Natura giuridica ed efficacia degli atti di trasferimento immobiliare concordati in sede di separazione

Con sentenza n. 345 del 19 agosto 2020, la Corte d’Appello di Trieste affronta un tema di particolare rilevanza per le sue conseguenze giuridiche, ovvero quale sia la natura giuridica degli atti di trasferimento immobiliare o di costituzione o trasferimento di altri diritti reali concordati tra coniugi, quale condizione della separazione o del divorzio, al fine di regolamentare i loro rapporti economico/patrimoniali, e la conseguente “tenuta” degli stessi nei confronti dei creditori del cedente.
Nel caso di specie, in sede di separazione, il marito - percettore di un reddito annuo pari a euro 19.000 - aveva concordato con la moglie l’impegno a costituire a suo favore, con atto successivo da stipulare innanzi al notaio, il diritto di usufrutto sul 50% della casa coniugale e a trasferirne alle figlie la nuda proprietà. Concordava altresì un assegno di mantenimento, quasi simbolico, per la moglie casalinga e le figlie economicamente non autosufficienti. Il reddito del coniuge onerato non gli consentiva, infatti, un maggiore esborso e proprio per questo gli aspetti economici della vicenda della crisi coniugale venivano risolti con l’atto di cui sopra.
Dopo la separazione, e dunque dopo aver assunto l’impegno al suddetto trasferimento, ma prima che fosse rogato il relativo con atto notarile, il marito contraeva un debito e il suo creditore, ex art. 2929 bis cod. civ., procedeva in via esecutiva sulla casa coniugale che nel frattempo era stata trasferita in nuda proprietà alle figlie e sulla quale era stato costituito l’usufrutto in favore della moglie.
La signora e le figlie proponevano opposizione all’esecuzione innanzi al Tribunale di Pordenone, il quale, premessa la necessità di ricavare argomenti ai fini del decidere dai principi delineati in materia di azione revocatoria ordinaria, esclusa la natura di “atto dovuto” ex art. 2901 comma III cod. civ., reputava l’atto di disposizione del marito un atto a titolo gratuito poiché esso non aveva attuato una finalità di interesse economico per quest’ultimo ma aveva comportato un depauperamento del suo patrimonio  e poiché, “in aggiunta”, era stato concordato un assegno di mantenimento per moglie e figlie.
Il Tribunale di Pordenone, pertanto, rigettava l’opposizione, ma avverso questa decisione le opponenti proponevano impugnazione alla competente Corte d’Appello di Trieste.

La Corte, con la sentenza in esame, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza gravata, accertava l’inesistenza del diritto della parte appellata a procedere all’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 2929 bis cod. civ.

Il ragionamento della Corte prende le mosse dall’inquadramento nel nostro ordinamento degli atti di disposizione patrimoniale concordati in sede di separazione o divorzio. Punto nodale è la natura dell’atto notarile di trasferimento in esecuzione degli impegni assunti con il verbale di separazione omologata.
Secondo la Corte non si tratta di atti di donazione né di atti di compravendita ma di negozi che hanno una loro “tipicità” - ove la causa consiste nella regolamentazione dei rapporti economico patrimoniali, tra coniugi per cui il trasferimento si pone come elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale - e spetta al giudice, di volta in volta, verificare se, in concreto, il bene venga ceduto a titolo oneroso o gratuito.
Nel caso in esame, in ragione della destinazione del bene e della sua descrizione, nonché della disparità economica tra i coniugi, l’atto notarile aveva certamente funzione solutoria dell’accordo raggiunto e recepito nel verbale omologato, a nulla rilevando i modestissimi assegni di mantenimento concordati, i quali, da soli, non avrebbero potuto assolvere all’onere di mantenimento in capo al marito e padre.
Non si trattava, dunque, di un atto a titolo gratuito nonostante il quale il creditore (ricorrendone gli altri presupposti) potesse procedere all’esecuzione ex art. 2929 cod. civ., ma di un atto a titolo oneroso sussumibile nella fattispecie contemplata dal comma terzo dell’art. 2901 cod. civ..
In sostanza,

la sentenza pone in evidenza la specificità degli accordi che chiudono la vita familiare (connotati da una particolare natura giuridica) smentendo l’idea che la materia in questione sia accessibile a chiunque e regolabile con schemi scontati.

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