La Cassazione ribadisce la funzione “tripartita” dell’assegno divorzile

IL CASO. Il Tribunale di Milano, adito da Tizio, aveva pronunciato lo scioglimento del matrimonio dallo stesso contratto con Caia, ponendo a suo carico “il pagamento di un assegno divorzile mensile di 3.500 Euro”.
La Corte d’appello di Milano aveva ridotto la misura dell’assegno ad euro 2.500,00, “confermando nel resto la impugnata sentenza del Tribunale”, ed aveva “compensato per metà le spese del giudizio di appello”, nonché “condannato [Tizio] al pagamento della residua quota in favore della sig.ra” Caia.
Tizio aveva, quindi, proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi.
Col primo aveva sostenuto che “il parametro dell'autosufficienza di cui alla sentenza n. 11504/2017 della Corte di Cassazione in materia di assegno divorzile non [fosse]stato interpretato in maniera rigorosa dalla Corte di appello che [aveva] così violato e falsamente applicato la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6”.
A tal fine, aveva rilevato che “la sig.ra [Caia] gode[va] di una pensione per complessivi Euro 12.192 annui, [era] proprietaria della sua abitazione in … e dispone[va] di un ulteriore immobile in …. Nell'ottobre 2015 [aveva] estinto il mutuo ipotecario che comportava il pagamento di una rata mensile di 946,51 Euro”, sicché era “quindi in possesso di mezzi adeguati di sussistenza”.
Col secondo motivo Tizio aveva, poi, censurato il “mancato esame della produzione documentale relativa ai redditi della sig.ra” Caia.
Quest’ultima si era difesa con controricorso e memoria difensiva, proponendo ricorso incidentale articolato in due motivi, coi quali aveva dedotto “a) la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per ciò che concerne il criterio di determinazione dell'an dell'assegno divorzile; b) la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per ciò che concerne la mancata e comunque non corretta applicazione dei criteri per la determinazione del quantum dell'assegno divorzile posti da tale norma”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27771 del 2019, ha anzitutto premesso che “la controversia d[oveva] essere esaminata alla luce della nuova giurisprudenza in materia di assegno divorzile compendiata nella sentenza n. 18287 dell'11 luglio 2018 delle Sezioni Unite Civili di questa Corte che, come è noto, ha affermato che il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare,

alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

Infatti all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate e senza che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, venga finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma piuttosto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.
La Corte di Cassazione ha, quindi, ritenuto che, “alla luce di questa nuova giurisprudenza”, il primo motivo del ricorso principale fosse “infondato”, perché “teso a far valere una interpretazione della L. sul divorzio, art. 5, comma, tutta costruita sulla giurisprudenza introdotta con la sentenza n. 11504/2017, della rigida ripartizione bifasica della determinazione dell'an e del quantum dell'assegno divorzile, della riaffermazione della funzione unicamente assistenziale dell'assegno di divorzio, della perimetrazione del quantum nei limiti della attribuzione di una somma idonea a garantire l'autosufficienza economica al coniuge beneficiario dell'assegno”.
Principi, questi, “che la citata sentenza delle Sezioni Unite ha ritenuto non coerenti alla funzione complessa dell'assegno e alla rilevanza del contributo fornito dal coniuge richiedente al fine di realizzare quella solidarietà post-coniugale che la Costituzione intende garantire al coniuge che ha apportato un contributo rilevante al benessere familiare e che ha sacrificato le proprie potenzialità e aspirazioni lavorative e professionali per dedicarsi alla cura del nucleo familiare”.
Il Giudice di legittimità, “in questa prospettiva”, ha pertanto respinto il primo motivo del ricorso principale, mentre ha accolto il ricorso incidentale ed il secondo motivo del ricorso principale, ritenendoli “fondat[i]”, perché “entrambi sono intesi alla rivalutazione del materiale probatorio da parte del giudice del rinvio

alla luce della funzione tripartita dell'assegno di divorzio

e presuppongono una adeguata valutazione della capacità reddituale ed economica delle parti”.
La Corte di Cassazione ha, quindi, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’appello di Milano “che, in diversa composizione, rivaluterà la controversia alla luce dei principi indicati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione”.

 

    

 

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