La convivenza ultratriennale con un incapace non sana la nullità del matrimonio contratto con lui.

di avv. Valentina Alberioli

IL CASO. La Corte d’Appello di Bologna rigettava la domanda di Tizio volta ad ottenere l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Emiliano di Modena, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio con Caia per incapacità del consenso da parte di quest’ultima a norma del can. 1095, nn. 2 e 3, ritenendo che tale sentenza fosse in contrasto con i principi dell’ordine pubblico italiano perché ricorreva, nella specie, l’elemento ostativo della “convivenza ultratriennale” dei coniugi.

Avverso tale sentenza Tizio proponeva ricorso per Cassazione, in base a quattro motivi.

In particolare, con il primo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3  c.p.c. (in relazione agli artt. 99, 112, 797, comma 1 n. 7 c.p.c. e 2697 c.c.), anche alla luce dei principi affermati dalla sentenza n. 16379/2014 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per aver il giudice d’appello ritenuto preclusiva della delibazione una “convivenza ultratriennale” dei coniugi, in assenza di allegazioni da parte della moglie di fatti e comportamenti dei coniugi specifici e rilevanti idonei ad integrare detta situazione di ordine pubblico.

Con il secondo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., anche alla luce dei principi affermati dalla citata sentenza n. 16379/2014, per aver la Corte d’Appello erroneamente applicato i principi in tema di riparto dell’onere probatorio: era stata ritenuta sussistente l’effettiva convivenza tra i coniugi in assenza di allegazioni e deduzioni idonee; era stato erroneamente onerato l’attore della prova contraria circa l’insussistenza di una condizione ostativa; erano stati erroneamente ritenuti indici rivelatori dell’effettività della convivenza coniugale la residenza comune dei coniugi e la loro volontà di instaurare un rapporto coniugale effettivo, che non poteva dimostrarsi in via presuntiva.

Con il terzo motivo Tizio censurava, invece, la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 132, comma 2, n. 4 e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuta “effettiva” la convivenza tra i coniugi, muovendo da un’erronea applicazione dei principi normativi che regolano i poteri del giudice in ordine all’apprezzamento della prova di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., senza, peraltro, adeguatamente motivare la propria decisione.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 149/2023, ha ritenuto il ricorso fondato.

Il Giudice di legittimità, dando continuità all’orientamento espresso con l’ordinanza n. 17910/2022, ha ribadito che,

in tema di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario, la convivenza “come coniugi” costituisce un elemento essenziale del “matrimonio-rapporto” e, ove si protragga per almeno tre anni dalla celebrazione, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano” che, tuttavia, non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi genetici del “matrimonio-atto” presidiati da nullità anche nell’ordinamento italiano.

In particolare,

la convivenza ultratriennale non è ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica che accerti la nullità del matrimonio per incapacità a contrarlo determinata da vizio psichico, in quanto una tale nullità è prevista anche nell’ordinamento italiano e non è sanabile dalla protrazione della convivenza prima della scoperta del vizio.

Ad avviso della Cassazione, occorre, quindi, operare una “distinzione fondamentale sul tipo di vizio che inficia l’atto produttivo del vincolo” matrimoniale.

Infatti, se il vizio genetico del matrimonio-atto non è riconosciuto nell’ordinamento italiano, ma solo in quello canonico, sussiste una situazione di contrarietà all’ordine pubblico che impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del negozio matrimoniale che abbia avuto effetti di lunga durata.

Se, invece, il vizio genetico del matrimonio-atto presenta caratteri oggettivi almeno analoghi a quelli previsti dal nostro ordinamento, la sentenza ecclesiastica di nullità che si fonda su tale vizio non determina alcun contrasto con l’ordine pubblico interno e dev’essere, pertanto, delibata, e ciò a prescindere dalla durata della convivenza prima della scoperta del vizio stesso. 

Nel caso di specie, il vizio genetico alla base della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio (id est: can. 1095 nn. 2 e 3, e cioè l’incapacità di Caia a contrarre matrimonio) trovava corrispondenza nell’ipotesi di invalidità prevista dall’art. 120 c.c. (secondo cui il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio).

Pertanto, la Corte d’Appello di Bologna ha errato nel ritenere che la sentenza con cui il Tribunale Ecclesiastico Regionale Emiliano di Modena aveva dichiarato la nullità del matrimonio tra Tizio e Caia fosse in contrasto con l’ordine pubblico in ragione della “convivenza ultratriennale” dei coniugi e non potesse, di conseguenza, esserne riconosciuta l’efficacia nel nostro ordinamento.

La Corte di Cassazione ha, quindi, accolto il ricorso, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, per la riforma della sentenza.

 

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