Di mamma ce n’è una sola: questioni irrisolte in tema di maternità surrogata.

27 GENNAIO 2023 | Maternità surrogata

di avv.ti Rebecca Gelli e Maida Milàn

Con decreto del 10 novembre 2022, il Tribunale di Arezzo ha rigettato il ricorso promosso da due donne, legate da unione civile registrata, contro il diniego opposto da un ufficiale dello stato civile alla rettifica dell’atto di nascita dei figli minori, nati in Italia, ma concepiti all’estero, mediante inseminazione eterologa, tramite impianto dell’ovulo fecondato dell’una, nell’utero dell’altra.

Secondo la tesi delle amministrazioni resistenti, fatta propria anche dal provvedimento in commento, allo stato della legislazione vigente, non sussistono le condizioni giuridiche per aggiungere al cognome della “madre partoriente” l’indicazione del cognome della “madre biologica”, riconoscendo la qualità di genitore anche alla donna che, pur non avendo portato a termine la gravidanza, ha donato il proprio patrimonio genetico ai figli.

La legge 19 febbraio 2004, n. 40, traccia, infatti, un confine tra “sterilità patologica” e “infertilità fisiologica”, autorizzando il ricorso alla procreazione medicalmente assistita solo alle coppie eterosessuali, in età fertile, affette da patologie riproduttive, mentre non consente l’accesso a tali tecniche alle coppie omosessuali, a quelle in età avanzata e alle donne sole.

Il vuoto di tutela che ne consegue non può essere colmato per via giurisprudenziale, né attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata (Cass., 25 febbraio 2022, n. 6383; Cass., 7 marzo 2022, n. 7413; Cass., 4 aprile 2022, n. 10844), né attraverso un intervento della Consulta: la quale, da una parte, ha escluso la sussistenza di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale (C. Cost., 23 ottobre 2019, n. 221; C. Cost., 15 novembre 2019, n. 237), dall’altra, ha declinato la propria competenza, sollecitando l’intervento del legislatore (C. Cost., 9 marzo 2021, nn. 32 e 33).

Anche secondo la Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo, non si ravvisa alcuna disparità di trattamento, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU, nella legge nazionale che, come quella italiana, precluda l’accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie omosessuali, assegnando all’istituto una finalità terapeutica, al servizio dell’esigenza di genitorialità delle coppie eterosessuali sterili (Corte E.D.U., 15 marzo 2012, Gas e Dubois c. Francia).

Allo stesso modo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha più volte riconosciuto che dal diritto comunitario non discende alcun obbligo per gli Stati membri di prevedere una disciplina giuridica delle relazioni omoaffettive o dell’omogenitorialità (C. Giust. CE, 5 giugno 2018, causa C-673/16, Coman; C. Giust. CE, 14 dicembre 2021, causa C-490/20, Pancharevo).

Tale impostazione è condivisa anche dal provvedimento in commento. Nel caso di specie, infatti, il Tribunale di Arezzo, pur consapevole della sussistenza, sul piano fattuale, di un concreto legame non solo affettivo, ma anche biologico di entrambe le ricorrenti coi minori, non ha potuto conferire a tale rapporto alcun riconoscimento, dal punto di vista giuridico, in assenza di un preciso riferimento normativo.

Ad avviso del Giudice, si tratta, infatti, di una materia “eticamente sensibile” che, anche al fine di assicurare un’uniformità di tutela su tutto il territorio, compete esclusivamente al legislatore, chiamato a svolgere il delicato compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di protezione dei bambini nati da maternità surrogata, cercando un ragionevole punto di equilibrio, nel contesto del difficile bilanciamento tra i diritti dei minori e il rispetto della dignità della persona umana.

Allo stato attuale, dunque, non solo manca una legge nazionale che regolamenti i rapporti tra prole e genitori dello stesso sesso in Italia, ma, considerato che la materia rientra tra le competenze esclusive degli Stati membri, in Europa convivono modelli giuridici più liberali (ispirati a una filosofia individualistica che pone in primo piano i valori della autodeterminazione dei singoli) e impostazioni più conservatrici.

In particolare, tredici Stati membri ammettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia), otto Stati membri prevedono una disciplina delle unioni registrate tra persone dello stesso sesso (Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Italia, Repubblica Ceca e Ungheria) e sei Stati membri non prevedono alcuna tutela giuridica delle coppie dello stesso sesso (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Slovacca e Romania).

Tra gli Stati che ammettono il matrimonio tra persone dello stesso sesso, tuttavia, solo Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi e Svezia riconoscono in modo automatico la genitorialità della moglie della madre biologica del minore.

 

 

 

 

 

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