Deve essere proposta con l’appello la domanda di assegno di divorzio fondata su un fatto sopravvenuto tra la sentenza di primo grado e il suo passaggio in giudicato

Con ordinanza n. 29290/2021 la Suprema Corte, confermando il principio, ormai consolidato, secondo cui i provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra coniugi in conseguenza della separazione o del divorzio vengono emessi “rebus sic stantibus”, ha statuito che la domanda di assegnazione dell’assegno divorzile, qualora discenda da circostanze emerse dopo la  pronuncia della sentenza di primo grado, ma  prima del passaggio in giudicato deve  essere proposta, anche se per la prima volta, in appello.

IL CASO

Nella causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposta da N.A. nei confronti della moglie, signora T.F., quest’ultima, rimasta contumace in primo grado, ricorreva in appello avverso la sentenza che pronunciava il divorzio e ne disciplinava le condizioni, chiedendo il versamento da parte dell’’ex coniuge di un assegno nella misura ritenuta congrua dal giudice.

La Corte d’appello di Roma, considerava insussistenti i presupposti di merito per attribuzione dell’assegno,  ma prima ancora che infondata riteneva la richiesta inammissibile per essere stata proposta per la prima volta in appello in violazione dell’art. 345 cpc.  

Avverso la sentenza n. 6012/2019 della Corte d’appello la signora T.F. ricorreva per Cassazione, lamentando, per quel che concerne la statuizione di natura processuale della Corte d’appello e cioè la pronuncia di inammissibilità della domanda, la «violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all'art. 345 c.p.c., nonché alla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 15, per essere stato violato il principio del rebus sic stantibus che permea i procedimenti in materia di famiglia».

Con riferimento a questo motivo la ricorrente evidenziava che la pretesa del riconoscimento di  un assegno a suo favore si fondava su fatti  successivi alla proposizione del ricorso da parte del marito e dal lei scoperti solo dopo la definizione del primo grado del giudizio: solo dopo la sentenza infatti aveva scoperto che il suo ex marito, che in ricorso aveva dichiarato di essere privo di reddito e di lavoro, nel corso del giudizio si era intestato il negozio di famiglia nel Cilento, senza dar conto al Tribunale delle modifiche intervenute nella sue condizioni economiche.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE

Con l’ordinanza n. 29290/2021 la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dalla signora T.F. limitatamente al terzo motivo, esaminato con priorità in quanto concernente una determinazione di natura processuale, e ha ritenuto invece inammissibili i primi due motivi, essendo venuto meno l’interesse di parte proponente a seguito dell’accoglimento del terzo motivo anzidetto.

Nella parte motiva dell’ordinanza la Suprema Corte ha innanzitutto confermato il principio, dalla stessa già da tempo enunciato (cfr., ex multis, Cass. civ. n. 1824/2005 e Cass. civ. 3925/2012), secondo cui i provvedimenti in materia di famiglia aventi contenuto economico sono emessi “rebus sic stantibus” e sono quindi suscettibili di modifica ogni qual volta mutino le condizioni economiche delle parti.

Nello specifico, la Corte ha ribadito che:

«nel giudizio di divorzio, se, da un lato, la domanda di assegno deve essere proposta nel rispetto degli istituti processuali propri di quel rito, quindi (…) nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nella comparsa di risposta, tuttavia, dall’altro, deve escludersi la relativa preclusione nel caso in cui i presupposti del diritto all’assegno maturino nel corso del giudizio, in quanto la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime della separazione, postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto».

In aggiunta a ciò, la Corte, riprendendo le argomentazioni già esplicitate nella sentenza n. 174 del 2020, ha altresì evidenziato come i fatti nuovi, che siano idonei ad alterare le condizioni economiche dei coniugi e che possano incidere sull’attribuzione e determinazione dei loro obblighi economici, debbano essere presi in esame nel corso nel giudizio ove si verificano, anche nella fase d’appello nel caso in cui emergano successivamente alla conclusione del primo grado ma prima del passaggio in giudicato della sentenza .

In questo caso, infatti, non potrebbe essere utilizzato il rimedio della revisione disciplinato dall’art. 9 della L. 898/1970, che trova applicazione soltanto in relazione ad elementi fattuali sopravvenuti al passaggio in giudicato della sentenza. E’ infatti esclusa, in ossequio al principio generale per cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, la rilevanza dei fatti pregressi, non opportunamente valorizzati nel corso del giudizio in cui avrebbero potuto essere dedotti (in tal senso, cfr. Cass. civ. n. 2953/2017).

Per questo motivo gli Ermellini hanno enunciato la legittimità della domanda di attribuzione dell’assegno di divorzio proposta per la prima volta in appello quando essa discenda da circostanze fattuali emerse a seguito dell’emissione della sentenza di primo grado e prima del passaggio in giudicato della stessa.

La domanda in questione non costituirebbe, infatti, una violazione dell’art. 345 c.p.c. in tema di divieto di nuove domande in appello ma, al contrario, sarebbe il giudice dell’impugnazione ad incorrere nella violazione della norma anzidetta nel caso in cui dichiarasse inammissibile la domanda stessa.

Invero, qualora fosse negata al coniuge proponente la possibilità di svolgere la richiesta di assegno in appello, egli si vedrebbe preclusa l’unica opportunità di far valere in giudizio le circostanze fattuali sopravvenute e ciò comporterebbe una ingiusta cristallizzazione dei provvedimenti economici assunti in precedenza rispetto al sorgere delle circostanze modificative delle condizioni economiche delle parti, con conseguente violazione del fondamentale principio del “rebus sic stantibus”.

GBaf

 

 

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