discipline umanistiche e, quindi, anche dei valori di cui sono portatrici.

L’evoluzione culturale passa attraverso l’accettazione dei saperi, delle innovazioni e delle scelte da parte della società. Cultura, innovazione ed evoluzione del genere umano sono inestricabilmente collegate e concorrono alla definizione di un solo sapere.

La scienza non può fare a meno del pensiero critico: lo sviluppo tecnologico e scientifico sta percorrendo oggi nuove strade mediante l’uso dell’Intelligenza Artificiale, che sfrutta l’apprendimento automatico e in cui la progettazione non attiene solo alle risposte, ma anche alla definizione e autodefinizione degli obiettivi. Da qui la necessità che i fini dello sviluppo, l’equilibrio delle risorse, la crescita economica ed il rispetto dei diritti umani si muovano all’unisono, in un percorso in cui la “società della conoscenza” abbia come fondamento primario il pensiero critico e il rispetto della dignità umana.

La nostra Costituzione europea (Carta di Nizza), all’art. 1, sancisce non a caso che “La dignità umana è inviolabile”.

Ciò significa che il ben-essere di ogni persona è e deve essere il fine valoriale di ogni ordinamento giuridico. Educare alla cittadinanza è e sarà, quindi, in famiglia come a scuola, educare ad una cittadinanza globale in una prospettiva interculturale: ciò consentirà alle nuove generazioni di intuire la medesima umanità in ogni differenza umana e condizione socio ambientale.

E per far ciò il pensiero critico dovrà, anzitutto, aiutare all’immaginazione e all’integrazione della differenza.

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