Niente assegno al coniuge se il part-time è “reversibile”, mentre spetta al figlio che riprende gli studi dopo aver lasciato il lavoro

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23318 del 16 giugno 2021, ha  affrontato varie questioni inerenti gli obblighi di mantenimento  a favore dell’ez coniuge e dei figli,  delineato, tra l’altro, i limiti del diritto del figlio maggiorenne a percepire l’assegno di mantenimento dal genitore divorziato, quando, dopo, aver intrapreso una esperienza lavorativa remunerata, la abbandona per riprendere gli studi universitari.

I giudici hanno escluso che tale comportamento del figlio possa rappresentare un elemento ostativo al diritto di percepire l’assegno di mantenimento.

Il caso

Nell’ambito di un procedimento di divorzio, la Corte d’Appello di Perugia con sentenza del 12 novembre 2019, aveva parzialmente accolto l’impugnazione del marito, riducendo l’assegno divorzile di € 900 accordato alla moglie dal Tribunale di Terni, ad € 600 e confermando l’obbligo di versare un assegno di mantenimento alla figlia maggiorenne di € 600 mensili.

Avverso tale sentenza la moglie interponeva ricorso per Cassazione, al quale rinunciava prima dell’adunanza camerale, mentre il marito proponeva ricorso incidentale sulla base di otto motivi di impugnazione.

La decisione

Con i primi cinque motivi, il ricorrente contestava l’attribuzione dell’assegno divorzile alla ex moglie.

La Corte, richiamando sul punto l’orientamento della più recente giurisprudenza di legittimità, ha disatteso le censure mosse alla sentenza d’appello, ad eccezione del secondo motivo di impugnazione che ha, invece, ritenuto fondato.

Secondo gli  Ermellini, i Giudici del merito, nel considerare la valenza economica del lavoro part-time svolto dalla donna in costanza di matrimonio, non avrebbero adeguatamente valutato se «…la predetta scelta fosse riconducibile alla necessità di far fronte contemporaneamente alle esigenze della famiglia ed all’accudimento dell’unica figlia nata dall’unione…» ma sopra tutto

«…se, anche in relazione all’età [della moglie] la scelta da lei compiuta debba considerarsi ormai irreversibile, oppure se, come sostiene il ricorrente, la donna sarebbe ancora in grado di incrementare il proprio reddito, e quindi ridurre il divario accertato rispetto a quello dell’ex coniuge, optando per la prestazione di lavoro a tempo pieno. In quest’ultimo caso, infatti, il predetto squilibrio non potrebbe essere considerato come un effetto esclusivo di scelte compiute in costanza di matrimonio, ma risulterebbe almeno in parte riconducibile ad un’autonoma decisione della ricorrente, che, pur essendo libera da impegni familiari … non intende porre pienamente a frutto la propria capacità di lavoro professionale…».

 

Con il sesto motivo di impugnazione il padre ha lamentato la violazione degli articoli 316 bis e 337 ter, c.c., censurando la decisione della Corte d’Appello di Perugia «…nella parte in cui ha posto a suo carico l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia, sul presupposto del mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte della stessa…»  invero, i giudici del merito non avrebbero considerato che la figlia aveva trovato un impiego presso un albergo di Olbia, con uno stipendio medio di € 1.200, oltre alla disponibilità di un alloggio gratuito nei pressi del luogo di lavoro. Non solo, il modesto impegno richiesto dalle mansioni svolte, le avrebbe consentito di frequentare anche la vicina Università di Sassari, in luogo di quella di Pavia scelta dalla ragazza.

La Cassazione ha dichiarato infondato tale motivo, ribadendo che l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne, ma ancora impegnata negli studi universitari, trova riscontro «…nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il predetto obbligo non cessa immediatamente ed automaticamente per effetto del raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma perdura finché non venga fornita la prova che quest’ultimo ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (cfr. Cass, Sez. VI, 7/9/2015, n.17738; Cass., Sez .I, 8/02/2012, n. 1773; 26/09/2011, n.18589»).

Attenendosi puntualmente ai criteri enucleati dalla Cassazione, la Corte del merito ha evidenziato che la ragazza «…dopo aver svolto per un breve periodo di tempo un’attività lavorativa in Olbia, l’aveva abbandonata per trasferirsi a Pavia e riprendere gli studi universitari in psicologia…» ha sottolineato la sua giovane età (all’epoca ventiseienne) e l’estraneità delle mansioni svolte nella struttura alberghiera rispetto alle sue aspirazioni professionali  «…concludendo che il predetto comportamento non costituiva sintomo di un ingiustificato rifiuto di rendersi economicamente indipendente…».

La Cassazione ha ritenuto l’iter logico argomentativo della Corte di merito «…immune da lacune o contraddizioni…» affermando che, nel caso di specie,

«…il ricorrente manifesta il proprio disappunto per una scelta che non condivide, trascurando il disposto degli artt. 147 e 315 bis, primo comma, cod. civ., i quali nel porre a carico dei genitori il mantenimento, l’istruzione, l’educazione e l’assistenza morale dei figli, individuano quali canoni di orientamento e misura dell’adempimento del relativo obbligo, per un verso il rispetto delle capacità del figlio e delle sue inclinazioni naturali e aspirazioni, e per altro verso i redditi e le sostanze dei genitori … è compito dei genitori di assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio …senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate…».

Con altro motivo di impugnazione il ricorrente ha lamentato la violazione degli artt. 316 bis e 337 ter, poiché la sentenza impugnata aveva condannato il padre a sostenere i quattro quinti delle spese straordinarie.

Anche tale motivo è stato rigettato considerando che “…l’obbligo, posto a carico dei genitori dall’art. 316 bis, primo comma, cod. civ. … non implica una rigorosa ripartizione dei relativi oneri in misura corrispondente al rapporto matematico tra i loro redditi personali e i loro patrimoni: il concorso di ciascun genitore deve risultare infatti adeguato, nel complesso, alle sue risorse economiche ed al suo apporto personale…”.

La Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, in relazione al secondo motivo del ricorso incidentale che è stato accolto, rinviando alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio.

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